Sommario: 1. Premessa introduttiva – 2. Il sapere scientifico nella giurisprudenza della Corte di Cassazione – 3. L’apprezzamento della prova scientifica nella giurisprudenza della Corte di Cassazione – 4. La problematicità della prova scientifica nella giurisprudenza della Corte di Cassazione – 5. Note conclusive – 6.Volume
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Premessa introduttiva
Prova scientifica e processo penale costituiscono una diade che ha ormai penetrato a fondo le discipline procedurali([1]) al punto che non vi è più alcun manuale universitario che non dedichi ai temi epistemologici almeno un capitolo([2]).
La tematica si rivela tanto complessa quanto delicata; essa, lo si può fin d’ora anticipare, segna un percorso per così dire già tracciato dalla storia della filosofia della scienza in termini d’inarrestabilità e di continuo e progressivo affermarsi nell’ambito delle discipline giuridiche ove, oramai, è pacificamente conosciuto col nome di epistemologia giuridica([3]).
Le note che qui si propongono hanno quale fine quello di operare una informazione ricognitiva all’attualità della materia con precipuo riguardo all’area del processo penale. Segnatamente, come evoca il titolo, l’area processuale penale allorquando ha ad oggetto fatti di reato in materia di lavoro ove, vieppiù allorquando si tratta di malattie professionali, la dinamica eziologica riveste peculiare importanza([4]).
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Il sapere scientifico nella giurisprudenza della Corte di Cassazione
In argomento ed in stretta fedele aderenza al tema, occorre richiamare preliminarmente, i principi che, secondo quello che viene unanimemente definito diritto vivente([5]) governano l’apprezzamento giudiziale della prova scientifica da parte del giudice di merito.
L’elaborazione concettuale in parola si deve all’esercizio della funzione nomofilattica ad opera dei supremi giudici di piazza Cavour.
La Suprema Corte ha in particolare evidenziato, sul piano metodologico, che qualsiasi lettura della rilevanza dei saperi di scienze diverse da quella giuridica, utilizzabili nel processo penale, non può avere l’esito di accreditare l’esistenza, nella regolazione processuale vigente, di un sistema di prova legale, che limiti la libera formazione del convincimento del giudice; che il ricorso a competenze specialistiche con l’obiettivo di integrare i saperi del giudice, rispetto a fatti che impongono metodologie di individuazione, qualificazione e ricognizione eccedenti i saperi dell’uomo comune, si sviluppa mediante una procedimentalizzazione di atti([6]) ad impulso del giudice ed a necessaria formazione progressiva. Non solo; il supremo collegio ha altresì evidenziato che la valutazione di legittimità, sulla soluzione degli interrogativi causali imposti dalla concretezza del caso giudicato, riguarda la correttezza e conformità alle regole della logica dimostrativa dell’opinione espressa dal giudice di merito, quale approdo della sintesi critica del giudizio([7]).
Chiarito che il sapere scientifico costituisce un indispensabile strumento, posto al servizio del giudice di merito, deve rilevarsi che, non di rado, la soluzione del caso posto all’attenzione del giudicante, nei processi ove assume rilievo l’impiego della prova scientifica, viene a dipendere dall’affidabilità delle informazioni che, attraverso l’indagine di periti e consulenti, penetrano nel processo. Si tratta di questione di centrale rilevanza nell’indagine fattuale, giacché costituisce parte integrante del giudizio critico che il giudice di merito è chiamato ad esprimere sulle valutazioni di ordine extra giuridico compiute nel processo. Il giudice deve, pertanto, dar conto del controllo esercitato sull’affidabilità delle basi scientifiche del proprio ragionamento, soppesando l’imparzialità e l’autorevolezza scientifica dell’esperto che trasferisce nel processo conoscenze tecniche e saperi esperienziali.
