E? nota agli studiosi del diritto amministrativo la complessa evoluzione legislativa e giurisprudenziale della disciplina sostanziale e processuale del c.d. silenzio-inadempimento[1].
Sul piano procedimentale questa fattispecie ricorre nell?ipotesi in cui l?Amministrazione mantenga un comportamento di ingiustificata inerzia di fronte all?obbligo, previsto dall?art. 2, comma primo, della legge 7 agosto 1990, n. 241, di concludere ogni procedimento amministrativo avviato: la norma prevede infatti che ?Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso?.
Il procedimento amministrativo, poi, deve essere concluso entro determinati limiti temporali, stabiliti in via regolamentare o, in via sussidiaria, dallo stesso articolo 2, comma terzo, della legge 241/1990 il quale prevede, in assenza di una specifica previsione, il termine massimo di 90 giorni per la conclusione del procedimento amministrativo avviato.
Il silenzio-inadempimento, generale manifestazione di inefficienza nella cura della cosa pubblica, assume particolare rilievo nei procedimenti attivati ad istanza di parte, nei quali risulta frustrata la legittima aspettativa del privato alla conclusione di un procedimento che evidentemente lo interessa.
Sul piano processuale ? risultato necessario attribuire all?interessato la facolt? di chiedere al G.A. una pronuncia che imponga alla P.A. di porre fine all?inerzia manifestata con il silenzio serbato.
A tal riguardo, l?art. 2 della legge 21 luglio 2000, n.
Sull?ampiezza dei poteri cognitori del G.A. nel giudizio avverso il silenzio, anche in seguito all?introduzione dell?innovativo art. 21 bis, rimaneva per? un dubbio insoluto: il sindacato giurisdizionale era limitato all?accertamento della illegittimit? dell?inerzia dell?amministrazione, come sosteneva chi accedeva ad un?interpretazione letterale della norma, ovvero si estendeva all?esame della fondatezza della pretesa sostanziale del privato, posta alla base dell?istanza dello stesso, in un?ottica acceleratoria di economia processuale?
La questione venne rimessa all?Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato che con la decisione 9 gennaio 2002, n. 1, condivise la tesi restrittiva, sostanzialmente argomentando sulla base del dato letterale della norma che attribuisce espressamente al giudice il solo potere di ordinare alla P.A. di provvedere e di nominare un commissario ad acta, i cui poteri risulterebbero peraltro notevolmente affievoliti da un eventuale sindacato nel merito da parte del giudice, se non addirittura ridotti ad una funzione di mera esecuzione materiale del dictat giudiziale[3].
La tesi della Plenaria non era convincente.
Una delibazione del merito della pretesa sottostante si rende necessaria ai fini di accelerazione della risoluzione delle controversie, quantomeno laddove si versi in ipotesi di attivit? strettamente vincolata che non necessiti di particolari adempimenti istruttori[4]. Pi? in generale, un esame della pretesa sostanziale in sede di giudizio avverso il silenzio pu? eventualmente disvelare la manifesta fondatezza, infondatezza o inammissibilit? della stessa istanza rivolta dal privato alla P.A.. In una tale eventualit? si rende evidentemente necessaria l?immediata declaratoria della fondatezza dell?istanza procedimentale da parte del Giudice investito della sola questione del silenzio. La finalit? pratica ? quella di impedire l?inutile prosecuzione dell?iter procedimentale al fine di non aggravare il carico di lavoro dei pubblici uffici ed anche in un?ottica deflattiva dei contenziosi che potrebbero trarre origine da eventuali successivi dinieghi dell?Amministrazione procedente[5].
Inoltre, anche la tendenza legislativa ha evidenziato la propensione al superamento dei precetti strettamente formali in favore di un esame diretto, in giudizio, della fondatezza della pretesa sostanziale del privato[6].
In questo contesto ? intervenuto alla fine l?articolo 3, comma 6-bis della legge 14 maggio 2005, n. 80 (legge di conversione del d.l. 14 marzo 2005, n. 35) che ha riscritto il comma quinto dell?art. 2 della legge 241/1990 stabilendo che ?il giudice pu? conoscere della fondatezza dell?istanza?.
La formula usata dal legislatore, forse provocatoriamente vaga, rimette alla discrezione del giudice amministrativo adito la scelta di sindacare la fondatezza della pretesa del privato.
Le prime pronunce emanate successivamente all?entrata in vigore della nuova disciplina hanno affermato che il potere di cui al novellato art. 2, comma quinto, va esercitato esclusivamente in presenza di attivit? vincolata a ci? evidentemente limitando lo spettro applicativo dalla nuova disposizione[7]. Questo filone propone un?applicazione piuttosto accorta del potere de quo, nel timore forse di un eccessivo sconfinamento dell?attivit? giudiziaria nella funzione amministrativa.
In realt? la norma in parola non pone letteralmente generali limiti al potere del giudice di operare un accertamento diretto della pretesa del privato, rimettendo semplicemente al giudice tale valutazione.
E? preferibile, quindi, ritenere che la facolt? di esercitare il potere de quo non incontri limiti predeterminati e rientri piuttosto nella piena disponibilit? del giudice, a patto che nel caso concreto non si rendano necessari particolari adempimenti istruttori o verifiche di carattere tecnico, tali da non consentire al giudice medesimo di effettuare valutazioni che risulterebbero invece pi? agevoli per l?Amministrazione procedente.
