Il sottoposto può sindacare l’ordine impartitogli dal proprio superiore, ogni qualvolta la disposizione emessa appaia palesemente illegittima.
Questo appare, dunque, l’approdo cui perviene il Supremo Collegio, in relazione ad una inusuale vicenda, che si dipana attorno ad un sinistro stradale mortale verificatosi nel corso del viaggio di rientro di un reparto della Polizia di Stato, che aveva effettuato un servizio di ordine pubblico, in una partita di calcio.
L’incidente sarebbe stato causato dal comportamento di un conducente che avrebbe ricevuto ed eseguito l’ordine di accelerare e ridurre la distanza di sicurezza rispetto ad altri mezzi, disposizione proveniente dal capo colonna del reparto di Polizia di Stato,
I giudici di legittimità vengono chiamati ad affrontare, pertanto, la tematica che si riferisce ai limiti di applicazione dell’art. 51 c.p., previsione normativa che è stata invocata dalla difesa dell’imputato quale scriminante al proprio comportamento.
La norma citata viene collocata dal legislatore, nell’ambito del Titolo III, Capo I, parte del codice di diritto sostanziale, che concerne ed affronta il tema del reato e nello specifico delle cause di giustificazione, in relazione all’esercizio di un diritto oppure all’adempimento di un dovere.
I tratti fondamentali delle due situazioni ricomprese all’interno della norma in esame appaiono tra loro assai simili.
In dottrina, infatti ********
[1], ha privilegiato il richiamo al principio di non contraddizione, il quale si verrebbe ad imporre, in relazione all’adempimento del dovere, in termini ancora più pregnanti di quanto avviene in tema di esercizio di un diritto.
La ragione che sostiene tale orientamento sarebbe da rinvenire nella necessità di evitare che il soggetto sia posto in una situazione di conflitto di doveri, considerando da una parte il dovere di attuare il comportamento al medesimo imposto e, dall’altro il dovere di astenersi da tale comportamento per evitare di violare la legge penale.
Più vicino ed assonante all’impostazione giurisprudenziale, è l’indirizzo in base al quale, si è sottolineata (ROMANO) l’opportunità di richiamarsi al fondamentale principio del bilanciamento di interessi, per cui la scriminante in parola permetterebbe di accordare prevalenza all’interesse all’adempimento di determinati doveri rispetto ad un altro interesse normalmente oggetto di protezione penale.
L’intenzione che ha guidato la mano del legislatore è stata, infatti, quale di porre un elemento che sicrimini, cioè che privi di antigiuridicità, una condotta che, se compiuta in altro e differente contesto, non solo configurerebbe ipotesi di reato, ma, sopratutto, in presenza di prova dei due elementi della verificazione naturalistica e dell’attribuibilità all’incolpato, porterebbe all’affermazione di penale responsabilità dell’imputato ed all’inevitabile inflizione di una pena.
La regola che, quindi, a livello generale si pone come paradigma è quella dell’eccezionalità applicativa di una esimente che involge un profilo squisitamente soggettivo.
La norma, dunque, non opera sul piano naturalistico, cioè non cancella, sul piano puramente ontologico la esistenza di un comportamento idoneo a porsi in contrasto con i precetti sanciti legislativamente, bensì individua e circoscrive il proprio raggio di azione nel senso di escludere – a precise, verificate e rigorose condizioni – la punibilità dell’autore del fatto, sotto il profilo penale.
Per vero e per completezza espositiva, si deve osservare che anche in sede civile, la scriminante dell’adempimento del dovere derivante dall’ordine dell’autorità, di cui all’art. 51 c.p. trova applicazione in via analogica anche con riferimento a taluni doveri del pubblico ufficiale (V. ad esempio quello di riferire nel rapporto i fatti costituenti reato; ciò, a meno che non si tratti di ordine illegittimo e che tale illegittimità sia dal medesimo sindacabile) [Cfr. Cass. civ. Sez. III, 08-04-2003, n. 5505 (rv. 561971), Ministero della difesa c. Di Fede e altri]
[2].
Non è di oggi, quindi, il particolare interesse, mostrato sia in dottrina che in giurisprudenza, ad affrontare il complesso tema dei rapporti fra soggetti vincolati fra loro in linea gerarchica, sopratutto, sottoponendo a costante verifica i limiti relativi al potere di sindacato dell’inferiore ad un ordine imposto dal superiore.
Lo specifico caso che si commenta ne è tipico esempio, posto che esso presenta, per nella sua non usualità, qualche epigone.