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L’apprezzamento della prova scientifica nella giurisprudenza della Corte di cassazione
Con riguardo all’apprezzamento della prova scientifica([8]) che viene effettuato da parte del giudice di merito ed ai limiti dello scrutinio di legittimità sul punto in questione, i criteri valutativi che vengono in rilievo sono così sintetizzati dalla giurisprudenza di legittimità: «Per valutare l’attendibilità di una teoria occorre esaminare gli studi che la sorreggono. Le basi fattuali sui quali essi sono condotti. L’ampiezza, la rigorosità, l’oggettività della ricerca. Il grado di sostegno che i fatti accordano alla tesi. La discussione critica che ha accompagnato l’elaborazione dello studio, focalizzata sia sui fatti che mettono in discussione l’ipotesi sia sulle diverse opinioni che nel corso della discussione si sono formate. L’attitudine esplicativa dell’elaborazione teorica. Ancora, rileva il grado di consenso che la tesi raccoglie nella comunità scientifica. Infine, dal punto di vista del giudice, che risolve casi ed esamina conflitti aspri, è di preminente rilievo l’identità, l’autorità indiscussa, l’indipendenza del soggetto che gestisce la ricerca, le finalità per le quali si muove»([9]).
L’accertamento della riferibilità causale della malattia tumorale al polmone, contratta da soggetto esposto alle fibre di amianto, rispetto alla condotta individuale posta in essere dal singolo garante, presenta peculiari difficoltà, in ragione della natura multifattoriale della patologia, come sopra chiarito. Al riguardo, deve inoltre ricordarsi che alla teoria che riconosce un effetto dose-risposta delle esposizioni successive all’iniziazione, di talché la patologia si deve qualificare come dose-correlata, sussistendo un effetto acceleratore che deriva dalla protrazione della esposizione, si contrappone la teorica che esclude la correlazione della cancerogenesi rispetto alla intensità ed alla durata della esposizione([10]).
La Corte regolatrice, già dieci anni addietro, ha affermato che in tema di causalità, la dipendenza di un evento da una determinata condotta deve essere affermata anche quando le prove raccolte non chiariscano ogni passaggio della concatenazione causale e possano essere configurate sequenze alternative di produzione dell’evento, purché ciascuna tra esse sia riconducibile all’agente e possa essere esclusa l’incidenza di meccanismi eziologici indipendenti. Nel caso, si trattava di fattispecie relativa al decesso di lavoratori in conseguenza dell’inalazione di polveri di amianto, ove – pur nell’assenza di dati certi sull’epoca di maturazione della patologia – era stata assegnata rilevanza causale alla condotta di soggetti responsabili della gestione aziendale per una parte soltanto del periodo di esposizione delle persone offese, sul presupposto che tale condotta avesse ridotto i tempi di latenza della malattia, nel caso di patologie già insorte, oppure accelerato i tempi di insorgenza, nel caso di affezioni insorte successivamente([11]).
La giurisprudenza successiva evidenzia una frequenza di situazioni processuali nella quali alla sentenza di merito oggetto del controllo di legittimità è stata proposta come legge scientifica di copertura in tema di eziopatogenesi del mesotelioma quella che privilegia la qualità dose correlata della malattia([12]).
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La problematicità della prova scientifica nella giurisprudenza della Corte di cassazione
Diverso ordine di considerazioni, sul punto di interesse, sono state svolte nella sentenza Cozzini. Trattasi di un pronunciamento emblematico del rigore col quale il supremo collegio vaglia gl’esiti epistemologici in tema di eziologia penale.
Nel caso ora richiamato la Suprema Corte, nel disporre l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, ha evidenziato che l’affermazione del rapporto di causalità tra le violazioni delle norme antinfortunistiche ascrivibili ai datori di lavoro e l’evento-morte (dovuta a mesotelioma pleurico) di un lavoratore reiteratamente esposto, nel corso della sua esperienza lavorativa (esplicata in ambito ferroviario), all’amianto, sostanza oggettivamente nociva, è condizionata all’accertamento:
- se presso la comunità scientifica sia sufficientemente radicata, su solide e obiettive basi, una legge scientifica in ordine all’effetto acceleratore della protrazione dell’esposizione dopo l’iniziazione del processo carcinogenetico;
- in caso affermativo, se si sia in presenza di una legge universale o solo probabilistica in senso statistico;
- nel caso in cui la generalizzazione esplicativa sia solo probabilistica, se l’effetto acceleratore si sia determinato nel caso concreto, alla luce di definite e significative acquisizioni fattuali;
- infine, per ciò che attiene alle condotte anteriori all’iniziazione e che hanno avuto durata inferiore all’arco di tempo compreso tra inizio dell’attività dannosa e l’iniziazione della stessa, se, alla luce del sapere scientifico, possa essere dimostrata una sicura relazione condizionalistica rapportata all’innesco del processo carcinogenetico([13]).
