Simmetria di contenuti tra istanza di mediazione e atto introduttivo del processo e soddisfacimento della condizione di procedibilità

Indice:

  • La relazione tra il contenuto dell’istanza di mediazione e l’atto introduttivo del giudizio
  • Tribunale di Roma, 11 gennaio 2022, n. 259
  • Conclusioni

La relazione tra il contenuto dell’istanza di mediazione e l’atto introduttivo del giudizio

Una questione piuttosto delicata in materia di mediazione civile e commerciale e, più in generale, nell’ambito del diritto processuale civile (che notoriamente è la materia giuridica nella quale, più che in ogni altra, è fatta rientrare la mediazione disciplinata dal D. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28) e affrontata più o meno di recente in diverse pronunce giurisprudenziali è certamente quella della relazione, a livello di contenuti, tra l’istanza di mediazione e l’atto introduttivo del successivo giudizio. Si tratta di una questione la cui rilevanza, evidentemente, è legata al soddisfacimento della condizione di procedibilità della domanda giudiziale ex art. 5 D. Lgs. 28/2010 [i], ovverossia al previo esperimento del procedimento di mediazione, che, a sua volta, deve essere stato promosso mediante un’istanza avente determinati requisiti di contenuto, peraltro espressamente richiesti dallo stesso D. Lgs. 28/2010.

Tale questione può, chiaramente, essere posta in maniera diversa a seconda del caso e può quindi assumere connotazioni differenti. A titolo puramente esemplificativo, in una sentenza abbastanza recente, il Tribunale di Mantova [ii] si è pronunciato affermando che la condizione di procedibilità doveva ritenersi avverata essendovi, tra il procedimento di mediazione e il successivo giudizio, piena identità di causa petendi e parziale identità di petitum, ed essendo privo di importanza il fatto che, nell’istanza di mediazione, le somme richieste fossero stante quantificate diversamente rispetto all’atto di citazione. Rilevava infatti, secondo il Tribunale di Mantova, che parte convenuta avesse avuto, in sede di mediazione, piena cognizione dei fatti posti a fondamento della pretesa di parte attrice e che fosse quindi nelle condizioni di valutare l’opportunità o meno della conciliazione. Si esamina, qui di seguito, la recentissima sentenza Tribunale di Roma, Sez. V, 11 gennaio 2022, n. 259, che ha ampiamente trattato la suesposta questione.

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Tribunale di Roma, Sez. V, 11 gennaio 2022, n. 259

La vicenda processuale

Il caso esaminato dal Tribunale di Roma riguardava una controversia tra un condomino, in qualità di attore, ed un Condominio, in qualità di convenuto. Il primo, con atto di citazione regolarmente notificato al secondo, aveva impugnato una delibera assembleare, chiedendo al Tribunale adito, in via principale ed in accoglimento dei motivi di impugnazione formulati, di dichiarare nulla od annullabile e priva di efficacia tale delibera assembleare. Il Condominio, costituitosi in giudizio, aveva contestato le deduzioni avversarie ed aveva eccepito l’improcedibilità della domanda giudiziale per tardività dell’impugnazione della delibera assembleare.

Nel caso di specie, trattandosi di una controversia in materia condominiale, si era chiaramente in presenza di una delle materie per le quali, ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis, D. Lgs. 28/2010 [iii], è prevista la mediazione obbligatoria ex lege, e per le quali, quindi, il previo esperimento del procedimento di mediazione costituisce condizione di procedibilità della domanda giudiziale. La mediazione si era svolta. Posto ciò, poiché l’impugnazione della delibera assembleare è soggetta ad un termine di decadenza, è opportuno ricordare che tale termine viene interrotto dalla comunicazione, da parte dell’organismo ove è stata depositata l’istanza di mediazione e ove si svolge la procedura stragiudiziale oppure da parte dell’istante, dell’istanza medesima alla parte chiamata, e poi esso inizia a decorrere di nuovo dal deposito del verbale che chiude la procedura. In questo contesto, era emersa la questione, affrontata dal Tribunale di Roma nella pronuncia qui di seguito ampiamente esaminata, relativa al contenuto dell’istanza di mediazione nonché al rapporto, appunto a livello di contenuto, tra l’istanza medesima e il successivo atto introduttivo del giudizio.

