1. Dettagli terminologici.
È piuttosto insolito che una legge di iniziativa parlamentare venga citata con il nome di un proponente, mentre è oramai frequente per le leggi o i decreti di “natura governativa” (es. decreto Balduzzi, legge Madia, legge Brunetta ecc.). La legge 8 marzo 2017, n. 24 è una legge di iniziativa parlamentare e nel corso del suo iter è stata spesso denominata, nonché identificata, come DDL, oggi legge, “Gelli” dal nome del relatore alla Camera. Spesso la si ritrova citata anche come legge “Bianco-Gelli” (Amedeo Bianco, relatore al Senato).
La legge 24/2017, similmente a quanto aveva già fatto il decreto Balduzzi[1], fa venir meno la locuzione “professione sanitaria” o “professioni sanitarie” in favore di “esercenti le professioni sanitarie”[2].
E’ utile ricordare, inoltre, che tradizionalmente l’unica professione sanitaria, fino alla fine degli anni novanta dello scorso secolo era il medico (insieme al veterinario e il farmacista). Le altre figure professionali – gli infermieri, le ostetriche ecc. – erano classificate come professioni sanitarie ausiliarie[3]. Con la legge 26 febbraio 1999, n. 42 è venuta meno questa distinzione.
A tal proposito, attraverso, appunto, l’emanazione della Legge n. 42 del 26 febbraio 1999, l’attività dell’infermiere ha ottenuto il pieno riconoscimento sul piano sia giuridico che formale.
Inoltre, è stato chiarito il ruolo di tale professionista, riconoscendone la validità sul piano normativo e sociale. Tale legge ha abolito la denominazione di professione sanitaria ausiliaria, dando vita all’attuale definizione di Professione Sanitaria di Infermiere.
L’esercizio di tale professione risulta regolato, proprio in base alla Legge n. 42/99, da tre tipi di norme regolamentari:
– Profilo professionale dell’infermiere;
– Ordinamento didattico Universitario del Corso di Laurea;
– Codice deontologico.
Viene poi riconosciuta la piena responsabilità, nelle decisioni e nelle scelte assistenziali, dell’infermiere, che non è più un semplice esecutore, ma è soggetto attivo nello svolgimento del proprio lavoro, con responsabilità dirette ben precise.
La nuova definizione della professione ha una valenza fondamentale, con l’articolo 1 della L. 42/99 si afferma che: “La denominazione professione sanitaria ausiliaria” nel testo unico delle leggi sanitarie, approvato con Regio Decreto 27 luglio 1934, n. 1265, e successive modificazioni, nonché in ogni altra disposizione di legge, è sostituita dalla denominazione “professione sanitaria”, cioè viene riconosciuta di fatto una attività sanitaria propria e non solo semplicemente di supporto”.
La nuova norma ha esplicitato ed ulteriormente rafforzato, in maniera chiara il concetto di “autonomia” e di completezza della professione.
Vi è da considerarsi, però, una tendenza convenzionale e non prettamente giuridica a distinguere la professione medica dalle (altre) professioni sanitarie.
Tornando al nucleo centrale, con l’espressione esercenti le professioni sanitarie[4] il legislatore ha voluto ricomprendere, come nel 1999, di nuovo tutte le professioni senza operare distinzioni[5] o meglio dire “discriminazioni”.
2. La sicurezza delle cure ed il correlato rischio clinico.
ARTICOLO 1
Sicurezza delle cure in sanità La sicurezza delle cure è parte costitutiva del diritto alla salute ed è perseguita nell’interesse dell’individuo e della collettività. La sicurezza delle cure si realizza anche mediante l’insieme di tutte le attività finalizzate alla prevenzione e alla gestione del rischio connesso all’erogazione di prestazioni sanitarie e l’utilizzo appropriato delle risorse strutturali, tecnologiche e organizzative. Alle attività di prevenzione del rischio messe in atto dalle strutture sanitarie e sociosanitarie, pubbliche e private, è tenuto a concorrere tutto il personale, compresi i liberi professionisti che vi operano in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale.
