Sono utilizzabili nel giudizio abbreviato le dichiarazioni rese dall’imputato durante la fase delle indagini preliminari?

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Indice:

  1. Il fatto
  2. La questione giuridica
  3. Osservazioni conclusive

Il fatto

La IV sezione penale del Tribunale di Roma ha condannato l’imputata per il delitto di interruzione di pubblico servizio (art. 340 c.p.).

Il procedimento è stato definito con le forme del rito abbreviato; pertanto, è stata acquisita la documentazione contenuta nel fascicolo del P.M., sulla base della quale il giudice di merito ha ritenuto pienamente integrato il reato contestato in imputazione, con l’opportuna precisazione che non è stato utilizzato, ai fini della decisione, il verbale delle dichiarazioni rese dall’imputata (allora indagata) dinnanzi alla P.G in quanto in quella sede la stessa era stata escussa senza le garanzie difensive previste dal codice di rito per le persone indagate.

La questione giuridica

Con la pronuncia in esame, la giurisprudenza di merito è stata chiamata a pronunciarsi sulla questione dell’utilizzabilità, ai fini della decisione, delle dichiarazioni rese dall’imputata (rectius indagata) alla polizia giudiziaria durante la fase delle indagini preliminari, in assenza, però, delle garanzie difensive previste dal codice di rito. Tali garanzie consistono nella necessaria presenza del difensore della persona indagata; pertanto, quest’ultima deve essere avvertita della possibilità di nominare un difensore di fiducia, altrimenti verrà assistita da un difensore d’ufficio.

Inoltre, come previsto dal c. 3 dell’art. 64 c.p.p., la persona deve essere avvertita che:

  1. a) le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti;
  2. b) ha la facoltà di non rispondere ad alcuna domanda, ma comunque il procedimento seguirà il suo corso;
  3. c) se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, potrà assumere, in ordine a tali fatti, l’ufficio di testimone.

In via preliminare, si ritiene opportuno tratteggiare brevemente i principi generali in tema di giudizio abbreviato, che saranno utili, poi, per affrontare e risolvere la questione di specie.

Il giudizio abbreviato è un rito alternativo che consente di definire il procedimento “allo stato degli atti”, garantendo così uno snellimento dell’iter procedimentale attraverso l’eliminazione della fase dibattimentale, e assicurando, al contempo, una riduzione della pena per l’imputato.

Come sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità si tratta di “un procedimento a prova contratta, alla cui base è identificabile un patteggiamento negoziale sul rito, a mezzo del quale le parti accettano che la regiudicanda sia definita all’udienza preliminare alla stregua degli atti di indagine già acquisiti e rinunciano a chiedere ulteriori mezzi di prova, così consentendo di attribuire agli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari quel valore probatorio di cui essi sono normalmente sprovvisti nel giudizio che si svolge invece nelle forme ordinarie del dibattimento” (Cass. pen. S.U., n. 16/2000).

Pertanto, in seguito alla richiesta di giudizio abbreviato, che deve essere presentata personalmente dall’imputato o a mezzo di procuratore speciale, il giudice dovrà decidere esclusivamente sulla base degli atti acquisiti nella fase predibattimentale.

Si noti però che, nonostante con la scelta del rito de quo l’imputato rinunci al diritto del “difendersi provando”[1] in vista di uno sconto premiale di pena, devono comunque essere rispettati e garantiti i principi dettati a garanzia dello stesso dall’ordinamento penale. Del resto, la scelta del rito alternativo potrebbe sanare l’inutilizzabilità fisiologica della prova o l’inutilizzabilità relativa ma non certamente l’inutilizzabilità patologica, frutto di un’assunzione contra legem dell’atto probatorio, la cui utilizzazione è vietata in modo assoluto non solo nel dibattimento, ma anche in tutte le altre fasi del procedimento, comprese quelle delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare. In questo caso si tratta di una illegalità intrinseca della prova che non potrà essere tollerata neanche in vista della scelta abdicativa propria del rito abbreviato, in quanto potenzialmente lesiva dei diritti fondamentali della persona costituzionalmente garantiti, ed in particolare del principio  “nemo tenetur se detegere”.[2]

Pertanto, certamente non potranno essere utilizzate le dichiarazioni di chi, già dall’inizio, avrebbe dovuto essere sentito come persona indagata, con tutte le garanzie per essa previste, come sottolineato anche dalla giurisprudenza di legittimità[3].

