Con ordinanza 14 novembre 2013, n. 25572, la Sesta Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, in tema di imposte sui redditi e con riferimento alla detrazione di quello d’impresa, ha ribadito che l’articolo 60 e 95 del D.P.R. 917 del 1986 – il quale esclude l’ammissibilità di deduzioni a titolo di compenso per il lavoro prestato o l’opera svolta dall’imprenditore, limitando la deducibilità delle spese per prestazioni di lavoro a quelle sostenute per quello dipendente e per compensi spettanti agli amministratori di società di persone – non consente di dedurre dall’imponibile il compenso per il lavoro prestato e l’opera svolta dall’amministratore unico di società di capitali perché la posizione di quest’ultimo è equiparabile, sotto il profilo giuridico, a quella dell’imprenditore, non essendo individuabile, con riguardo alla sua attività gestoria, la formazione di una volontà imprenditoriale distinta da quella della società, e non ricorrendo quindi l’assoggettamento all’altrui potere direttivo, di controllo e disciplinare, che costituisce il requisito tipico della subordinazione (così anche Cass. sentenze n. 24188 del 2006 e 21155 del 2005).
Il ricorso presentato dalla contribuente società , che ha dedotto violazione dell’articolo 60 del Tuir, sul presupposto che tale disposizione riconosce l’indeducibilità solo dei compensi a favore dell’imprenditore individuale, si basava sul fatto che la CTC non aveva considerato che alcun intento elusivo poteva riscontrarsi nella posizione della contribuente, che aveva corrisposto il compenso complessivo dedotto, e ciò in parti uguali, sia all’amministratore delegato , sia al direttore., che erano gli unici soci. Né è previsto infatti un tetto massimo, aldilà del quale non si possa andare nella liquidazione dei compensi.
Gli Ermellini aggiungono che rientra nei poteri dell’Amministrazione Finanziaria la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, anche se non emerga alcuna irregolarità nella tenuta delle scritture contabili o vizi negli atti giuridici d’impresa. Di conseguenza, la deducibilità, ai sensi dell’articolo 60 sopra citato, dei compensi degli amministratori delle società non implica che gli Uffici siano vincolati alla misura indicata in deliberazioni sociali o contratti, competendo ai medesimi la verifica dell’attendibilità economica dei predetti dati.
Ampia giurisprudenza legittimità dispone che in tema di reddito d’impresa ai sensi del combinato disposto degli articoli 66 e 95 Tuir, è ammessa la deducibilità solo per le spese per prestazioni di lavoro dipendente che comprendono anche quelle sostenute in denaro o in natura a titolo di liberalità a favore dei lavoratori, mentre è esclusa la deducibilità dal reddito d’impresa delle spese sostenute da una società di capitali a titolo di compenso per il lavoro subordinato prestato dall’amministratore unico della società stessa, attesa l’equiparazione, sotto il profilo giuridico, tra l’attività gestoria svolta dall’amministratore unico di società e quella svolta dall’imprenditore.
In sostanza, dalla lettura delle citate disposizioni, deve ritenersi che è consentita la deducibilità fiscale dei compensi corrisposti agli amministratori di società, mentre non è ammessa in deduzione la spesa sostenuta a titolo di compensi corrisposti per il lavoro prestato e per l’opera svolta dall’imprenditore e da tutti gli altri soggetti indicati dall’articolo 60 del Tuir.
Inoltre, si rammenta che, con riferimento alla compatibilità del ruolo di amministratore con la condizione di lavoratore subordinato alle dipendenze della società, in assenza di disposizioni di legge in merito, occorre fare riferimento alla giurisprudenza, la quale ha riconosciuto, in alcuni casi, la coesistenza delle due qualifiche.
In particolare, si evidenzia brevemente che:
-nelle società di capitali, il rapporto di lavoro dei “soci non amministratori” può definirsi subordinato, allorché a) la prestazione lavorativa abbia tutti i requisiti del lavoro dipendente, b) l’attività sia diversa da quella svolta in qualità di socio, c) la retribuzione consista in una aggiunta alla quota di partecipazione agli utili
-nel caso di “soci amministratori”, si concretizza un rapporto di lavoro dipendente, compatibile con la carica di amministratore, quando l’attività espletata non rientri nel mandato e sia svolta in forma subordinata ossia sotto la direzione di altro organo sociale (consiglio di amministrazione).
-nel caso in cui il socio sia “amministratore unico” di una società di capitali, è esclusa la cumulabilità nella medesima persona della duplice qualità di socio – amministratore di una società e di lavoratore subordinato della stessa, con conseguente impossibilità di ricollegare a una volontà sociale distinta da quella dell’unico amministratore la costituzione e la gestione del rapporto di lavoro (cfr Cassazione, sentenza n. 654 del 27/1/1984).
In altre parole, è incompatibile la qualifica di amministratore con quella di lavoratore subordinato, quando l’amministratore della società possiede tutti i poteri di controllo, gestione, comando e disciplina, ovvero quando la società sia amministrata da un amministratore unico. Le due qualifiche non possono coesistere in quanto, se così non fosse, l’amministratore sarebbe subordinato a se stesso, determinandosi un’ipotesi di auto-assunzione o auto-controllo
In conclusione con la sentenza in commento, la Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dalla società contribuente, affermando che la qualifica di “amministratore unico” di una società non è compatibile con la condizione di “lavoratore-subordinato alle dipendenza della medesima, in quanto non ricorrere l’effettivo assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare di altri, che si configura come requisito tipico della subordinazione”.
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