Nella definizione di Charles Vincent[6] (2011), una delle più note a livello internazionale, per sicurezza delle cure si intende quello specifico processo che porta a evitare, prevenire e mitigare effetti avversi o danni derivanti dal processo di assistenza sanitaria. La sicurezza delle cure riguarda gli errori e le deviazioni dalle regole che sono causa di incidenti. Alla luce di questa definizione, essa non può quindi non considerarsi parte costitutiva del diritto alla salute. La sicurezza del paziente costituisce la base per una buona assistenza sanitaria[7]. Il fatto che un trattamento medico e sanitario possa causare un danno, anziché guarire o curare, è il motivo per ritenere la sicurezza del paziente il fondamento della qualità delle cure. L’erogazione di cure sicure che non causino danni al cittadino, in accordo con quanto stabiliscono i codici deontologici del medico e dell’infermiere, rappresenta un principio fondamentale del diritto alla salute.
Ciò avviene non solo nell’interesse del singolo individuo ma anche della collettività: sono quindi considerati dalla norma, non solo gli aspetti strettamente clinici della professione, legati al rapporto medico-paziente, ma anche quelli legati alla ricerca, alla sperimentazione, alla gestione organizzativa che possono avere conseguenze sull’intera collettività.
L’articolo 1 assume i principi della Raccomandazione del Consiglio d’Europa del 9 giugno 2009 sulla sicurezza dei pazienti, comprese la prevenzione e il controllo delle infezioni associate all’assistenza sanitaria[8]. Tale raccomandazione prende atto che la sicurezza dei pazienti rappresenta una questione cruciale per la sanità pubblica e un elevato onere economico per la collettività e stabilisce una serie di misure per la prevenzione e controllo del rischio[9].
E’ emblematico quanto riportato nella Raccomandazione suddetta e che delinea in modo sintetico e realistico i vulnera propri di un sistema sanitario: «La scarsa sicurezza dei pazienti rappresenta un grave problema per la sanità pubblica ed un elevato onere economico per le scarse risorse sanitarie disponibili. Gli eventi sfavorevoli, sia nel settore ospedaliero che in quello delle cure primarie, sono in larga misura prevenibili e la maggior parte di essi sono riconducibili a fattori sistemici».
A tal proposito, la ricerca scientifica, dopo la pubblicazione nel 1999 del rapporto “To err is human” dell’Institute of Medicine[10] che ha portato alla ribalta dell’opinione pubblica il problema degli errori in medicina, ha fornito dati degni di nota sulla frequenza di eventi avversi e sulla loro prevedibilità. Parimenti, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima il tasso di eventi avversi, sulla base dei numerosi studi condotti in numerosi paesi, in circa il 10%[11]. Ciò sta a significare che dieci pazienti su cento che si ricoverano in ospedale subiscono un danno correlato all’assistenza piuttosto che un’evoluzione o complicazione della patologia stessa. Circa la metà di questi eventi avversi sono però prevenibili ed è forse in questa quota di eventi che si annidano alcune malpractice, anche se la prospettiva utilizzata nella ricerca sugli eventi avversi è, quasi nella totalità degli studi, basata sulla qualità dell’assistenza e non sulla ricerca delle responsabilità.
A seguito dei risultati della ricerca in questo ambito si è quindi costituito, sin dalla pubblicazione del sopra citato rapporto statunitense, un movimento internazionale che ha sviluppato teorie, metodi e strumenti per introdurre dei cambiamenti nella pratica clinica per ridurre gli eventi avversi. Un importante elemento di novità è stato affrontare la sicurezza delle cure al di fuori degli aspetti giuridici e di responsabilità all’interno dei quali veniva comunemente trattata, almeno nel nostro Paese. Non rappresenta, quindi, una nuova questione di sanità pubblica, ma un vecchio problema riproposto e da affrontare, secondo paradigmi culturali nuovi.
Il Consiglio d’Europa ha affermato, in un successivo atto del 2014, tali concetti, in modo ancora più esplicito compresi la prevenzione e il controllo delle infezioni associate all’assistenza sanitaria e della resistenza agli antimicrobici[12]. Il comma 2 dell’art. 1 evidenzia un approccio, relativamente innovativo, alla sicurezza delle cure, non più basato solo ed esclusivamente sulle competenze e conoscenze del singolo operatore sanitario, ma sull’organizzazione nel suo complesso.