La questione problematica attiene all’utilizzabilità di tali dichiarazioni nel giudizio abbreviato, per il quale, alla luce delle osservazioni dinnanzi esposte, si ritiene condivisibile la scelta di estendere le norme in tema di inutilizzabilità valevoli nel rito ordinario.

Tale nullità, però, può essere sanata dalla scelta del rito speciale nel caso in cui si tratti di dichiarazioni spontanee, per le quali la giurisprudenza maggioritaria ammette l’utilizzabilità nel giudizio abbreviato[4]. In tali casi, a parere della giurisprudenza, non opererebbe il divieto di cui all’art. 350 c. 7 c.p.p.[5], il quale, stante una sua interpretazione strettamente letterale, limita l’inutilizzabilità delle dichiarazioni spontanee del soggetto indagato al solo dibattimento.

Inoltre, nel giudizio abbreviato il requisito della spontaneità, e quindi l’assenza di forme di coercizione o sollecitazione, permetterebbe l’utilizzabilità di tali dichiarazioni.

Infine, la richiesta di definire il giudizio nelle forme di un rito speciale rappresenta senz’altro una implicita rinuncia alla fase dibattimentale e, dunque, anche all’esame in contraddittorio del soggetto che ha reso spontanee dichiarazioni ( Cass. pen., n. 40050/2008).

Tali considerazioni non sembrano, però, applicabili alla vicenda sottoposta al vaglio del Tribunale di Roma, nella quale le dichiarazioni rese dall’imputata (allora indagata) non erano connotate dal carattere della spontaneità; proprio per tale ragione, dunque, non sono state utilizzate dal giudice ai fini della decisione.

Osservazioni conclusive

La vicenda giudiziaria sottoposta al Tribunale di Roma con la pronuncia in esame assume un particolare interesse in quanto affronta una questione lungamente dibattuta in dottrina e in giurisprudenza, che presuppone un interrogativo di fondo: fino a che punto può spingersi la rinuncia ai diritti processuali in vista della scelta di un rito premiale?

A parere dell’autore la tesi di estendere l’inutilizzabilità delle dichiarazioni rese dalla persona indagata in assenza delle prescritte garanzie difensive anche al giudizio abbreviato è pienamente condivisibile, in quanto la ratio sottesa alla scelta del rito speciale certamente non può tollerare il mancato rispetto delle garanzie poste dal legislatore a tutela della persona indagata.

In assenza di una specifica previsione normativa, sarà la giurisprudenza, avallata poi dalla dottrina, a fornire le linee guida per risolvere tali questioni processuali.

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Note:

[1] Così Vassalli, Il diritto alla prova nel processo penale, in Riv. it. dir. proc. pen., 1968, p. 12.

[2] Sul punto v. Cass. pen., n. 34512/2009.

[3] Cass. pen., n. 54590/2018; Cass. pen., n. 34512/2009; Cass. pen. ,n. 43542/2004.

[4] Cass. pen., n. 15197/2019; Cass pen., n. 32015/2018; Cass. pen., n. 18048/2018; Cass. pen., n. 13917/2017;  Cass. pen., n. 44829/2014; Cass. pen., n. 6346/2014; Cass. pen., n. 35027/2013; Cass. pen., n. 18519/2013; Cass. pen., n. 44874/2011; Cass. pen., n. 18064/2010. Contra v. Cass. pen., n. 24944/2015; Cass. pen., n. 36596/2012.

[5]La polizia giudiziaria può altresì ricevere dichiarazioni spontanee dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini, ma di esse non è consentita la utilizzazione nel dibattimento , salvo quanto previsto dall’articolo 503 comma 3”.

Sentenza collegata

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Giovanna De Feo

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