Rivedere l’assegno significa, in parole “povere”, aggiornarne l’importo, viste e considerate le mutate condizioni economiche delle parti. Sarà, pertanto, necessario ottenere un provvedimento del giudice che possa autorizzare la modifica delle precedenti condizioni economiche; ciò in quanto il soggetto obbligato al versamento del mantenimento non ha facoltà di poter ridurre oppure sospendere il pagamento stesso.
È possibile richiedere la modifica dell’importo dell’assegno di mantenimento tramite:
– procedura dinanzi al giudice quando ricorrano giustificati motivi sopravvenuti rispetto al precedente provvedimento; ciò avviene nel caso di disaccordo tra coniugi;
– accordo tra coniugi (anche senza giustificati motivi), tramite il procedimento di negoziazione assistita.
È possibile, quindi, chiedere la modifica o la revoca dell’importo stabilito nell’assegno di mantenimento solamente quando ricorrano giustificati motivi oppure in presenza di fatti nuovi sopravvenuti che modificano la situazione economica dei coniugi, determinando o l’arricchimento o l’impoverimento di uno di loro, andando, di conseguenza, ad alterare l’equilibrio raggiunto con il precedente provvedimento del giudice.
A mero titolo esemplificativo possono costituire cause di modifica e/o revisione dell’importo dell’assegno:
– motivi di salute;
– cambiamento condizioni economiche di un coniuge in peggio (ad esempio un licenziamento) oppure in meglio (ad esempio aumento di retribuzione);
– nuova famiglia, ovvero convivenza stabile, equiparabile a quella matrimoniale.
Con la “rivoluzionaria” sentenza del 10 maggio 2017 n. 11504 scatta il diritto all’assegno divorzile solamente per mancanza di mezzi adeguati oppure per impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, con esclusivo riferimento all’indipendenza o autosufficienza economica desunta da quattro indici, ovvero:
– possesso di redditi;
– di cespiti patrimoniali mobiliari e immobiliari;
– capacità e possibilità effettive di lavoro;
– stabile disponibilità di una casa di abitazione.
Non rileva più, come visto in precedenza, il parametro dello stile di vita coniugale, per cui non vi sarà diritto all’assegno (e se lo si percepisce se ne rischia la revoca) per chi sia autosufficiente o possa diventarlo, anche se non riesca a conservare gli agi goduti durante il matrimonio.
Quali potrebbero essere gli scenari possibili in seguito alla richiesta di modifica?
Anzitutto in seguito all’istanza di parte il giudice potrà ritenere di non doverla accogliere: in tal caso continueranno a far fede quelli che sono gli obblighi originariamente previsti; il giudice potrà ritenere che la situazione economica di uno dei due coniugi sia peggiorata: in tale situazione se a peggiorare dovesse essere la situazione del coniuge obbligato potrebbe essere presa in considerazione l’ipotesi di una riduzione; se invece a peggiorare fosse la situazione del coniuge beneficiario, l’importo dell’assegno potrebbe essere aumentato; la situazione economica di uno dei due potrebbe essere migliorata: in tal caso se a migliorare fosse la situazione economica del coniuge beneficiario il giudice potrebbe diminuire l’importo ritenendo che, per tenere uno stile di vita paragonabile a quello precedente, ha bisogno di meno denaro da parte dell’ex coniuge; infine, nel caso in cui il giudice dovesse ritenere che la situazione economica del beneficiario, per qualunque motivo sopravvenuto, sia tale da non necessitare più di un contributo da parte dell’obbligato, potrebbe anche disporre la revoca dell’assegno.
La dichiarazione dei redditi quale prova rilevante
La legge, ovvero l’articolo 706 c.p.c. dispone come unico onere a carico dei coniugi quello di allegare all’atto introduttivo della domanda di separazione copia delle ultime dichiarazioni dei redditi presentate.
Anzitutto occorre precisare che la dichiarazione dei redditi è il modello in cui chiunque sia residente in Italia espone i propri redditi e calcola l’imposta dovuta. La dichiarazione deve comprendere tutti i redditi: ovvero quelli di lavoro e di pensione, quelli di terreni e fabbricati, quelli di capitale (ovvero derivanti da investimenti tassati), quelli di lavoro autonomo e di impresa, quelli diversi, cioè non classificati altrove ma comunque percepiti nell’anno.
È prassi in molti tribunali invitare le parti (normalmente nei provvedimenti di fissazione dell’udienza) al deposito di ulteriori documenti, quali ad esempio estratti conti correnti, oppure una autocertificazione relativa al patrimonio.
Una recente sentenza di merito (si veda Trib. Roma, sent. n. 23704/15) ha evidenziato come nelle cause di separazione e divorzio, in caso di contestazioni tra gli ex coniugi, le dichiarazioni presentate al fisco non assumono alcun valore vincolante ai fini della decisione finale; pertanto diventa indispensabile verificare l’effettiva situazione patrimoniale dell’onerato. E, di certo, una valida radiografia è certamente il conto in banca.
Il parametro indispensabile di riferimento per la valutazione di congruità dell’assegno di mantenimento è costituito dal tenore di vita di cui i coniugi hanno goduto nel corso della convivenza, quale elemento condizionante la qualità e la quantità delle esigenze del richiedente, al cui accertamento il giudice di merito deve procedere verificando le disponibilità patrimoniali dell’onerato, senza limitarsi a considerare il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma tenendo conto anche degli altri elementi di ordine economico, o comunque apprezzabili in termini economici, suscettibili di incidere sulle condizioni delle parti, quali la disponibilità di un consistente patrimonio e la conduzione di uno stile di vita particolarmente agiato e lussuoso.
Il contributo in esame è stato estratto dal seguente volume:
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