Sospensione o licenziamento per no vax? Sentenze prima del dl 127/2021

 

Indice

1. L’art 32 Cost e la riserva di legge


L’art 32 Cost. sancisce che nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. Nonostante la linea dura dei Tribunali, solo una legge rispondente ai canoni dell’art 32 della Costituzione (non di certo l’art. 2087 c.c. o il Testo Unico in materia di lavoro) può imporre un obbligo di vaccinazione generalizzato e far scaturire da esso la sospensione o il licenziamento del lavoratore che non si vaccini per giustificato motivo. In particolare la Corte Costituzionale ha stabilito che la legge impositiva di un trattamento sanitario è compatibile con l’art 32 Cost:

  • 1. se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stata di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri (sentenza 1990, n. 307);
  • 2. se vi sia la previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato salvo che per quelle sole conseguenze temporanee e di scarsa entità;
  • 3. se nell’ipotesi di danno ulteriore alla salute del soggetto sottoposto al trattamento obbligatorio sia prevista la corresponsione di un’equa indennità in favore del danneggiato (sent. 307/19902).

La legge e solo la legge può interessarsi della disciplina sull’obbligatorietà della vaccinazione. Ove non c’è legge, tuttavia soccorre la giurisprudenza dei Tribunali che analizzeremo, e che sembra propendere per una misura quale la sospensione senza retribuzione, piuttosto che per il licenziamento.

2. Sospensione?


L’azienda potrebbe sospendere dal lavoro e dalla retribuzione il dipendente che non si vaccina se il medico competente, preso atto del rifiuto a sottoporsi a vaccinazione, esprime un giudizio di inidoneità temporanea della mansione, e l’azienda non disponga di diverse mansioni cui adibirlo, anche inferiori, che non implichino rischio di contagio. Tuttavia, l’ultimo decreto legge n. 127/2021 che stabilisce l’obbligo del green pass per tutti i lavoratori, non prevede più la possibilità della sospensione dal lavoro. Il dipendente che non è in possesso del green pass viene lasciato a casa senza retribuzione. Il decreto è entrato in vigore il 21 settembre e quindi la giurisprudenza precedente e che analizziamo di seguito tratta casi di sospensione dal lavoro. >> Leggi l’articolo “Green pass obbligatorio per tutti i lavoratori: chi controlla e quali sono le sanzioni

3. La giurisprudenza del Tribunale di Modena


Secondo una recente sentenza del tribunale di Modena, il datore di lavoro può sospendere dal lavoro e senza stipendio i lavoratori no vax. In un contesto certamente turbolento e imprevedibile, arriva ora l’ordinanza n. 2467 del 23 luglio 2021 del Tribunale di Modena, che certamente fa discutere. In estrema sintesi, il contenuto del provvedimento del Tribunale emiliano è il seguente: in caso di lavoratori no vax, che rifiutano di vaccinarsi contro il Covid-19, l’azienda che li ha assunti, è legittimata a sospenderli dal servizio; con anche il blocco del pagamento dello stipendio. Vediamo un po’ più nel dettaglio. Forse non deve stupire eccessivamente la sentenza del Tribunale di Modena, giacché negli ultimi tempi diverse aziende si stanno muovendo nella direzione di incentivare la vaccinazione dei loro dipendenti, per non rischiare provvedimenti pregiudizievoli. Il provvedimento giunge a seguito del ricorso presentato da due fisioterapiste di una Rsa, assunte con regolare contratto da una cooperativa di Modena. Quest’ultima aveva preso provvedimenti a fronte del rifiuto di vaccinarsi delle dipendenti. Le due ricorrenti avevano invocato – invano – l’uso delle mascherine per proteggersi adeguatamente. Da ciò, il ricorso che ha condotto all’ordinanza. Si tratta di una delicata vicenda avvenuta prima del varo ufficiale del decreto legge che ha imposto l’obbligo vaccinale per il personale sanitario. L’ordinanza del Tribunale di Modena sottolinea che il datore di lavoro si pone “come garante della salute e della sicurezza dei dipendenti e dei terzi che per diverse ragioni si trovano all’interno dei locali aziendali e ha quindi l’obbligo ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile di adottare tutte le misure di prevenzione e protezione che sono necessarie a tutelare l’integrità fisica di lavoratori”. Il Tribunale di Modena, nell’emettere questa pronuncia in materia di vaccino e lavoratori no-vax, si è di fatto agganciato a quanto previsto dalla direttiva Ue n. 739 del 3 giugno 2020. Questo significativo provvedimento ha incluso il coronavirus tra gli agenti biologici per i quali è doverosa la protezione anche negli ambienti di lavoro. Ecco perché di fatto il provvedimento del giudice ha aperto alla possibilità della sospensione dal lavoro e dallo stipendio dei lavoratori no vax.

