Sospensione dell’ordine di esecuzione ed articolo 4-bis della legge n. 354/1975 : reati “ostativi” o parzialmente “ostativi” ?

Premessa: l’ordine che dispone la carcerazione

Una sentenza di condanna a pena detentiva può dirsi irrevocabile, e quindi passata in giudicato, quando sia decorso inutilmente il termine entro il quale sia possibile esperire un mezzo di impugnazione, oppure laddove sia spirato il termine entro cui sia possibile impugnare l’ordinanza che abbia dichiarato inammissibile il mezzo di gravame.

Il provvedimento irrevocabile costituisce titolo esecutivo; ciò significa che, affinché il condannato possa iniziare ad espiare la pena oggetto di condanna, è necessario che il provvedimento de quo sia posto in esecuzione dal Pubblico Ministero,  il quale rappresenta senz’altro il propulsore della fase esecutiva, “curando” d’ufficio l’esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali.

La cristallizzazione del giudicato attribuisce, pertanto, alla Procura l’imprescindibile compito di formare ed emettere un ordine di esecuzione attraverso il quale viene disposta la carcerazione del condannato. Duole precisare che, anteriormente all’emissione dell’ordine suddetto, il Pubblico Ministero è tenuto ad eseguire le eventuali detrazioni verificando la sussistenza del “pre-sofferto cautelare”, della “fungibilità” di pena nonché dei presupposti per la Liberazione Anticipata, funzionali alla determinazione del calcolo preciso circa il quantum di pena oggetto di esecuzione.

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Il decreto di sospensione dell’ordine di esecuzione ex art. 656, comma 5, c.p.p.

Al netto delle eventuali detrazioni, se la pena detentiva oggetto del provvedimento di condanna, divenuto esecutivo, risulti eccedente nel massimo ai quattro anni di reclusione (fatta eccezione per i casi di “tossicodipendenza”, come si vedrà)  è giocoforza che il prevenuto sia costretto a varcare la porta di ingresso del carcere. Ma cosa accade laddove la sanzione penale non superi il tetto di quattro anni? In tal caso, in assenza di talune condizioni ostative, viene offerta una seconda chance al condannato, consentendo allo stesso di poter beneficiare di una delle misure alternative alla detenzione, permettendogli contestualmente di intraprendere un percorso riabilitativo/risocializzante al di fuori del regime intramurario. Alla stregua del quinto comma ex art. 656 c.p.p. nonché del principio formulato dalla Consulta con sentenza n. 41/2018, il Pubblico Ministero sospende, con apposito decreto, l’esecuzione della pena detentiva quando questa, anche se costituente residuo di maggiore pena, non risulti superiore ai quattro anni, ovvero ai sei anni (o quattro anni nei casi di reati ex art. 4-bis O.P.) se la sanzione de qua è stata applicata nei confronti di un soggetto che abbia commesso un reato in relazione al proprio stato di tossicodipendenza, e ciò ai sensi dell’art. 90 del d.P.R n.309/1990.

Il decreto di sospensione (unitamente all’ordine di esecuzione) notificato al condannato ed al suo legale, determina quale conseguenza una stasi procedurale non eccedente i trenta giorni, arco temporale ove viene data l’opportunità all’interessato di depositare presso l’Ufficio della Procura, per poi essere sottoposta al vaglio definitivo del Tribunale di Sorveglianza, un’istanza finalizzata all’ottenimento di una delle misure alternative alla detenzione, quali l’affidamento in prova al servizio sociale, la detenzione domiciliare e la semilibertà, disciplinate rispettivamente dagli artt. 47, 47 ter e 50 della Legge sull’ordinamento penitenziario n. 354/1975.  Il Tribunale di Sorveglianza è tenuto a prendere una decisone entro 45 giorni dal ricevimento dell’istanza, seppur tale termine risulti ordinatorio. Si ravvisa che nei casi di omesso deposito (salvi i casi di mancato avviso del decreto di sospensione ex art. 656, comma 8-bis) o di inammissibilità della relativa istanza, il provvedimento di sospensione sarà oggetto di revoca proveniente dal Pubblico Ministero.