L’idea di fondo su cui si basa questo approccio è che gli errori e il comportamento umano non possono essere compresi e analizzati isolatamente, ma devono esserlo in relazione al contesto nel quale la gente lavora. Il personale medico e sanitario è influenzato dalla natura del compito che svolge, dal gruppo di lavoro, dall’ambiente di lavoro e dal più ampio contesto organizzativo, cioè dai cosiddetti fattori sistemici. In questa prospettiva gli errori sono visti, non tanto come il prodotto della fallibilità personale, quanto come le conseguenze di problemi più generali presenti nell’ambiente di lavoro e nell’organizzazione. Il modello di analisi del rischio basato sulla persona è risultato debole dagli studi condotti negli ultimi cinquant’anni nei casi di tutti i più gravi incidenti avvenuti nel mondo. Analogamente al modello ingegneristico in cui, il fallimento della tecnologia, è comunque sempre la conseguenza di un errore umano. Ciò nonostante, risulterebbe poco realistico attribuire al “sistema” ogni causa di errore. Occorre preservare la responsabilità individuale e, al contempo, comprendere le interrelazioni tra persona, tecnologia e organizzazione[13].
A tal fine James Reason(1990)[14] ha introdotto nella definizione dei possibili errori che determinano un incidente oltre all’errore attivo, quello causato direttamente dall’essere umano, anche quello latente, dovuto a criticità correlate alle organizzazioni, non suscettibili a variazioni, ma sempre presenti e stabili nel sistema[15]. L’approccio all’errore di tipo cognitivo e organizzativo (modello socio-tecnico)[16] ha permesso inoltre di entrare nei meccanismi mentali e organizzativi che ci portano a sbagliare modificando le finalità di investigazione degli incidenti, non più esclusivamente tese ad accertare cause e responsabilità individuali utilizzando le regole e le norme del diritto penale, soprattutto interessate a migliorare il sistema di lavoro ricorrendo ad un più ampio, seppure meno definito, set di teorie e discipline nonché di tecniche e metodi di osservazione. La sicurezza delle cure è correlata alla qualità e ne rappresenta la dimensione più critica. La prevenzione e la gestione del rischio ne sono gli strumenti principali. La prevenzione anticipa il rischio introducendo delle procedure e pratiche cliniche controllate, la gestione del rischio è, invece, l’individuazione delle condizioni di pericolo, la sua valutazione in termini probabilistici di causare un danno e il suo controllo o contenimento.
La sicurezza delle cure si esplica anche mediante l’erogazione di cure appropriate che rispondano a criteri di evidenza clinica ma anche di sostenibilità economica in relazione al rapporto costi benefici. È noto che molti degli accertamenti richiesti in medicina possono esporre i pazienti a vari tipi di rischi: reazioni allergiche ai farmaci, esposizioni a radiazioni, ma anche ansie e timori dovuti a errori di laboratorio, non corretta comunicazione. L’approccio sistemico alla sicurezza rappresenta la novità assoluta introdotta con il rapporto “To err is human” che fa riferimento al settore aeronautico come un esempio di un moderno e corretto modello per elevare i livelli di affidabilità.
L’approccio sistemico parte dal presupposto che l’errore umano è intrinseco alla pratica clinica e, più in generale, a tutte le azioni umane. Dobbiamo per questo inserire dei meccanismi di controllo e prevenzione dell’errore. In questa logica, l’attenzione della giurisprudenza deve spostarsi sul contesto in cui il professionista opera, evidenziandone le criticità, le condizioni che hanno portato all’errore e che risiedono nell’organizzazione (scelte e decisioni sbagliate del management), nella strumentazione che non risponde a criteri ergonomici, nella formazione non in grado di sviluppare le skill necessarie, nei carichi di lavoro che incrementano lo stress occupazionale[17] e quindi la probabilità di errore.
3. Gli aspetto funzionali del Centro per la gestione del rischio sanitario ed il tema della sicurezza del paziente.
ARTICOLO 2
Attribuzione della funzione di garante per il diritto alla salute del Difensore civico regionale o provinciale e istituzione dei Centri regionali per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente.
4.In ogni regione è istituito, con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e comunque senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, il Centro per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente, che raccoglie dalle strutture sanitarie e sociosanitarie pubbliche e private i dati regionali sui rischi ed eventi avversi e sul contenzioso e li trasmette annualmente, mediante procedura telematica unificata a livello nazionale, all’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, di cui all’articolo 3.
5.All’articolo 1, comma 539, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, è aggiunta, in fine, la seguente lettera: «d-bis) predisposizione di una relazione annuale consuntiva sugli eventi avversi verificatisi all’interno della struttura, sulle cause che hanno prodotto l’evento avverso e sulle conseguenti iniziative messe in atto. Detta relazione è pubblicata nel sito internet della struttura sanitaria».
Il comma 4 dell’art. 2 rappresenta la prima importante innovazione organizzativa introdotta dalla legge. È necessario per lo sviluppo della sicurezza delle cure che ogni regione e provincia autonoma si doti di un proprio Centro per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente.