Non è, infatti, la prima volta che si viene a verificare un incidente stradale con esiti, ahimè letali, a seguito di una condotta che un subordinato pone in essere, adempiendo ad un ordine di un superiore, che presenta il carattere dell’illegittimità.
Già in passato la Sez. IV della Suprema Corte ha avuto opportunità di precisare il proprio orientamento sul punto.
Con la pronunzia ****** del 7 Novembre 2002, n. 3973 [(rv. 223428), in CED Cassazione 2003], infatti, l’approdo giurisprudenziale, restrittivo l’ambito di operatività della scriminante di cui all’art. 51 c.p. e che si commenta in questo ambito, aveva trovato autorevole affermazione.
In detta occasione, non a caso, l’attenzione del Collegio di legittimità si focalizzò sulla regola di giudizio che doveva informare di sé l’operato dell’ermeneuta e che consisteva (come tuttora consiste) nella necessità di procedere ad un bilanciamento tra il bene protetto dalla norma incriminatrice e la finalità cui mira la causa di giustificazione.
Su tale abbrivio, dunque, appare evidente e non revocabile in dubbio, la inequivoca intangibilità del bene “vita umana”, rispetto a comportamenti che, seppur qualificati, addirittura costituzionalmente, (come ad esempio lo svolgimento di attività di tutela pubblica o di prevenzione nell’ambito della difesa sociale), non possono sfuggire alla sottoposizione ed al dovere di osservanza di precetti di prudenza.
Sostenne, infatti, nell’occasione la Corte che “In tema di adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo, è sempre necessario, al fine di accertare l’effettiva sussistenza della esclusione della antigiuridicità del fatto, compiere, in concreto, un giudizio di bilanciamento tra il bene protetto dalla norma incriminatrice e la finalità cui mira la causa di giustificazione; ne consegue che non può ritenersi scriminata la condotta dell’agente appartenente alle forze di polizia che, nell’ambito dell’ampio margine di discrezionalità a lui riconosciuto dall’ordine di recarsi "con urgenza" in un determinato luogo, pur avendo attivato dispositivi lampeggianti ed acustici, cagioni lesioni a terze persone in conseguenza della sua condotta di guida, tenuta in violazione di norme del codice della strada e dell’obbligo generico di rispettare le regole imposte dalla prudenza”.
Su tale impostazione di ordine non solo giuridicamente generale, ma anche naturalistica, si va ad innestare necessariamente la tematica concernente la eccepibilità dell’illegittimità dell’ordine impartito, che è il profilo che maggiormente rileva nel caso di specie.
Va detto, in proposito, che il concreto riconoscimento del diritto potestativo del sottoposto a sindacare realmente ed effettivamente l’ordine impartito dal superiore costituisce scelta che si è venuta ad affermare faticosamente, ma di pari passo, in maniera coerente con una palese evoluzione concettuale dei rapporti all’interno della struttura della P.A., con speciale accenno a quelli intercorrenti fra membri delle forze armate e di polizia.
Si è, infatti, superata quella concezione di assoluta chiusura, in base alla quale qualsiasi condotta di contestazione di un ordine ricevuto, determinasse – di per sé – l’automatica configurazione di un comportamento d’insubordinazione.
Va, infatti, rilevato come un’antica giurisprudenza [Cfr. Sez. V, sent. n. 9424 del 11-11-1983 (cc. del 21-04-1983), ******* (rv 161100)] limitasse la pronunzia di illegittimità dell’ordine e, di conseguenza, la sua sindacabilità alla sola ipotesi che esso “avesse ad oggetto il compimento di un atto palesemente delittuoso secondo un generale apprezzamento, qual è quello, ad esempio, di registrare in un atto pubblico un’attestazione manifestamente non veritiera”.
In tal modo, veniva sancito il limite razionale della inefficacia vincolativa dell’ordine del superiore, solo laddove si appalesasse un profilo di patente ed inequivoca rilevanza penale della condotta, facendo, così, in concreto, coincidere l’illegittimità solo con la configurabilità di una violazione del precetto penale.
Posizione questa, in toto confermata e rafforzata dalla pronunzia della Sez. V, sent. n. 7866 del 2-10-1984 [(cc. del 28-05-1984), ********* (rv 165855)] che precisò come “L’esimente dell’adempimento di un dovere si applica a condizione che l’ordine del superiore gerarchico sia assolutamente insindacabile. Ciò non si verifica quando l’ordine si concreta nella richiesta di provvedere alla commissione di un reato, perché, il manifesto carattere delittuoso del comportamento ordinato comporta la sindacabilità dell’ordine impartito e ne esclude l’efficacia esimente sotto il profilo non solo obiettivo ma anche putativo”.