La decisione del Tribunale di Roma 

La questione inerente alla relazione che deve intercorrere, a livello di contenuto, tra l’istanza di mediazione e l’eventuale e successivo atto introduttivo del procedimento giudiziario impone, dunque, di richiamare l’attenzione su una specifica disposizione normativa del D. Lgs. 28/2010, ossia sull’art. 4 [iv]. Tale disposizione è la prima, tra quelle facenti parte del tessuto normativo del succitato decreto legislativo, a dettare la disciplina del procedimento di mediazione e, in particolare, concerne l’accesso a tale procedura stragiudiziale e, di conseguenza, precisa due aspetti fondamentali quali l’individuazione dell’ambito territoriale di cui deve far parte l’organismo ove viene depositata l’istanza (o domanda) di mediazione nonché l’indicazione dei contenuti essenziali dell’istanza stessa.

Al comma 1 dell’art. 4, si prevede che la domanda di mediazione concernente una delle controversie di cui all’art. 2 (ovverossia controversie civili e commerciali aventi ad oggetto diritti disponibili) deve essere presentata depositando un’apposita istanza presso uno degli organismi del luogo del giudice territorialmente competente per la controversia stessa. La medesima previsione prende inoltre in considerazione l’ipotesi, che peraltro di verifica con una certa frequenza nella prassi, in cui siano depositate più domande di mediazione relative alla stessa controversia. In tale ipotesi, si fa riferimento ad un criterio di priorità temporale, in quanto si prevede che la mediazione si svolga innanzi all’organismo territorialmente competente ove è stata depositata la prima domanda.

Al comma 2 dell’art. 4, di maggiore rilevanza per quanto riguarda la questione in esame, si specificano i contenuti essenziali dei quali l’istanza di mediazione non può mancare, ossia l’indicazione dell’organismo, delle parti, dell’oggetto e delle ragioni della pretesa. Come rilevato dal Tribunale di Roma nella sentenza in esame, il contenuto di tale previsione normativa è “praticamente equivalente” a quello dell’art. 125 c.p.c. [v], concernente, in generale, i contenuti minimi che un atto promanante dalle parti deve avere. È però bene precisare, a tale proposito, che questa disposizione del Codice di rito civile non riguarda una specifica tipologia di atto ma ha valenza generale. Per quanto concerne, nello specifico, l’atto di citazione, ad esempio, la disposizione codicistica di riferimento consiste nell’art. 163 c.p.c. [vi], mentre, per quanto concerne la comparsa di costituzione e risposta, si fa riferimento all’art. 167 c.p.c. [vii]. Ciò premesso, ai sensi dell’art. 125, comma 1, salvo che la legge stabilisca diversamente, la citazione, il ricorso, la comparsa, il controricorso ed il precetto devono contenere l’indicazione dell’ufficio giudiziario, delle parti, dell’oggetto, delle ragioni della domanda nonché delle conclusioni.

Fermo restando, quindi, che per ciascun tipo di atto processuale vi sono specifiche previsioni normative, risulta evidente come il contenuto dell’art. 4 D. Lgs. 28/2010 sia pressoché equivalente a quello dell’art. 125, facente parte del Libro I del Codice di rito civile. Il Tribunale di Roma, muovendo da questa constatazione, ha allora affermato che l’applicazione dell’art. 4 implica che vi debba essere simmetria tra i fatti rappresentati in sede di mediazione e quanto esposto in sede processuale, e che tale simmetria riguardi quantomeno i fatti principali. In caso contrario, dovrebbe essere dichiarata l’improcedibilità della domanda giudiziale.

