La decisione in commento costituisce una delle prime applicazioni dell’istituto della sospensione del processo e messa alla prova per gli adulti. Con legge n. 67 del 28 aprile 2014, il legislatore ha introdotto l’applicazione del probation processuale, che caratterizza il rito minorile (artt. 28 e 29 D.p.r. 448/88), anche per i maggiorenni.
L’istituto è regolato sotto il profilo sostanziale agli artt. 168bis, 168ter, 168quater, art. 657bis c.p. mentre dal punto di vista processuale è indicato agli artt. 464bis, art. 464novies c.p.p. e agli art. 141bis e 141ter disp. att. c.p.p.
Il provvedimento in questione risulta di notevole interesse in particolare perché con esso, il Tribunale di Torino, ha tentato di riempire il “vuoto normativo” riguardo alcune specifiche questioni lasciate irrisolte dal legislatore.
Nel caso di specie, due imputate hanno richiesto la sospensione del processo con messa alla prova, in ottemperanza alle disposizioni introdotte dal capo II della legge n. 67/2014, allegando il programma di trattamento elaborato con l’ufficio esecuzione penale esterna (u.e.p.e.). Come esplicitamente indicato all’art. 464bis, comma 2, c.p.p., la richiesta di applicazione della misura, può essere proposta oralmente o per iscritto, fino a che non siano formulate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422 c.p.p. o fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado nel giudizio direttissimo e nel procedimento di citazione diretta a giudizio, oppure ancora entro il termine e con le forme stabilite dall’art. 458, comma 1, c.p.p. se è stato notificato il decreto di giudizio immediato, o con l’atto di opposizione, nel procedimento per decreto, come prevede l’art. 464bis c.p.p. Tuttavia, nulla ha stabilito invece il legislatore, nelle ipotesi in cui, a norma dell’art. 464bis, comma 2, c.p.p., tali fasi siano state superate.
Il Tribunale, riconoscendo la natura anche sostanziale dell’istituto, come nuova causa di estinzione del reato che si produce in caso di esito positivo della prova, ha precisato che la misura, in assenza di norme transitorie che contemplino le ipotesi di richiesta dell’istituto in esame nell’ambito di procedimenti ove il termine sia già scaduto, si applica anche ai processi in corso, alla luce dei principi generali previsti dall’ordinamento in ordine all’applicazione ai processi in corso dei mutamenti di natura penale sostanziale favorevoli agli imputati (art. 2, comma 4, c.p.). Pertanto, essendo scaduto il termine previsto a pena di decadenza per formulare la domanda di richiesta della sospensione, il Tribunale torinese sostiene che la posizione soggettiva delle imputate, non può che essere garantita mediante l’istituto della restituzione nel termine, ex art. 175 c.p.p., posto che il rispetto del termine non è stato possibile per causa di forza maggiore (il c.d. factum principis) e considerato che le imputate hanno chiesto di esercitare il diritto alla prima occasione utile per loro.
La pronuncia in esame appare interessante anche riguardo un’altra questione, che non è stata chiarita dal legislatore. Ben può accadere che nell’ambito di uno stesso procedimento, durante le indagini preliminari o in dibattimento, allo stesso soggetto vengano contestati più reati, tra loro connessi, per cui è prevista la pena edittale fino a quattro anni di reclusione e reati che superando tale limite, precludono la concessione della messa alla prova. Si tratta della “c.d. messa alla prova parziale” e in tali casi è controversa l’ammissibilità di una richiesta di separazione dei procedimenti ai fini della sospensione e messa alla prova per alcuni soltanto dei reati contestati in un processo oggettivamente cumulativo.
Sul punto il Tribunale torinese, pur richiamando la prevalente giurisprudenza in tema di c.d. patteggiamento parziale che nega la possibilità di richiesta di separazione in caso di procedimento oggettivamente cumulativo, non esclude tale possibilità, in ragione proprio della diversa natura che contraddistingue l’istituto della messa alla prova rispetto all’applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. la cui ratio risponde soltanto ad esigenze deflattive. Al contrario, l’istituto della sospensione del processo con messa alla prova non persegue soltanto uno scopo puramente deflattivo, ma risponde più in generale ad esigenze di risocializzazione del condannato, ex art. 27, comma 3, Cost. D’altronde, a parere del Tribunale, ritenere inammissibile un’istanza come quella in esame, avrebbe potuto condurre a conseguenze paradossali, in tutte quelle ipotesi in cui, ragionando in astratto, l’imputato che, accusato in un processo oggettivamente cumulativo (in cui alcuni dei reati non ammettano la messa alla prova) si veda respingere l’istanza per esservi nell’imputazione anche reati per cui la definizione alternativa non è prevista dalla legge, per poi essere assolto per i soli reati che precludevano l’accesso alla messa alla prova, ma condannato per i reati per i quali avrebbe avuto diritto alla sospensione del processo e alla messa alla prova.
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