In motivazione, si osserva che le Sezioni Unite della Suprema Corte, con la sentenza Franzese([14]), hanno fugato le incertezze in ordine alla utilizzabilità di generalizzazioni probabilistiche nell’ambito del ragionamento causale e che la Corte regolatrice ha considerato utopistico un modello di indagine fondato solo su strumenti di tipo deterministico e nomo logico-deduttivo, cioè affidato esclusivamente alla forza esplicativa di leggi universali. Nell’ambito dei ragionamenti esplicativi si formulano, cioè, giudizi sulla base di generalizzazioni causali congiunte con l’analisi di contingenze fattuali. In tale prospettiva, il coefficiente probabilistico della generalizzazione scientifica non è solitamente molto importante. Ciò che è invece importante è che la generalizzazione esprima effettivamente una dimostrata, certa relazione causale tra una categoria di condizioni ed una categoria di eventi. L’estensore osserva, quindi, che nella verifica dell’imputazione causale dell’evento occorre dare corso ad un giudizio predittivo, sia pure riferito al passato: il giudice si interroga su ciò che sarebbe accaduto se l’agente avesse posto in essere la condotta che gli veniva richiesta. Con particolare riferimento alla casualità omissiva, si osserva poi che, in conformità all’insegnamento delle Sezioni Unite, la giurisprudenza di legittimità ha enunciato il carattere condizionalistico([15]) della causalità omissiva, indicando il seguente itinerario probatorio: il giudizio di certezza del ruolo salvifico della condotta omessa presenta i connotati del paradigma indiziario e si fonda anche sull’analisi della caratterizzazione del fatto storico, da effettuarsi ex post sulla base di tutte le emergenze disponibili, e culmina nel giudizio di elevata “probabilità logica”; e che “le incertezze alimentate dalle generalizzazioni probabilistiche possono essere in qualche caso superate nel crogiuolo del giudizio focalizzato sulle particolarità del caso concreto quando l’apprezzamento conclusivo può essere espresso in termini di elevata probabilità logica”. Nella sentenza si osserva, quindi, che il lato scientifico problematico riguarda la questione dell’effetto acceleratore della protratta esposizione. Con la precisazione che esso si scompone, in relazione alle problematiche relative all’attribuzione del fatto ad imputati che hanno agito in azienda in tempi diversi, in due sotto problemi non necessariamente coincidenti, relativi all’accelerazione del processo di iniziazione; ed all’abbreviazione del periodo di latenza tra l’iniziazione stessa e la formazione della prima cellula patologica. Ritenendo non logicamente risolta la centrale questione dell’effetto immancabile o solo probabilistico della protratta esposizione dopo l’iniziazione e deficitario l’apparato motivazionale sviluppato dalla Corte di Appello, che aveva riformato la decisione assolutoria di primo grado, la Suprema Corte ha disposto l’annullamento con rinvio, osservando che occorre appurare: – se presso la comunità scientifica sia sufficientemente radicata, su solide ed obiettive basi una legge scientifica in ordine all’effetto acceleratore della protrazione dell’esposizione dopo l’iniziazione del processo carcinogenetico; – e, in caso affermativo, se si sia in presenza di legge universale o solo probabilistica in senso statistico.
La Suprema Corte ha pure osservato che, nel caso in cui la generalizzazione esplicativa risulti solo probabilistica, occorre chiarire se l’effetto acceleratore si sia determinato nel caso concreto, alla luce di definite e significative acquisizioni fattuali. E che, per ciò che attiene alle condotte anteriori all’iniziazione e che hanno avuto (tutte) durata inferiore all’arco di tempo compreso tra inizio dell’attività lavorativa dannosa e l’iniziazione stessa, occorre appurare se, alla luce del sapere scientifico, possa essere dimostrata una sicura relazione condizionalistica rapportata all’innesco del processo carcinogenetico.
