Massima |
C’è la responsabilità dell’amministratore della società, colpevole di aver omesso la predisposizione, presso il cantiere di lavoro, ove venivano svolte le opere edili, dei servizi igienici, aventi caratteristiche tali da minimizzare il rischio igienico. |
1. Premessa
Nella decisione in commento del 10 gennaio 2013 i giudici della Corte di Cassazione hanno precisato che vi è la responsabilità del datore di lavoro, in qualità di amministratore della omonima società, per non aver predisposto in maniera adeguata i servizi igienici (misure atte al fine di minimizzare così il rischio sanitario) all’interno del cantiere edile ove venivano svolte le attività – opere edili.
Nella fattispecie concreta la norma violata è l’articolo 96, comma 1, lett. a) del testo unico in materia di sicurezza sul lavoro, ovvero il decreto legislativo n. 81/2008.
Secondo l’articolo 96 – Obblighi dei datori di lavoro, dei dirigenti e dei preposti “1. I datori di lavoro delle imprese affidatarie e delle imprese esecutrici, anche nel caso in cui nel cantiere operi una unica impresa, anche familiare o con meno di dieci addetti:
a) adottano le misure conformi alle prescrizioni;
b) predispongono l’accesso e la recinzione del cantiere con modalità chiaramente visibili e individuabili;
c) curano la disposizione o l’accatastamento di materiali o attrezzature in modo da evitarne il crollo o il ribaltamento;
d) curano la protezione dei lavoratori contro le influenze atmosferiche che possono compromettere la loro sicurezza e la loro salute;
e) curano le condizioni di rimozione dei materiali pericolosi, previo, se del caso, coordinamento con il committente o il responsabile dei lavori;
f) curano che lo stoccaggio e l’evacuazione dei detriti e delle macerie avvengano correttamente;
g) redigono il piano operativo di sicurezza di cui all’articolo 89, comma 1, lettera h).
1-bis. La previsione di cui al comma 1, lettera g), non si applica alle mere forniture di materiali o attrezzature. In tali casi trovano comunque applicazione le disposizioni di cui all’articolo 26.
2. L’accettazione da parte di ciascun datore di lavoro delle imprese del piano di sicurezza e di coordinamento di cui all’articolo 100, nonché la redazione del piano operativo di sicurezza costituiscono, limitatamente al singolo cantiere interessato, adempimento alle disposizioni di cui all’articolo 17 comma 1, lettera a), all’articolo 26, commi 1, lettera b), 2, 3, e 5, e all’articolo 29, comma 3.
2. La fattispecie
Nella fattispecie concreta, oggetto di controversia, il ricorrente era stato condannato alla pena di 3000 € di ammenda per la violazione dell’art. 96 comma 1 lett a) D.Lgs. 81/2008.
Ciò in quanto, in qualità di amministratore dell’omonima società, avrebbe omesso di predisporre, presso il cantiere ove si svolgevano opere edili, servizi igienici con caratteristiche tali da minimizzare il rischio sanitario.
Avverso tale decisione, l’imputato propone ricorso, deducendo le seguenti motivazioni a propria difesa, ovvero:
1) violazione di legge perché il trattamento sanzionatorio della contravvenzione di cui al capo a) (art. 96 co. lett a)) è stato modificato dall’art. 88 del D.Lgs. 106/2009 (1);
2) vizio di motivazione con riferimento alla deposizione dei rappresentanti dell’Ispettorato del Lavoro che hanno contestato all’imputato la mancanza dei bagni, non la loro inidoneità (2).
Il ricorrente conclude invocando l’annullamento della sentenza impugnata.
3. Conclusioni
Nella decisione in commento del 10 gennaio 2013, i giudici della Corte, hanno ritenuto che è responsabile (e quindi passibile di sanzione) il datore di lavoro – imprenditore che non predispone i servizi igienici adeguati per il proprio personale dipendente.
Nella sentenza de qua si legge che il primo motivo di ricorso è fondato, in quanto “è per tabulas che il trattamento sanzionatorio (3000 € di ammenda) applicato all’imputato è stato quello, più severo, introdotto dalla nuova normativa così come prevista dall’art. 159 d.lgs 81/08 modificato dall’art. 88 d.lgs 3.8.09 n. 106.
Il fatto ascritto al ricorrente è, però, del 25.9.08, epoca in cui la pena prevista per l’infrazione di cui N. è stato dichiarato responsabile era da 500 a 2000 € di ammenda. Conseguentemente si è al cospetto di una errata applicazione della legge per essere stato violato il principio della irretroattività della disposizione meno favorevole”.
Per quanto concerne, invece, il secondo motivo di ricorso, i giudici della Corte lo ritengono, ai limiti della inammissibilità in quanto solleva questioni di merito che non competono.
Si legge, testualmente, nella decisione in commento che “………la questione di fatto è stata valutata correttamente ed adeguatamente dal giudice che ha anche vagliato la eventualità della presenza di un bagno in lamiera rilevando, però, che, non solo, non è stata raggiunta la prova della sua esistenza, ma, in ogni caso – quand’anche vi fosse stato – esso (visto che è stato sostituito) non presentava le prescritte caratteristiche necessarie a prevenire un rischio sanitario. Si tratta di considerazione logica qui non censurabile non essendo compito di questa corte di legittimità esaminare i fatti sotto angolazioni diverse per trarne conclusioni alternative”.
Da ciò ne consegue che il provvedimento impugnato deve essere annullato solamente con riferimento alla pena irrogata, restituendo, a tale scopo, gli atti al tribunale che deve provvedere alla rideterminazione alla luce delle critiche mosse nella motivazione della sentenza di legittimità.
Manuela Rinaldi
Avvocato foro Avezzano Aq – Dottoranda in Diritto dell’Economia e dell’Impresa Università La Sapienza, Roma, Proff. Maresca – Santoro Passarelli; Tutor di Diritto del Lavoro c/o Università Telematica Internazionale Uninettuno (UTIU) Docente prof. A. Maresca; Docente in corsi di Alta Formazione Professionale e Master; già docente a contratto a.a. 2009/2010 Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale Univ. Teramo, facoltà Giurisprudenza, corso Laurea Magistrale ciclo unico, c/o sede distaccata di Avezzano, Aq; Docente in Master e corsi di Alta Formazione per aziende e professionisti.
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(1) Sì che dall’iniziale pena prevista (da 500 a 2000 € di ammenda) si è pervenuti a quella dell’ammenda da 3000 a 12.000 €. Si legge in sentenza che “Il giudice ha chiaramente applicato la nuova disciplina perché ha applicato il “minimo della pena” ed ha irrogato 3000 € di ammenda, laddove, per il principio del favor rei, avrebbe dovuto basarsi sulla pena prevista in precedenza”.
(2) Siccome un vecchio bagno “tipo in lamiera” esisteva sicuramente come riferito da altro teste, l’istruttoria non ha provato né l’assenza del bagno né l’assenza di precise caratteristiche. Né, sì soggiunge, può essere adottato come argomento a carico il fatto che l’imputato, per non incorrere in ulteriori sanzioni, si sia adeguato alle prescrizioni impostegli.
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