Specificatamente, il Comitato Tecnico Scientifico[18] svolge le seguenti funzioni:
– predisposizione del programma annuale sulla sicurezza delle cure da proporre alla Direzione regionale competente per la sua approvazione;
– programmazione annuale delle iniziative formative di livello regionale sulla sicurezza delle cure da proporre alla Direzione Diritti di cittadinanza e coesione sociale per la sua approvazione;
– predisposizione delle buone pratiche per la sicurezza delle cure ed i relativi aggiornamenti;
–
Il rischio di cui si occuperà il Centro è stato definito sanitario, differentemente da quanto riportato nella letteratura internazionale in cui si parla prevalentemente di rischio clinico (“clinical risk”). Un’efficace gestione del rischio clinico passa necessariamente attraverso la comprensione del problema e per tale ragione è opportuno partire da una possibile definizione di rischio.
A tal proposito, il rischio clinico può essere definito come la possibilità che un paziente sia vittima di un evento avverso, cioè subisca un qualsiasi danno o disagio, imputabile, anche se in modo involontario, alle cure mediche prestate durante il periodo di degenza[19].
È ipotizzabile che il legislatore abbia voluto estendere con questo di verso aggettivo l’area del rischio non solo alle attività cliniche ma, in senso lato a quelle sanitarie ovvero relative alla salute e sanità nel suo complesso, includendo non solo gli aspetti clinico assistenziali, ma anche quelli tecnologico-ambientali-organizzativi e correlati all’appropriatezza e sostenibilità delle cure.
Quanto stabilito dal comma 4 deriva dalla raccomandazione del Consiglio d’Europa del 9 giugno 2009 sulla sicurezza del paziente che raccomanda agli Stati membri la nomina dell’autorità o delle autorità competenti o di ogni altro organo responsabile per la sicurezza dei pazienti sul proprio territorio. L’Accordo Stato-Regioni del 20 Marzo 2008, n. 116 aveva di fatto già impegnato le regioni e province autonome ad attivare una funzione aziendale permanente dedicata alla gestione del rischio clinico e alla sicurezza del paziente e delle cure[20], che includesse il monitoraggio e l’analisi degli eventi avversi e l’implementazione delle pratiche per la sicurezza. Si trattava di un accordo estremamente moderno che avrebbe anticipato le raccomandazione del consiglio d’Europa del 2009 e del 2014. Successivamente il decreto del ministero della salute del 11 dicembre 2009 “Istituzione del sistema informativo per il monitoraggio degli errori in sanità” (SIMES)[21] avrebbe creato le condizioni operative e tecniche per il monitoraggio degli eventi sentinella e del contenzioso nell’ambito del servizio sanitario nazionale. Lo scopo principale di un sistema di segnalazione consiste, infatti, nell’imparare dall’esperienza al fine di migliorare il sistema sanitario (learn from experience)[22]. Le segnalazioni gestite tramite i sistemi di segnalazione devono rispondere alle caratteristiche di non punibilità, confidenzialità, indipendenza, tempestività, orientamento al sistema, reattività e necessitano di essere analizzate da esperti di analisi in materia di sicurezza e qualità delle cure, per una riflessione costruttiva sui processi organizzativi legati alla qualità dell’assistenza e sicurezza delle cure, indipendente rispetto a ulteriore indagini parallele che indagano l’eventuale responsabilità professionale.