In ultima analisi, per evitare qualsivoglia confusione applicativa, appare doveroso precisare che in materia di stupefacenti, l’interessato non avanzerà istanza volta alla concessione di una delle misure alternative testé richiamate, bensì potrà beneficiare della sospensione per un periodo equivalente a cinque anni, laddove il Tribunale di Sorveglianza accerti rigorosamente che il soggetto si sia sottoposto con esito positivo ad un programma terapeutico espletato presso una struttura sanitaria. D’altro canto, se viene emesso l’ordine di carcerazione, non si esclude che il condannato “tossicodipendente”, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 656, co. 5 c.p.p. e 90 d.P.R. n. 309/1990,  possa avanzare al Magistrato di Sorveglianza una domanda prodromica all’ottenimento della misura speciale dell’affidamento terapeutico, e ciò a condizione che il prevenuto intenda proseguire/intraprendere  l’attività terapeutica alla luce di un programma concordato con un’azienda sanitaria.

I divieti di sospensione dell’ordine di carcerazione.

La pena detentiva non superiore ai quattro (o sei) anni di reclusione, rappresenta la condizione necessaria, ma non sufficiente, affinché la Procura possa attivarsi al fine di sospendere l’ordine di carcerazione. In prima battuta, un dato imprescindibile non ostativo alla sospensione è costituito dallo status di “libertà” (seppur, come si vedrà, relativo) nel quale deve versare il condannato al momento del passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna; di converso, ai sensi dell’art. 656, comma 9, lett. b), scatta la preclusione sospensiva se, per il fatto oggetto della condanna da eseguire, il prevenuto si trovi sottoposto in regime di custodia cautelare in carcere, oppure risulti latitante, situazione equiparabile a quella del detenuto. Sulla scorta di quanto accennato poc’anzi, lo stato di libertà risulta incontrovertibilmente relativo, in quanto nulla esclude che il reo, al momento della condanna definitiva, si trovi ristretto tra le mura del proprio domicilio, e dunque in stato di custodia cautelare domiciliare. Tale condizione, però, non determina alcuna preclusione, in quanto attribuisce al Pubblico Ministero, e pertanto non direttamente all’interessato, il potere di sospendere l’ordine esecutivo con annessa trasmissione degli atti presso il Tribunale di Sorveglianza affinché possa provvedere alla potenziale concedibilità di una delle misure alternative, così come delineato dalla normativa e precisamente alla luce dell’art. 656, comma 10.

Oltre al vincolo normativo imposto dal comma 7 secondo cui la sospensione dell’ordine di esecuzione non possa disporsi più di una volta e considerato che lo status di recidivo reiterato non risulti più ostativo alla sospensione, è utile ravvisare che l’art. 656, comma 9 designa svariate preclusioni collegate alla tipologia del reato commesso. Invero, il divieto di sospensione è configurabile allorquando il reo sia stato destinatario di una sentenza di condanna per i delitti enucleati dall’art. 4-bis della Legge n. 354/1975, per il delitto di incendio boschivo, per maltrattamenti contro familiari e conviventi se dal fatto sia derivata una lesione grave o gravissima, per il delitto di atti persecutori commessi ai danni di un minore, di una donna in stato di gravidanza oppure con armi o da persona travisata, per taluni reati gravi contro la Pubblica Amministrazione alla stregua della Legge “Spazzacorrotti”, nonché per il delitto di furto in abitazione, rilevato inoltre che il furto con strappo, alla luce dell’intervento della Corte Costituzionale, non risulti più ostativo alla sospensione dell’ordine di esecuzione.

