La prova della condotta colposa ascrivibile all’Ente responsabile, nonché del nesso di causalità tra tale condotta e l’evento dannoso, spetta al danneggiato in virtù delle regole generali sul riparto dell’onere probatorio dettate dall’art. 2697 Cc.
Questi i principi di diritto statuiti dalla Corte di Cassazione, VI Sezione Civile, nell’ordinanza n. 13488, depositata in data 29 Maggio 2018.
Il caso
Un automobilista conveniva in giudizio dinnanzi al Tribunale di Rieti l’Amministrazione provinciale e la Regione, al fine di sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti alla propria autovettura a seguito di una collisione con un cinghiale che, improvvisamente, attraversava la carreggiata.
Nel contraddittorio delle parti, il Tribunale condannava entrambi i convenuti, in solido tra loro, al risarcimento del danno ex art. 2052 Cc (<<Il proprietario di un animale o chi se ne serve per il tempo in cui lo ha in uso, è responsabile dei danni cagionati dall’animale, sia che fosse sotto la sua custodia, sia che fosse smarrito o fuggito, salvo che provi il caso fortuito.>>.).
Sul gravame proposto dall’Amministrazione provinciale la Corte d’Appello di Roma dichiarava nulla la sentenza di primo grado e, decidendo nel merito, condannava la stessa al risarcimento del danno nei confronti dell’originario attore.
Sosteneva il giudice d’appello che dall’istruttoria sarebbe emersa la condotta colposa dell’Amministrazione provinciale, cui era demandato il potere di adottare tutte le misure necessarie per prevenire i danni causati dagli animali selvatici (D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267), ritenendo al contempo la Regione estranea alla vicenda, in considerazione del fatto che la stessa aveva solo compiti di programmazione e di coordinamento della pianificazione faunistica.
Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione l’Amministrazione provinciale, affidando lo stesso a tre motivi con i quali deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 Cc, in relazione all’art. 2052 Cc, e di tutta una serie di norme nazionali e regionali.
Resistono con controricorso l’automobilista danneggiato e la Regione.
La stessa preliminarmente rileva come sia necessario individuare su chi grava il potere di controllo della fauna selvatica, se alla Provincia, alla Regione ovvero su entrambe.
A tal proposito, richiamato l’art. 14 L. 142/1990 sulle autonomie locali, che attribuisce alle Province le funzioni amministrative di protezione della fauna selvatica, nonché la L. 157/1992, <<si evince che la Regione ha una competenza essenzialmente normativa, mentre alle Province spetta l’esplicazione delle concrete funzioni amministrative e di gestione, nell’ambito del loro territorio. … E’ inoltre previsto che le Province stipulino apposite polizze assicurative per il risarcimento dei danni, senza espressa limitazione ai danni alle coltivazioni e non altrimenti risarcibili … Nell’ambito dei danni non altrimenti risarcibili – si riconosce che l’ente gestore del territorio, tenuto all’indennizzo e interessato alla stipula dell’assicurazione, è la Provincia, pur se essa possa provvedere anche tramite l’utilizzazione di fondi regionali.>>.
Ciò posto, sostiene come <<la responsabilità aquiliana per i danni a terzi debba essere imputata all’ente, sia esso Regione, Provincia, Ente Parco, Federazione o Associazione, ecc., a cui siano stati concretamente affidati, nel singolo caso, i poteri di amministrazione del territorio e di gestione della fauna ivi insediata, con autonomia decisionale sufficiente a consentire loro di svolgere l’attività in modo da poter amministrare i rischi di danni a terzi che da tali attività derivino.>>.
Nel caso concreto, una volta individuata la responsabilità dell’Amministrazione provinciale, la fonte dell’obbligazione risarcitoria in capo alla stessa è rinvenibile <<dalle regole generali di cui all’art. 2043 c.c. e non dalle regole di cui all’art. 2052 c.c.; non è quindi possibile riconoscere una siffatta responsabilità semplicemente sulla base della individuazione dell’ente cui le leggi nazionali e regionali affidano in generale il compito di controllo e gestione del fenomeno del randagismo e neanche quello più specifico di provvedere alla cattura ed alla custodia degli animali randagi, occorrendo la puntuale allegazione e la prova, il cui onere spetta all’attore danneggiato in base alle regole generali, di una concreta condotta colposa ascrivibile all’ente, e della riconducibilità dell’evento dannoso, in base ai principi sulla causalità omissiva, al mancato adempimento di tale condotta obbligatoria (ad esempio perché vi erano state specifiche segnalazioni della presenza abituale dell’animale in un determinato luogo, rientrante nel territorio di competenza dell’ente preposto, e ciò nonostante quest’ultimo non si era adeguatamente attivato per la sua cattura)» (Cass. 18954/2017).>>.
Conclusione della Cassazione
Conclude la Suprema Corte affermando come la Corte territoriale abbia fatto buon governo degli anzidetti principi atteso che, con motivazione congrua e logica, a seguito delle risultanze istruttorie e, in particolare, della prova testimoniale, ha individuato il concreto comportamento colposo ascrivibile all’Ente pubblico.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato con condanna della ricorrente al pagamento, in favore di ciascun controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità.
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