In questo contesto, la condivisione delle esperienze dei sistemi di segnalazione rappresenta un ulteriore punto di forza per sostenere l’impegno degli operatori sanitari per la sicurezza dei paziente e rendere più trasparenti le organizzazioni sanitarie, auspicabilmente con effetti positivi sia sulla riduzione dei rischi che del contenzioso. L’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha infatti sviluppato, in quest’ottica, nel 2012 il Minimal Information Model[23] (Modello di Informazioni Minime) per la segnalazione degli eventi, basandosi sull’esperienza internazionale dei sistemi di reporting&learning e di tassonomia degli errori al fine di offrire un modello informativo minimo che deve essere garantito da tutti i sistemi di segnalazione, informazioni che non possono essere utilizzati a fini punitivi, ma solo a fini di apprendimento e miglioramento della qualità e sicurezza delle cure. Il comma 4 sembra attribuire a tale struttura solo una funzione di trasmissione di dati dai sistemi di segnalazione regionali sugli eventi sentinella e sul contenzioso (richieste di risarcimento/sinistri) all’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità istituito presso l’Agenzia Nazionale dei Servizi Sanitari Regionali (Agenas)[24]. In realtà le sue funzioni, se analizziamo le attività da svolgere in base agli articoli 538 e 539 della legge 28 dicembre 2015 n. 208 a livello dei singoli presidi ospedalieri, saranno, come di fatto già avviene, di coordinamento delle attività di gestione del rischio sanitario e sicurezza del paziente in tutto il servizio sanitario regionale, a garanzia di equità e omogeneità dei livelli di qualità e sicurezza delle prestazioni erogate. I Centri si dovranno occupare di inappropriatezza e di promozione della sicurezza mediante specifiche iniziative e con la formazione continua. Questi organismi dovranno altresì fornire alle aziende sanitarie indicazioni sulla gestione degli eventi sentinella, diffondere le conoscenze derivanti dalla loro analisi ai fini dell’apprendimento dell’esperienza che ne deriva, mettere a punto e diffondere le buone pratiche per la sicurezza in relazione a tutte le questioni inerenti il rischio sanitario. Estrema importanza deve essere attribuita alle competenze presenti in queste strutture alla luce della letteratura scientifica. Essendo gli organismi deputati ad analizzare gli incidenti, a promuovere i sistemi di segnalazione e apprendimento e le pratiche per la sicurezza, è necessario che abbiano conoscenze in varie discipline, proprio in considerazione della complessità dei sistemi oggetto di analisi. Come avvenuto per le scienze sui cambiamenti climatici, sono oggi necessarie oltre a medici e infermieri, anche professionalità in statistica, sociologia, psicologia, ergonomia e fattore umano, economia, comunicazione, scienze organizzative, industrial design, ingegneria per affrontare la complessità dei sistemi sanitari[25]. Non è interpretabile la norma costituendo centri regionali con solo funzioni di raccolta dati e flussi informativi, deboli dal punto di vista della cultura del rischio.
In base al comma 5 ogni Centro dovrà produrre annualmente una relazione che presenti il consuntivo sugli eventi avversi e sulle cause che li hanno determinati. Si tratta di un documento di analisi di dati che ha lo scopo di pianificare successivamente le iniziative di prevenzione più adeguate. Tutti da definire i contenuti di questo documento, anche se i rapporti già prodotti a livello nazionale e internazionale da istituzioni scientifiche e governative, possono rappresentare una ottima base di partenza. È chiaro che la relazione dovrà dare la dimensione del funzionamento del sistema di segnalazione e apprendimento, indicando il numero di segnalazioni e il numero di audit per eventi significativi e rassegne di mortalità e morbilità realizzate, il numero di richieste di risarcimento pervenute, calcolando anche dei tassi per definire dei trend ben precisi, consentendone dei confronti. La relazione dovrà anche contenere, di conseguenza, le pratiche della sicurezza promosse dall’azienda sulla base della letteratura scientifica e applicate nei diversi contesti. Molto importante descrivere la formazione svolta in base ai fabbisogni e all’andamento degli esiti delle cure[26].
[1] L’art. 3 del decreto legge “Balduzzi” regola inoltre la responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie. La norma ha l’obiettivo di contenere il fenomeno della cosiddetta “medicina difensiva” che determina la prescrizione di esami diagnostici inappropriati al solo scopo di evitare responsabilità civili, con gravi conseguenze sia sulla salute dei cittadini, sia sull’aumento delle liste di attesa e dei costi a carico delle aziende sanitarie. Tale intervento del Ministro Balduzzi è naturalmente collegato anche al generale obbligo assicurativo previsto dalla concomitante riforma delle professioni come declinata con il DL 138/2011 e successivamente con il D.P.R. 7 agosto 2012, n. 137 .
Cfr. http://www.quotidianosanita.it/governo-e-parlamento/articolo.php?articolo_id=10878.
[2] Per approfondire: http://www.quotidianosanita.it/allegati/allegato9769544.pdf.
[3] Per approfondimento.
PROFESSIONI SANITARIE AUSILIARI (titolo: diploma)
Ostetrica
Assistenti sanitari
Infermieri professionali
Vigilatrici d’infanzia
Terapisti della rianimazione
Tecnici sanitari di radiologia medica
Tecnici di immunologia e trasfusione
Tecnici di igiene ambientale
Igienisti dentali
Podologi
Audiometristi
Massofisioterapisti
Tecnici della riabilitazione funzionale
Tecnici di laboratorio
Dietisti
ARTI AUSILIARI DELLE PROFESSIONI SANITARIE (titolo: licenza)
Odontotecnico
Ottico
Meccanico ortopedico
Infermieri abilitati
Puericultrici
[4] In riferimento al tema delle professioni sanitarie, si è insediata il 13 marzo al Ministero della Salute la Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie (CCEPS), ricostituita con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27 dicembre 2016.