Già in epoca più recente, questa impostazione, proprio in tema di circolazione stradale ha, fortunatamente, iniziato a vacillare.
Così la Sez. IV, con la sentenza n. 12472 del 1-12-2000 [(ud. del 15-06-2000), ********** (rv 217948)] ebbe ad affermare il principio secondo il quale “L’esimente della obbedienza gerarchica dovuta ad un ordine militare non è applicabile nel caso di reato commesso alla guida di un autoveicolo, atteso che la relativa responsabilità incombe anche sul conducente, cui compete, nella concreta esecuzione della manovra, il diritto-dovere di valutare e scegliere le più opportune modalità di esecuzione dell’ordine ricevuto”.
Si è venuti, così, ad individuare un campo di autonomia decisionale, coevo e sovrapponibile alla nozione di discrezionalità tecnica, che viene riconosciuto all’agente, il quale deve privilegiare all’ordine specifico il principio generale dell’ordinamento giuridico consistente nel neminem ledere.
La questione, quindi, si è venuta a risolvere nel contesto della stretta osservanza della gerarchia delle fonti normative, nel senso che è stata tassativamente esclusa la rilevanza di possibili deroghe a principi di carattere ordinatorio generale.
L’ordine, pertanto, incontra il limite invalicabile della legalità, e la sua eventuale non conformità a tale principio fondamentale lo rende assolutamente discutibile e disattendibile, da parte del destinatario, senza che necessariamente l’ordine stesso debba – a fortiori – esprimere una condotta configurante un reato.
Al soggetto nei cui confronti l’ordine dovrebbe esprimere efficacia e da cui dovrebbe essere eseguito, viene, così, riconosciuto il diritto potestativo di operare un ponderato giudizio di valenza fra quanto imposto dal superiore ed altra differente (se non addirittura contraria condotta), proprio in funzione delle possibili conseguenze dannose che potrebbero derivare ingiustamente ed ingiustificatamente dalla sua esecuzione e che il soggetto può e deve rappresentarsi.
Rimini, lì 8 Maggio 2008
*******************
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE IV PENALE
Sentenza 10 gennaio 2008, n. 888
Svolgimento del processo
Il Procuratore ******** presso la Corte di appello di Catanzaro ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della locale Corte di Appello, emessa in data 28 settembre 2006, con la quale B.P. veniva assolto perchè il fatto non costituisce reato dal delitto di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme sulla circolazione stradale, deducendo quali motivi l’erronea applicazione dell’art. 51 c.p., poichè l’ordine di accelerare e ridurre la distanza di sicurezza, nonostante provenisse dal capo colonna di un reparto di Polizia di Stato, era palesemente illegittimo e non doveva essere adempiuto, perchè non si era in una situazione di pericolo, non vi erano condizioni di fatto tali da legittimare la violazione delle norme di circolazione stradale, giacchè il reparto stava per rientrare a Reggio Calabria dopo aver effettuato un servizio di ordine pubblico, in una partita di calcio, a Salerno. Aggiungeva, inoltre che, contrariamente a quanto sostenuto nell’impugnata sentenza, non si era in presenza di un ordine non immediatamente sindacabile, poichè vi era un esiguo intervallo temporale tra il momento in cui era stato impartito ed il verificarsi dell’evento, e non vi fossero sottostanti ragioni di servizio non cognite, la meritava, poi l’erronea applicazione della L. n. 382 del 1978, art. 4 u.c., perchè si trattava di un ordine eccedente i compiti di istituto, la cui esecuzione costituiva reato e, comunque, violazione di norme di legge e di regolamento ed era carente della legittimità formale e sostanziale, e l’illogicità manifesta, la contraddittorietà e carenza di motivazione, perchè la sentenza impugnata non ha considerato una serie di fatti pacifici (rientro negli alloggiamenti dopo aver effettuato un intervento di ordine pubblico, le condizioni di viabilità difficili a causa di perturbazioni atmosferiche intense con fondo stradale scivoloso, caratteristiche di stabilità del mezzo, reiterato ed ingiustificato ordine in tempi diversi di aumentare l’andatura e perfetta conoscenza della situazione da parte dell’imputato), sicchè si appalesa errata l’applicazione dell’art. 51 c.p., perchè l’ordine illegittimo era sindacabile.
Motivi della decisione
"I motivi addotti sono fondati, sicchè l’impugnata sentenza deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro per nuovo giudizio.