In particolare, l’art. 4 richiede espressamente, tra i contenuti essenziali della domanda di mediazione, le “ragioni della pretesa”. Tale elemento contenutistico individuerebbe, evidentemente, una situazione ritenuta ingiusta dal punto di vista di parte istante e per la quale potrebbe poi essere promossa un’azione di merito. Non sono invece richiesti l’equivalente di un atto giudiziario sotto il profilo strettamente formale e nemmeno l’indicazione degli “elementi di diritto”, come nel caso della citazione ex art. 163 c.p.c. o del ricorso ex art. 414 c.p.c. [viii] (e, ai sensi dell’art. 125 c.p.c., per gli atti in generale). In definitiva, quindi, l’istanza di mediazione deve ricalcare la futura domanda di merito, introducendo in sede di mediazione gli elementi fattuali che saranno introdotti in sede giudiziale, e ciò per un duplice ordine di ragioni, ossia: – consentire all’istituto giuridico della mediazione civile e commerciale di espletare la relativa funzione deflattiva; – porre l’altra parte, ovverossia parte chiamata in mediazione, nelle condizioni di conoscere la materia del contendere nonché di prendere adeguatamente posizione su di essa.

Quanto al caso di specie, l’istanza di mediazione si presentava assolutamente generica e, in particolare, risultava priva di qualsiasi riferimento alle delibere assembleari impugnate ed ai presunti vizi delle stesse, mentre la domanda giudiziale era assai più dettagliata. Dalla comparazione, a livello contenutistico, tra l’istanza di mediazione e la successiva domanda giudiziale poi in concreto proposta, dunque, si rilevava l’asimmetria tra i due atti, e da ciò derivavano, secondo il Tribunale di Roma, due conseguenze tra loro connesse: – che la mediazione non poteva considerarsi validamente svolta; – che non era stata impedita la decadenza dell’impugnazione della delibera condominiale, poiché tale impugnazione è soggetta ad un termine di decadenza che viene interrotto dalla comunicazione (da parte dell’organismo oppure direttamente a cura dell’istante stesso) dell’istanza di mediazione all’altra parte una sola volta soltanto ed inizia nuovamente a decorrere dalla data del deposito del verbale conclusivo di mediazione.

Conclusioni

La pronuncia appena esaminata tratta un tema di cui la giurisprudenza si era già occupata in precedenti occasioni. Le conclusioni che si possono trarre dall’iter logico-argomentativo svolto dal Tribunale di Roma sono dunque essenzialmente due: – quanto all’istanza di mediazione, una domanda generica sotto il profilo del petitum o, come è avvenuto nel caso di specie, sotto il profilo della causa petendi non può essere considerata espletata in maniera valida e comporta, come conseguenza, l’improcedibilità della domanda giudiziale; – quanto alla domanda giudiziale, qualora essa si presenti anche solo in parte diversa dalla domanda di mediazione ed esuli quindi, se pur parzialmente, da questa, dovrebbe considerarsi “nuova”.

Di recente, il Tribunale di Verona [ix] si è pronunciato su tale tema occupandosi di una controversia in materia bancaria. In quel caso, l’Istituto di Credito convenuto aveva eccepito l’improcedibilità della domanda giudiziale per mancato esperimento del procedimento di mediazione in un’ipotesi di mediazione obbligatoria. Secondo il convenuto, l’improcedibilità era parziale perché, in sede di mediazione, non erano state contemplate alcune voci di danno indicate invece nel successivo atto di citazione. Il Tribunale adito ha però rilevato l’infondatezza di suddetta eccezione affermando, a tale proposito, che la difformità tra istanza di mediazione e atto introduttivo del successivo giudizio quanto a oggetto e ragioni della pretesa è rilevabile quando, nel giudizio di merito, la domanda abbia non soltanto un petitum più ampio ma anche, al suo fondamento, fatti costitutivi ulteriori rispetto a quelli dedotti nell’ambito della procedura stragiudiziale.

Note

[i] D. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28

[ii] Tribunale di Mantova, sentenza 22/01/2019

[iii] Art. 5, comma 1-bis, D. Lgs. 28/2010

[iv] Art. 4 D. Lgs. 28/2010

[v] Art. 125 c.p.c.

[vi] Art. 163 c.p.c.

[vii] Art. 167 c.p.c.

[viii] Art. 414 c.p.c.

[ix] Tribunale di Verona, Sez. III, sentenza 26/04/2021

Sentenza collegata

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Dott. Edoardo Luigi Barni

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