La procedura per il rinnovo della CCEPS è stata complessa e articolata a seguito della sentenza n. 215 del 7 ottobre 2016 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della normativa che regola la composizione della Commissione nelle parti in cui si fa riferimento alla nomina dei componenti di derivazione ministeriale.
La CCEPS, cui sono attribuite funzioni di giurisdizione speciale, procederà all’esame dei ricorsi presentati dai professionisti sanitari contro i provvedimenti dei rispettivi Ordini e Collegi professionali in materia di sanzioni disciplinari, di tenuta degli albi professionali, nonché in materia di regolarità delle operazioni elettorali per il rinnovo degli organi direttivi. Avverso le decisioni della Commissione centrale è ammesso ricorso alle sezioni unite della Corte di Cassazione.
La Commissione, presieduta dal Cons. Antonio Pasca, Presidente del TAR di Lecce, è composta dai rappresentanti designati dalle Federazioni nazionali degli Ordini e dei Collegi delle professioni sanitarie di: medico chirurgo, odontoiatra, medico veterinario, farmacista, ostetrica, infermiere professionale, assistente sanitario, vigilatrice di infanzia, tecnico sanitario di radiologia medica. La Commissione dura in carica quattro anni.
Per approfondire: http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_6.jsp?lingua=italiano&id=2530&area=cceps&menu=vuoto.
[5] Benci L., Bernardi A., Fiore A., Frittelli T., Gasparrini V., Hazan M., Martinengo P., Rodriguez D., Rossi W., Tartaglia R., Tita A., Sicurezza delle cure e responsabilità sanitaria. Commentario alla legge 24/201,in Collana Medicina e Società, Quotidiano Sanità Edizioni, 2017.
[6] Vincent C, Sicurezza del paziente. Springer Verlag, 2012. Edizione italiana.
[7] Per approfondire sul sito istituzionale del Ministero della Salute Italiano: http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_5.jsp?area=qualita&menu=sicurezza.
[8] Raccomandazione del Consiglio del 9 giugno 2009 sulla sicurezza dei pazienti, comprese la prevenzione e il controllo delle infezioni associate all’assistenza sanitaria (2009/C 151/01).
[9] Un utile approfondimento: http://www.quotidianosanita.it/lettere-al-direttore/articolo.php?articolo_id=23212.
[10] Kohn LT, Corrigan JM, Donaldson MS. To Err is human: building a safer health system. Committee on quality. Institute of Medicine, Washington D.C., National Academic Press, 1999.
[11] In riferimento alla ricerca scientifica è significativo questo stralcio: “Beyond their cost in human lives, preventable medical errors exact other significant tolls. They have been estimated to result in total costs (including the expense of additional care necessitated by the errors, lost income and household productivity, and disability) of between $17 billion and $29 billion per year in hospitals nation wide. Errors also are costly in terms of loss of trust in the health care system by patients and diminished satisfaction by both patients and health professionals. Patients who experience a long hospital stay or disability as a result of errors pay with physical and psychological discomfort. Health professionals pay with loss of morale and frustration at not being able to provide the best care possible. Society bears the cost of errors as well, in terms of lost worker productivity, reduced school attendance by children, and lower levels of population health status”.
[12] Conclusioni del Consiglio sulla sicurezza dei pazienti e la qualità dell’assistenza medica, compresi la prevenzione e il controllo delle infezioni associate all’assistenza sanitaria e della resistenza agli antimicrobici (2014/C 438/05).
[13] Il Clima Organizzativo non è un concetto unidimensionale ma è composto da diversi fattori :
– Caratteristiche che descrivono un’organizzazione anche nella percezione collettiva che le persone hanno dello spirito della loro organizzazione.
– La distinguono da altre organizzazioni anche in ordine alla cultura, ai valori e agli atteggiamenti.
– Sono relativamente durature nel tempo.
– Influenzano il comportamento degli individui nell’organizzazione.
– Costituiscono un insieme aggregato di aspettative ed incentivi.
[14] Reason J., Errore Umano, Il Mulino, 1990.