4. La posizione del Tribunale di Roma


Il suddetto Tribunale si è pronunciato nell’ordinanza n. 18441/2021 in seguito al ricorso promosso da una lavoratrice che si era ritrovata a casa e senza retribuzione dopo la sospensione del rapporto di lavoro da parte del datore. In particolare, la dipendente era risultata non idonea alle prestazioni lavorative in seguito alla visita d’idoneità del medico competente, il quale aveva dichiarato la lavoratrice “idonea con limitazioni” nello svolgimento della sua attività lavorativa (“evitare carichi lombari maggiori/uguali a 7 kg”) e, in seguito al rifiuto di sottoporsi al vaccino contro il Covid-19, impossibilitata a stare in contatto con la clientela. Il titolare, dopo il giudizio del medico competente, ha deciso di sospendere la lavoratrice, privandola della retribuzione, a decorrere dal primo luglio scorso, fino a eventuale giudizio di revisione di idoneità o alla cessazione delle limitazioni per pandemia. Inoltre, il datore di lavoro ha  preso questa decisione dopo aver verificato dall’organigramma l’impossibilità per la dipendente di svolgere altre mansioni nella sua attività, in seguito alla mancanza di un diverso impiego da assegnarle. La lavoratrice ha ritenuto che la sospensione da parte del datore non è altro che un provvedimento disciplinare nei confronti della stessa per essersi rifiutata di sottoporsi al vaccino contro il Covid-19. Totalmente diverso è il pensiero del Tribunale, il quale ha ritenuto corretto il comportamento del datore di lavoro, sostenendo che: “quando non ci sono altre mansioni cui destinarlo, è legittima (anzi doverosa) la sospensione dal lavoro del lavoratore che, sottoposto a visita del medico di fabbrica, sia risultato non idoneo a stare a contatto con la clientela perché non sottoposto al vaccino Covid-19. Pertanto, secondo il Tribunale, è corretto sospendere il lavoratore che si rifiuta di sottoporsi al vaccino. La sentenza in questione, infatti, afferma che non si tratta di sanzione disciplinare, bensì di un doveroso provvedimento di sospensione, adottato stante la parziale inidoneità alle mansioni. Con riferimento allo stipendio del dipendente, il Titolare dell’attività può decidere di non erogare la retribuzione al lavoratore lasciato a casa per rifiuto al vaccino. A tal proposito, il suddetto Tribunale ha richiamato la giurisprudenza che, concordemente, ritiene: “se le prestazioni lavorative vengono vietate dalle prescrizioni del medico competente con conseguente legittimità del rifiuto del datore di lavoro di ricevere, lo stesso datore di lavoro non è tenuto al pagamento della retribuzione (Sentenza n. 7619/1995 della Corte di Cassazione)

5. Illegittimità di una sospensione indiscriminata


Abbiamo già visto come in mancanza di un chiaro obbligo legislativo generalizzato, la situazione del licenziamento possa essere difficilmente applicabile. Già prima dell’introduzione di un obbligo legislativo di vaccinazione per le categorie medico professionali, introdotto dal D.L. 44/2021, convertito in L. 76/2021, la giurisprudenza del Tribunale di Modena aveva previsto la sospensione di due dipendenti di RSA che avevano rifiutato la vaccinazione per impossibilità di svolgere la mansione ed il rischio elevato di contagio che l’ambiente medico presenta. Che dire sul licenziamento? L’ipotesi del licenziamento non appare consacrata in nessun obbligo legislativo: come ribadisco il D.L. 44/2021 ha introdotto la possibilità di una sospensione dal lavoro e dalla retribuzione solo qualora non sia possibile adibire l’operatore medico sanitario ad altre mansioni non implicanti rischio di contagio. Ma nulla statuendo sul licenziamento. Essendo esclusala la possibilità di licenziare in campo medico, non sarebbe possibile licenziare senza compiere un trattamento discriminatorio anche in confronto delle altre categorie professionali (per le quali tra l’altro nessun obbligo di vaccinazione è previsto).  Come si applica la sospensione? Di certo non indiscriminatamente, come sostenuto dal Tribunale di Milano. Il discorso deve prendere necessariamente le mosse dall’art. 2087 c.c., che obbliga il datore di lavoro all’adozione di quelle misure che, secondo l’esperienza e la tecnica, siano più idonee a preservare la personalità morale e l’integrità psicofisica dei lavoratori. Il datore di lavoro, stante la legittimità del provvedimento di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, deve però comprendere come tale provvedimento si ponga come “extrema ratio”, da adottarsi solo previa negativa verifica dell’adibizione del lavoratore a mansioni (uguali o inferiori) che non implichino rischio di contagio, con corrispondente trattamento economico. E questo discorso sia ovviamente vale per le professioni medico-sanitarie, sia si può estendere anche alle altre professioni.