Vale la pena riportare, onde ribadire la problematicità dell’accertamento in discussione, testualmente un passo della sentenza Cozzini, sopra ampiamente citata:
<<È sotto gli occhi di tutti che l’impegnativo tema di cui ci si occupa ha determinato nella giurisprudenza lo sviluppo della cultura dell’epistemologia e del discorso scientifico. Questo salutare ampliamento degli orizzonti del giudice deve essere tuttavia condotto con grande cautela. Occorre liberarsi dell’idea ingenua che l’epistemologia ci possa indicare un metodo infallibile per l’approccio al sapere scientifico e per la sua utilizzazione nell’inferenza probatoria. Per rendersene conto è sufficiente osservare la varietà delle teorie che si contendono il campo nell’ambito della filosofia della scienza. La scelta dell’una o dell’altra corrente di pensiero rischia di rendere la giurisprudenza succube di complicate ed a volte astruse disquisizioni teoretiche, e di allontanarla dalla sfera della sensatezza, della comune comprensibilità. Il pericolo maggiore è quello di esporre al rischio dell’errore o del fraintendimento enunciazioni vitali per il discorso sulla inferenza fattuale e quindi di minare alla base la credibilità dello stile della giurisprudenza nell’articolazione del ragionamento probatorio: un pericolo testimoniato dalle censure, fondate o infondate che siano, che hanno colpito le Corti supreme, quella italiana compresa, quando hanno indicato uno stile dell’indagine fattuale. Non si tratta, dunque, di indicare un metodo del corretto esercizio della conoscenza (una sorta di formula magica) quanto piuttosto di attenersi ad un criterio più debole e pragmatico; di individuare una base sicura, un punto fermo che indirizzi il lavoro del giudice di merito. Tale nucleo essenziale e veramente fermo è la ragione, l’agire ideativo in modo oggettivo e logicamente ineccepibile, cioè basato sulla serrata ricerca ed analisi dei fatti concreti, mosso dalla disinteressata ricerca del traguardo invisibile costituito dalla certezza. Un agire razionale obiettivato in un atto, la motivazione, che della razionalità strenuamente applicata ai fatti è la condensazione ostensibile e criticabile. Traducendo con maggiore concretezza le enunciazioni proposte, il vigilato esercizio della ragione implica la necessità di comprendere, per ciascuna delle numerose inferenze che vengono agite nel corso del complessivo ragionamento probatorio, qual è la struttura dell’operazione logica che si compie e qual è il ruolo che è chiamato a svolgervi il sapere scientifico. L’individuazione della struttura logica di ciascuna inferenza costituisce il primo e più affidabile strumento per sfuggire all’errore e per stornare il pericolo di abbandonare il criterio di obiettiva razionalità per rifugiarsi in argomentazioni di tipo retorico>>.
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Note conclusive
L’accertamento giudiziale della causalità, sviluppato mediante il percorso epistemologico ora accennato, richiede, in conclusione, il riconoscimento razionale della continuità fisica tra condotta ed evento naturalistico, la ripetibilità del tipo di fenomeno. E la legge di copertura([16]), che “spiega” il tipo di fenomeno, può anche non essere di carattere osservativo; le sentenze Franzese e Cozzini aprono infatti la strada anche alle leggi teoriche, che consentano di affermare la regolarità della successione fenomenica.
Il viatico – concettuale prim’ancora che normativo – sicurezza del lavoro – processo penale – prova scientifica, evidenzia a tutto tondo la delicata problematicità del canone logico processuale dell’ultra ragionevolezza del dubbio scolpito nell’articolo 533 cpp([17]) ed icona paradigmatica dei criteri di logica formale applicata al diritto processuale([18]) ed introdotta nel sistema italiano nel febbraio 2006 con la legge n. 46.