[15] Spesso sussiste la possibilità che si verifichi un evento avverso dipende dalla presenza, nel sistema, di errori (o insufficienze) latenti, ovvero errori (o insufficienze) di progettazione, organizzazione e controllo, che restano silenti finché un fattore scatenante non li rende manifesti in tutta la loro potenzialità, causando danni più o meno gravi. Se gli errori attivi (errori umani, procedure non rispettate, distrazioni, incidenti di percorso) sono per lo più individuabili e riconoscibili come causa diretta e immediata di un evento avverso, un’efficace gestione del rischio clinico deve basarsi anche sull’individuazione degli errori latenti, poiché solo rimuovendo le insufficienze del sistema si riduce la probabilità che si verifichi un errore (attività di prevenzione) e si contengono le conseguenze dannose di quelli comunque verificatisi (attività di protezione).
La teoria degli errori latenti si fonda sul presupposto che, per un evento avverso che ha avuto luogo, ce ne sono stati molti altri che non sono avvenuti solo perché qualcuno o qualcosa (un operatore, la presenza di un controllo o di una barriera) lo ha impedito: sono i quasi eventi, o near miss (Nashef 2003), che si producono quando vengono superate tutte le difese del sistema. L’errore latente è stato descritto attraverso il modello elaborato da James Reason ‘del formaggio svizzero’ (Human error, 1990; trad. it. 1994), in cui ogni fetta di formaggio rappresenta uno strato difensivo dell’organizzazione, basato su fattori di diverso tipo (l’affidabilità dei sistemi ingegnerizzati o degli esseri umani, oppure controlli e procedure). Ogni strato idealmente dovrebbe essere privo di punti critici, ma in realtà in ognuno di essi, come appunto in una fetta di formaggio svizzero, esistono dei ‘buchi’, che possono aprirsi, chiudersi, spostarsi. La presenza di questi buchi di per sé non è sufficiente per il verificarsi di un incidente, che accade solo quando i buchi si trovano ‘allineati’ e permettono la cosiddetta traiettoria delle opportunità. Se i buchi fossero sempre allineati ci troveremmo di fronte a un sistema particolarmente soggetto a incidenti. I buchi sono invece disposti in modo casuale, vale a dire che ogni livello organizzativo ha criticità specifiche.
[16] Catino M, Da Chernobil a Linate. Incidenti tecnologici o errori organizzativi?, Carocci editore, Roma 2002.
[17] Un nuovo rapporto dell’Agenzia Europea per la sicurezza e la salute fa il punto su uno dei problemi di salute occupazionale più ricorrente: lo stress (altresì detto stress occupazionale).
Fra i problemi di salute occupazionale riferiti più di frequente lo stress si colloca al secondo posto, con il 22% di lavoratori colpiti nell’UE-27. Sulla base degli studi condotti risulta che il 50-60% del totale di giorni lavorativi persi è attribuibile allo stress. Tutto ciò comporta ingenti ripercussioni, tanto in termini di disagio umano quanto di pregiudizio del risultato economico.
Lo stress sul lavoro può colpire chiunque, a qualsiasi livello. Può interessare qualsiasi settore e aziende di ogni dimensione. Lo stress influisce sulla salute e la sicurezza delle singole persone, ma anche sulla salute delle imprese e delle economie nazionali.
È probabile che il numero di persone che soffrono di patologie legate allo stress provocato o peggiorato dall’attività lavorativa aumenti in futuro. I cambiamenti in corso nel mondo del lavoro sottopongono i lavoratori a pressioni sempre maggiori: si pensi al ridimensionamento delle imprese e all’esternalizzazione delle mansioni, al maggior bisogno di flessibilità in termini di impiego e competenze, all’accresciuto ricorso ai contratti a tempo determinato, alla più marcata precarietà del lavoro e all’intensificazione dell’attività lavorativa (con un carico di lavoro più intenso e un aumentato livello di pressione), nonché allo scarso equilibrio tra lavoro e vita privata. Lo stress può essere fonte per le persone di malattia e disagio, in ambito sia lavorativo che familiare. Lo stress, inoltre, può mettere in pericolo la sicurezza sul luogo di lavoro e contribuire all’insorgere di altri problemi di salute legati all’attività lavorativa, quali i disturbi muscoloscheletrici, nonché incidere in misura massiccia sul risultato economico di un’organizzazione.
Nel 2002 il costo economico annuale dello stress legato all’attività lavorativa nell’UE a 15 è stato calcolato pari a 20 miliardi di euro.