Articolo 4-bis: contenuto normativo e i cc.dd. reati ostativi

Alla luce del combinato disposto di cui agli articoli 656, comma 9 e 4-bis O.P., al Pubblico Ministero sarà preclusa la possibilità di poter notificare al reo un decreto di sospensione dell’ordine di esecuzione, quando il fatto criminoso oggetto della condanna irrevocabile appartiene alla categoria di taluni reati ritenuti particolarmente deplorevoli, tali da escludere inoltre qualsivoglia beneficio potenzialmente concedibile ad un determinato soggetto che li abbia commessi. Pertanto, attraverso la disamina sostanziale delle disposizioni ex art 4-bis, si evince che l’agente non solo non potrà essere destinatario di un decreto sospensivo dell’ ordine di carcerazione, ma non potrà neppure beneficiare (non esclusivamente, come si vedrà) delle misure alternative alla detenzione, dei permessi-premio nonché delle assegnazioni al lavoro esterno. Tale sbarramento è configurabile nelle ipotesi in cui il prevenuto sia stato condannato con sentenza definitiva per i delitti commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, per i delitti di associazione per delinquere e di tipo mafioso nonché di scambio elettorale politico-mafioso, per delitti a “sfondo sessuale”, per sequestro di persona a scopo di estorsione, per i delitti di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, per i delitti di omicidio, rapina aggravata ed estorsione aggravata, nonché per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina degli stranieri.

I reati sopraindicati vengono coniati con l’accezione “ostativi”, alludendo alla presunzione assoluta secondo la quale chiunque si macchi di suddetti reati non potrà accedere a benefici previsti e concedibili dalla legge. Tale aspetto non è assolutamente veritiero, in quanto l’unica preclusione originata dalla commissione ed accertamento dei cc.dd. reati ostativi attiene al divieto incombente al Pubblico Ministero di sospendere l’ordine di esecuzione della pena detentiva, alla luce del comma 9, lett. a) di cui all’art. 656 c.p.p. Di conseguenza, l’accesso ai benefici a favore del condannato non risulta in toto escluso; sussistono dei presupposti normativi ex art. 4-bis legittimanti la concessione non solo dei permessi-premio e del lavoro esterno, ma anche delle misure alternative alla detenzione. A scanso di equivoci, sarebbe pertanto più ragionevole annoverare i delitti elencati dall’art. 4-bis alla categoria dei “reati parzialmente ostativi”, al fine di voler precisare che l’accertamento del commesso reato appartenente all’elenco indicato dalla norma de qua, non impedisce totalmente il condannato nell’accedere a taluni benefici, purché si verifichino delle condizioni tassativamente indicate dalla normativa. In primis, alla luce dei commi 1, 1 bis ed 1 ter di cui all’art. 4-bis, l’accesso ai benefici risulta possibile solo ed esclusivamente allorquando il Magistrato di Sorveglianza (o il Tribunale di Sorveglianza) abbia accertato rigorosamente con esito positivo che il reo abbia rescisso qualsivoglia vincolo con la criminalità organizzata, ovvero abbia deciso di collaborare con la giustizia. In secondo luogo, in virtù del comma 1 quater,  in relazione alla categoria dei reati “sessuali”, la potenziale concessione dei benefici in oggetto risulta subordinata alla verifica dei risultati dell’osservazione scientifica della personalità del detenuto condotta per almeno un anno; inoltre, laddove un delitto a sfondo sessuale sia stato commesso ai danni di un soggetto minorenne, è possibile che il condannato, previo consenso del Magistrato e/o Tribunale, possa accedere ad un programma di riabilitazione speciale e sottoporsi dunque ad un trattamento psicologico con finalità di recupero e di sostegno.

In ultima analisi e per completezza espositiva, appare utile precisare che i delitti elencati dall’art. 4-bis commessi da un soggetto in relazione al proprio stato di tossicodipendenza, non risultano ostativi alla sospensione dell’ordine di esecuzione, e ciò a condizione che la pena detentiva inflitta per tali reati non superi i quattro anni e che il condannato si sia sottoposto ad un programma terapeutico.

 

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Dott. Raffaele Pellino

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