Ecco perché <<l’al di là di ogni ragionevole dubbio>> si rivela implicati vo di un adeguato impiego dello strumentario epistemologico nel processo penale([19]).
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Note
([1]) Non solo quelle penalistiche, anche le civilistiche e le amministrativistiche per il tramite dello strumentario peritale adoperato nei rispettivi ambiti d’accertamento probatorio
([2]) Tra i primi s’annovera senz’altro il manuale di P. Tonini, Procedura Penale, Giuffrè, Milano, ultima edizione 2006
([3]) In materia, tra gli altri, vedi segnatamente G. Ubertis, Studi epistemologici, Giuffrè, Milano, 2008
([4]) Sul tema vedi, per tutti, T. Padovani, Diritto penale del lavoro, Cedam, Padova, 2000
([5]) Vedi in termini, oltre la citata manualistica processuale penalistica, quella civilistica – ad es. G. Iudica – P. Zatti, Linguaggio e regole del Diritto Privato, Ottava Edizione, Cedam, Padova,2007 – ed anche amministrativistica – ad es. G. Corso, Diritto amministrativo, Terza Edizione, G. Giappichelli editore, Torino, 2006 – che da tempo hanno fatto proprio il concetto indicato nel testo
([6]) Segnatamente: conferimento dell’incarico a periti e consulenti, formulazione dei relativi quesiti, escussione degli esperti in dibattimento nelle forme e coi modi disciplinati dal codice di rito
([7]) Così, in termini, Cass. Sez. 4, sentenza n. 80 del 17.01.2012
([8]) Afferente, precipuamente e specificatamente, all’accertamento del rapporto di causalità quale componente essenziale dell’elemento oggettivo del reato
([9]) cfr. in termini Cass. Sez. IV, sent. n. 43786/2010
([10]) Teoria cd. della dose “killer” o dose “trigger”
([11]) Cass. Sez. 4, Sentenza n. 988 del 11/07/2002, dep. 14/01/2003, Macola, Riv. 227002
([12]) Cass. Sez. 4. sentenza n. 39393, del 27.10.2005
([13]) Cass. Sez. 4, Sentenza n. 43786 del 17/09/2010, dep. 13/12/2010, Cozzini, Riv. 248943
([14]) La celeberrima sentenza del 2002 a sezioni unite redatta dal Presidente Giovanni Canzio
([15]) Sul quale vedi, amplius, G. Fiandaca ed E. Musco, diritto Penale Parte Generale, Zanichelli, Bologna, 2006
([16]) Il criterio delle leggi scientifiche di copertura è magistralmente indagato da F. Stella sin dagl’anni ’70 del secolo scorso; allo studioso si deve la celeberrima dicotomia probabilitàpossibilità che a tutt’oggi influenza considerevolmente il ragionamento inferenziale dei giudici
([17]) Art.533 c.p.p. – Condanna dell’imputato. 1. Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio. Con la sentenza il giudice applica la pena e le eventuali misure di sicurezza. 2. Se la condanna riguarda più reati, il giudice stabilisce la pena per ciascuno di essi e quindi determina la pena che deve essere applicata in osservanza delle norme sul concorso di reati e di pene o sulla continuazione. Nei casi previsti dalla legge il giudice dichiara il condannato delinquente o contravventore abituale o professionale o per tendenza. 3. Quando il giudice ritiene di dover concedere la sospensione condizionale della pena o la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale, provvede in tal senso con la sentenza di condanna. 3-bis. Quando la condanna riguarda procedimenti per i delitti di cui all’articolo 407, comma 2, lettera a), anche se connessi ad altri reati, il giudice può disporre, nel pronunciare la sentenza, la separazione dei procedimenti anche con riferimento allo stesso condannato quando taluno dei condannati si trovi in stato di custodia cautelare e, per la scadenza dei termini e la mancanza di altri titoli, sarebbe rimesso in libertà
([18]) Sui quali il rimando a P. Tonini, diritto processuale penale cit. è d’obbligo
([19]) Sul tema vedi amplius G. Ubertis, studi epistemologici, cit.
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