Utile per un approfondimento: http://www.arpat.toscana.it/notizie/notizie-brevi/2010/lo-stress-occupazionale.
[18] Per approfondire: http://www301.regione.toscana.it/bancadati/atti/Contenuto.xml?id=5120790&nomeFile=Delibera_n.717_del_19-07-2016-Allegato-1.
[19] Per approfondire: http://www.rischioclinico.com/rischio/component/content/article/35-approfondimenti-rischio-clinico/53-modello-organizzativo-integrato.html.
[20] Utile approfondire, come esemplificazione, il Recepimento dell’Accordo Stato-Regioni del 26 febbraio 2009, rep. atti n.20/CSR. Approvazione del Piano regionale di utilizzo delle quote vincolate per la realizzazione degli obiettivi di carattere prioritario e di rilievo nazionale del Piano Sanitario Nazionale per l’anno 2008. Ripartizione quota del fondo vincolato. Utile prendere in considerazione uno stralcio: ATTESO che il citato Accordo ha puntualmente definito le linee progettuali per le quali utilizzare le risorse vincolate ed ha indicato, per alcune linee, specifici progetti, come di seguito riportato:
1. Cure primarie
1.1 Casa della Salute
1.2 Facilitazione della comunicazione nei pazienti con gravi patologie neuromotorie
2. Salute della donna e del neonato
2.1 Iniziative per la salute della donna
2.2 Iniziative a favore delle gestanti e delle partorienti e del neonato
3. Aggiornamento del personale
4. Reti assistenziali
4.1 La rete delle malattie rare
4.2 La rete delle unità spinali
5. Governo clinico
6. Le liste di attesa
7. Piano nazionale di prevenzione
8. Linee progettuali individuabili dalle singole regioni
[21] Il Sistema Informativo per il Monitoraggio degli Errori in Sanità (SIMES) ha l’obiettivo di raccogliere le informazioni relative agli eventi sentinella ed alle denunce dei sinistri su tutto il territorio nazionale consentendo la valutazione dei rischi ed il monitoraggio completo degli eventi avversi.
Per approfondire: http://www.nsis.salute.gov.it/portale/temi/p2_5.jsp?lingua=italiano&area=sistemaInformativo&menu=errori.
[22] WHO Draft Guidelines for Adverse Event Reporting and Learning (2006).
[23] World Health Organization. Working paper MIM for Patient Safety (2014) e World Health Organization. International Consultation on European Validation of the Minimal Information Model for Patient Safety Incident Reporting and Learning (2015).
[24] Agenas è un ente pubblico non economico nazionale, che svolge una funzione di supporto tecnico e operativo alle politiche di governo dei servizi sanitari di Stato e Regioni, attraverso attività di ricerca, monitoraggio, valutazione, formazione e innovazione.
Per approfondire: http://www.agenas.it.
Articolo 3 (Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità). Qui, precisamente, si dispone che venga istituita presso l’Agenas, e senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, l’Osservatorio nazionale delle buone pratiche sulla sicurezza nella sanità, il quale acquisisce dai Centri per la gestione del rischio sanitario e la sicurezza del paziente i dati regionali relativi ai rischi ed eventi avversi, nonché alle cause, all’entità, alla frequenza e all’onere finanziario del contenzioso. Inoltre, anche mediante la predisposizione (con l’ausilio delle società scientifiche e delle associazioni tecnico-scientifiche delle professioni sanitarie) di linee di indirizzo, individua idonee misure per la prevenzione e la gestione del rischio sanitario sicurezza delle cure nonché per la formazione e l’aggiornamento del personale esercente le professioni sanitarie. Nell’esercizio delle proprie funzioni, l’Osservatorio si avvale anche del Sistema informativo per il monitoraggio degli errori in sanità (SIMES). Il Ministro della Salute trasmette annualmente alle Camere una relazione sull’attività svolta dall’Osservatorio.
[25] Vincent C, Batalden P, Davidoff F, Multidisciplinary centres for safety and quality improvement: learning from climate change science, BMJ Qual Saf 2011;20(Suppl 1):i73ei78.
[26] Tutto ciò richiama il cosiddetto risk management che rappresenta l’insieme delle varie azioni complesse messe in atto per migliorare la qualità delle prestazioni sanitarie e garantire la sicurezza del paziente, promovendo la crescita di una cultura della salute più attenta e vicina al paziente ed agli operatori, favorendo la destinazione di risorse su interventi tesi a sviluppare organizzazioni e strutture sanitarie
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