Ed infatti la riforma della disciplina del silenzio tende palesemente a favorire la pi? rapida definizione delle controversie scaturenti dal comportamento inerte della P.A., in ossequio ai principi di effettivit? della tutela, semplificazione ed economia procedimentale e processuale[8].
All?estensione del sindacato giurisdizionale non possono poi opporsi ragioni di stretta separazione tra il potere giudiziario e la funzione amministrativa. Ed infatti, occorre considerare in ogni caso che, allorquando intervenga una pronuncia del giudice amministrativo che determini anche il contenuto del provvedimento finale, si versa in una situazione che ha pur sempre tratto origine dall? inerzia ed inefficienza dell?Amministrazione, alla quale pare pertanto lecito porre fine con meccanismi sostitutivi, anche giudiziali.
In questo contesto si inserisce la pronuncia di seguito riportata che ha il pregio di chiarire che detta previsione normativa ? volta a rendere eccezionale l?ipotesi di inerzia dell?amministrazione, ?sicch? si giustifica l?intromissione del giudice anche in ambiti di discrezionalit?, non limitando la norma ricordata alle sole ipotesi di atti vincolati la possibilit? di pregnante sindacato sulla fondatezza dell?istanza, vale a dire sulla definizione del rapporto sottostante.?
Peraltro, lo stesso T.A.R. Veneto chiarisce che la nuova disciplina del silenzio incide sul disposto dal prefato art. 21 bis, comma secondo della legge 1034/1971, nel senso che ?ora, con l?espressione ordina di provvedere ? ammissibile anche l?indicazione del concreto atto da adottarsi e non di un provvedimento qualsiasi, ma comunque idoneo a concludere il procedimento?.
Il vaglio della fondatezza della pretesa sottostante deve intendersi generalizzato nella normativa sul silenzio-inadempimento, salvi, eventualmente, i soli limiti dati nel caso concreto non tanto dalla presenza di margini di discrezionalit?, quanto dalla necessit? di svolgere verifiche di ordine tecnico precluse al G.A. (peraltro ricorrenti proprio nel caso della pronuncia in commento).
In questo senso potrebbe intendersi la facolt? (e non obbligo) del G.A. di ?conoscere della fondatezza dell?istanza?.
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qui la sentenza
[1] La giurisprudenza ha enucleato la figura del silenzio da oltre un secolo: cfr. Consiglio di Stato, sez. IV, 22 agosto 1902 n. 429. Pu? prescindersi da un? excursus storico completo dell?istituto in favore di una breve descrizione alla luce della pi? recente evoluzione normativa.
[2] L?articolo in parola recita espressamente: 1. I ricorsi avverso il silenzio dell’amministrazione sono decisi in camera di consiglio, con sentenza succintamente motivata, entro trenta giorni dalla scadenza del termine per il deposito del ricorso, uditi i difensori delle parti che ne facciano richiesta. Nel caso che il collegio abbia disposto un’istruttoria, il ricorso ? deciso in camera di consiglio entro trenta giorni dalla data fissata per gli adempimenti istruttori. La decisione ? appellabile entro trenta giorni dalla notificazione o, in mancanza, entro novanta giorni dalla comunicazione della pubblicazione. Nel giudizio d’appello si seguono le stesse regole.
3. All’atto dell’insediamento il commissario, preliminarmente all’emanazione del provvedimento da adottare in via sostitutiva, accerta se anteriormente alla data dell’insediamento medesimo l’amministrazione abbia provveduto, ancorch? in data successiva al termine assegnato dal giudice amministrativo con la decisione prevista dal comma 2.
[3]? La giurisprudenza prevalente ha aderito all?impostazione della Plenaria: cfr. e multis Consiglio di Stato, sez. IV, 7 aprile 2003, n. 1836, Consiglio di Stato, IV, 10 giugno 2004, n. 3741.
[4] Sul punto si era espresso in questi termini gi? Cons. Stato, sez. IV, 22 giugno 2000, n.
[5] Cfr., in questi termini, T.A.R. Veneto, sez. II, 11 marzo 2003, n. 1760 per il quale quando ?si impugni il silenzio serbato dall? Amministrazione, il ricorso dovr? essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse allorquando l?istante non abbia possibilit? di conseguire un risultato utile dal suo eventuale accoglimento, essendo l? istanza infondata?
[6] Cfr. il nuovo art. 21 octies della legge n. 241/1990, introdotto dalla legge 11 febbraio 2005, n. 15, per il quale ?Non ? annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.?
[7] Cfr. T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 13 giugno 2005, n. 7817; T.A.R. Toscana, sez. I, 20 giugno 2005, n. 3044; T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. I, 21 luglio 2005, n. 1356.
[8] Si tenga anche conto che l?art. 2 della predetta legge n. 15/2005 ha introdotto nell?art. 2 della legge n. 241/1990 l?espressa previsione della facolt? di proporre il ricorso avverso il silenzio senza obbligo della previa diffida all?Amministrazione inadempiente, ritenuta necessaria dalla giurisprudenza precedente.
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