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Requisiti e presupposti
L’art. 168 bis del codice penale e l’art. 464 bis del codice di procedura penale disciplinano l’istituto della cosiddetta “messa alla prova”, introdotta con la legge del 28 Aprile del 2014 n. 67 ed entrata in vigore il 17 Maggio del 2014.
La norma in esame dispone che, in relazione alla commissione di determinati reati individuati in base alla cornice edittale di pena, l’imputato ha la facoltà di richiedere la sospensione del processo con messa alla prova.
L’art. 168 bis c.p. così recita : “Nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria, nonché per i delitti indicati dal comma 2 dell’articolo 550 del codice di procedura penale, l’imputato può chiedere la sospensione del processo con messa alla prova.
La messa alla prova comporta la prestazione di condotte volte all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato, nonché, ove possibile, il risarcimento del danno dallo stesso cagionato. Comporta altresì l’affidamento dell’ imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l’altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l’osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali.
La concessione della messa alla prova è inoltre subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità. Il lavoro di pubblica utilità consiste in una prestazione non retribuita, affidata tenendo conto anche delle specifiche professionalità ed attitudini lavorative dell’imputato, di durata non inferiore a dieci giorni, anche non continuativi, in favore della collettività, da svolgere presso lo Stato, le regioni, le province, i comuni, le aziende sanitarie o presso enti o organizzazioni, anche internazionali, che operano in Italia, di assistenza sociale, sanitaria e di volontariato. La prestazione è svolta con modalità che non pregiudichino le esigenze di lavoro, di studio, di famiglia e di salute dell’imputato e la sua durata giornaliera non può superare le otto ore.
La sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato non può essere concessa più di una volta.
La sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica nei casi previsti dagli articoli 102,103,104,105 e 108.”
Dalla lettura della norma si evince come la sospensione del procedimento con messa alla prova non è solamente una modalità alternativa di definizione del procedimento, ma, allo stesso tempo, è una causa di estinzione del reato, in caso di esito positivo della prova svolta dall’imputato.
Ratio di tale istituto risiede principalmente nella necessità di garantire il decongestionamento del processo penale nella sua fase decisoria di primo grado, in relazione a reati di non elevato allarme sociale.
La caratteristica principale dell’art. 168 bis c.p. consta nell’affidamento dell’imputato all’ UEPE (ufficio di esecuzione penale esterna) affinché svolga attività, consistenti nello svolgimento con regolarità e diligenza di un lavoro di pubblica utilità a titolo gratuito ed a favore della collettività intera, impegnandosi nella piena riparazione delle conseguenze dannose scaturite dal reato commesso e, ove possibile, al risarcimento del danno cagionato.
Durante l’intero periodo è necessario che l’imputato rimanga in contatto con l’ufficio di esecuzione penale al fine del suo reinserimento sociale ed alla sua reintegrazione, al fine di farlo astenere in futuro dal commettere ulteriori reati. Da qui, difatti, la ratio della possibilità di poter usufruire una sola volta di tale modalità alternativa di definizione del procedimento.
In merito alla durata di tale messa alla prova la legge non la definisce nello specifico, stabilendo però la durata della sospensione del procedimento per consentire la messa alla prova del soggetto richiedente.
Difatti l’art. 464 c.p.p. al comma quinto prevede in particolare che:
- il periodo di sospensione abbia una durata superiore ai due annise si procede per reati puniti con una pena detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria;
- il periodo di sospensione abbia invece una durata superiore a un anno se è stato commesso un reato punito solo con pena pecuniaria.
Al termine del periodo, il giudice, dopo aver ricevuto la relazione da parte dell’UEPE, dovrà decidere sull’esito.
In caso di esito positivo, pronuncia con sentenza l’estinzione del reato commesso, mentre, invece, in caso di esito negativo dispone con ordinanza, non impugnabile per il principio di tassatività, che il processo riprenda il suo corso dalla fase in cui è intervenuta la sospensione.
La messa alla prova, come ogni istituto di carattere sospensivo, è suscettibile di revoca la cui disciplina è articolata fra la norma sostanziale che individua i casi di revoca e la norma processuale che indica le modalità in punto di rito.
Quanto ai casi di revoca, il legislatore ne ha previsti tre che consistono in una grave o reiterata violazione del programma di trattamento o delle prescrizioni imposte, nel rifiuto alla prestazione del lavoro di pubblica utilità ed infine nella commissione durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo ovvero di un reato della stessa indole di quello per cui si procede.
Un precedente penale può negarne la concessione?
La giurisprudenza si è più volte posta il quesito in merito alla possibilità della concessione della sospensione del procedimento con messa alla prova ex art. 168 bis c.p. ad un imputato, il quale, pur non avendo ancora goduto di tale modalità di definizione del procedimento, risulta gravato da precedenti penali.
Il codice nulla dispone a riguardo limitandosi ad escludere tale applicazione “nei casi previsti dagli articoli 102,103,104,105 e 108”
La Corte di Cassazione – Sezione IV – con sentenza n. 4526 del 2016 ha stabilito che il giudice non può negare la sospensione del processo con messa alla prova solamente sulla base di un precedente penale. Difatti la Suprema Corte ha accolto un ricorso contro l’ordinanza con la quale il Tribunale rigettava la richiesta di messa alla prova dovuto all’esistenza di “una recidiva specifica infra-quinquennale” che, secondo i giudici di primo grado, rendeva impossibile dare il via libera all’utilizzo dell’istituto in questione.
La IV sezione della Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso, ricorda i tratti salienti della norma che, ai sensi dell’articolo 168 bis del codice penale, è applicabile ai reati con un limite di pena di 4 anni nel massimo, o ai reati tassativamente elencati dall’articolo 550 del codice di procedura penale.
La concessione della sospensione del procedimento, in vista dell’affidamento al servizio sociale e dello svolgimento di un lavoro di pubblica utilità, è disposto dal giudice che “in base ai parametri dettati dall’articolo 133 del codice civile, reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l’imputato si asterrà dal commettere altri reati”.
L’articolo 133 del codice penale elenca gli indici rivelatori della gravità del reato che il giudice deve valutare al fine di aprire o meno alla messa alla prova. Fra questi : la natura del crimine commesso, la gravità del danno arrecato alla vittima, il grado di colpa o l’intensità del dolo.
Sempre lo stesso articolo si sofferma poi sulla capacità a delinquere del reo , desumibile dal carattere di questo, dai motivi che lo hanno spinto a “trasgredire”, dalle sue condizioni di vita familiare e sociale e dai precedenti penali e giudiziari.
Nel caso in esame il Tribunale, sottolinea la Cassazione , ha respinto la richiesta dell’imputato solamente sulla base del precedente penale. Ma il riferimento ad uno solo dei molteplici indici, sopra descritti e previsti dal codice, non basta a legittimare il no.
In conclusione è corretto, dunque, affermare che un precedente penale non è ostativo alla concessione dell’art. 168 bis del nostro codice penale.
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