Infatti, persino nel caso in cui il soggetto sia impiegato in compiti di polizia con ragioni di urgente necessità ed azioni le segnalazioni acustiche e luminose in applicazione dell’art. 177 C.d.S., non è possibile violare le norme di comune prudenza (Cass. sez. 4, 7 novembre 2002 n. 37263 rv. 222613 cui adde Cass. sez. 4, 25 maggio 2005 n. 19797 rv. 231543), giacchè in tema di adempimento di un dovere imposto da un ordine legittimo, è sempre necessario, al fine di accertare l’effettiva sussistenza della esclusione della antigiuridicità del fatto, compiere, in concreto, un giudizio di bilanciamento tra il bene protetto dalla norma incriminatrice e la finalità cui mira la causa di giustificazione; ne consegue che non può ritenersi scriminata la condotta dell’agente appartenente alle forze di polizia che, nell’ambito dell’ampio margine di discrezionalità a lui riconosciuto dall’ordine di recarsi "con urgenza" in un determinato luogo, pur avendo attivato dispositivi lampeggianti ed acustici, cagioni lesioni a terze persone in conseguenza della sua condotta di guida, tenuta in violazione di norme del codice della strada e dell’obbligo generico di rispettare le regole imposte dalla prudenza (Cass. sez. 4, 1 dicembre 2000 n. 12489 rv. 219233).
Orbene, nella fattispecie, è la stessa sentenza impugnata a riferire che "alla testa del convoglio vi era l’autoveicolo condotto personalmente dal funzionario, il quale dettava via radio perentoriamente e ripetutamele a tutti gli automezzi collegati l’ordine di accelerare l’andatura e, rivolgendosi al capo – macchina dell’autoveicolo, che lo seguiva, gli intimava di procedere attaccato alla sua vettura", sicchè l’ordine illegittimo, come fa notare il ricorrente poteva essere sindacato in considerazione del tempo intercorso, tanto è vero che il capomacchina chiedeva al superiore spiegazioni di questi ordini, mentre il funzionario, "senza alcuna razione apparente, frenava bruscamente".
E’ vero che, "stante la prossimità dei due veicoli, non separati da distanza di sicurezza adeguata, nonostante la manovra di emergenza di sterzata e controsterzata effettuata (dal ricorrente), provocava il ribaltamento del veicolo " ed a causa di ciò il decesso del milite, che viaggiava senza cintura di sicurezza nel sedile posteriore, ma proprio tale situazione fattuale descritta dall’impugnata sentenza doveva comportare un comportamento di guida più prudente da parte dell’imputato, indipendentemente dalla condotta di guida e dagli ordini illegittimi del funzionario, la cui responsabilità prevalente è giustamente evidenziata dai giudici di merito.
Tuttavia "i reiterati ordini di accelerare impartiti dal (funzionario)" potevano essere sindacati e disattesi perchè illegittimi e, comunque, neppure potevano comportare la violazione di norme del codice della strada, tanto più che non vi era alcuna urgenza o necessità palese nè rappresentata.
La sentenza impugnata, invece, in maniera contraddittoria, manifestamente illogica e violatrice delle norme di legge sia quelle del codice penale sia quelle concernenti la circolazione stradale, asserisce che "stante il breve lasso di tempo trascorso fino al verificarsi del grave incidente" non era possibile effettuare detto sindacato, tanto più che gli ordini del funzionario potevano "in via di ipotesi" essere determinati "da esigenze di sicurezza e di emergenza sia della collettività sia degli appartenenti al corpo di Polizia", introducendo una ricostruzione alternativa ipotetica sfornita di alcun elemento di prova ed anzi contraddetta dal comportamento autoritario del funzionario.
Nè può assumere rilievo il fatto che questi sia stato "mai sottoposto ad indagine, nè interrogato, nonostante ..(fosse stato dal) giudice di primo grado .. avvisato della facoltà di non rispondere", perchè ritenuto almeno corresponsabile dell’evento atteso "l’apporto causale imponente dato al verificarsi dell’evento", perchè l’assoluzione è stata pronunciata per un inesistente adempimento di un dovere,indipendentemente dalla possibilità di configurare un concorso di cause.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catanzaro.
Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2007.
Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2008.
[1] Adempimento di un dovere, in ED, I, Milano, 1958, 567
[2] Mass. Giur. It., 2003, Danno e Resp., 2003, 11, 1142, ****, 2003, 16-17, 1881, Arch. Civ., 2004, 277
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