6. Il caso trattato dal Tribunale di Milano


Il 15 settembre scorso, infatti, sulla scorta dell’orientamento affermatosi in seno alla giurisprudenza di merito[1], il Tribunale di Milano, con sentenza n. 2316/2021, ha dichiarato «l’illegittimità del provvedimento di collocamento in aspettativa non retribuita»[2] disposto da una cooperativa operante in ambito sanitario, con conseguente condanna al pagamento delle retribuzioni maturate, nei confronti di una sua dipendente che si era rifiutata di sottoporsi al trattamento vaccinale per il SARS-Cov2. Una pronuncia che, dati gli ultimi interventi del Governo, in qualcuno può aver destato perplessità e che ad altri avrà potuto far pensare ad un cambio di rotta rispetto a pronunce precedenti sul tema, ma che in realtà si colloca perfettamente in continuità con la diuturna giurisprudenza di merito. Per capire meglio la questione, è necessario precisare che l’invito a sottoporsi al trattamento sanitario è stato avanzato prima dell’emanazione della normativa che oggi impone l’obbligo vaccinale per il personale sanitario e para-sanitario. Anche il giudice milanese (come già avevano fatto i giudici di Modena, Belluno, Roma e Verona[3]) ha poggiato il suo ragionamento sul disposto dell’art. 2087 c.c. e sugli obblighi contrattuali che compongono lo scambio di prestazioni tra lavoratore e datore di lavoro[4]. Tuttavia, il caso sottoposto all’attenzione del Tribunale di Milano presenta una differenza rispetto ai precedenti. In questa occasione, infatti, il datore di lavoro ha omesso la verifica sulla possibilità di ricollocare il lavoratore a mansioni diverse. Sul tema, infatti, la giurisprudenza ha sempre affermato in modo chiaro ed inequivocabile che l’istituto della sospensione dal lavoro senza retribuzione è solo l’estrema conseguenza (per altro non sanzionatoria) di un percorso più lungo che onera il datore di lavoro di verificare se sia possibile ricollocare il lavoratore in una posizione che non lo esponesse a contatti con soggetti fragili.


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7. Con il D.L. 123/2021 sul Green Pass cosa cambia?


Trattasi queste appena esaminate di sentenze precedenti al Decreto – Legge n. 123/2021 concernente l’obbligo di Green Pass sul lavoro. Quali sono le sanzioni per i lavoratori che non hanno il green pass? Il decreto legge che inserisce l’obbligo di green pass per i lavoratori a partire dal 15 ottobre prevede assenza ingiustificata e mancato pagamento dello stipendio per chi non lo ha. In pratica chi si presenta al lavoro senza la certificazione verde si vedrà decurtato lo stipendio e quella giornata verrà considerata come se non ci si fosse presentati. Inoltre, nel caso in cui si entri in ufficio o sul posto di lavoro senza green pass, può scattare una sanzione che va dai 600 ai 1.500 euro.

8. I rischi per gli imprenditori che hanno l’obbligo di controllare


A verificare che i lavoratori abbiano il green pass devono essere le aziende, che dovranno individuare un responsabile del controllo. Se non viene rispettata la norma e non vengono effettuate le verifiche gli imprenditori rischiano una sanzione tra i 400 e i 1.000 euro. Su questo punto, però, è già arrivato un ulteriore chiarimento del governo: “In caso di accertamento da parte delle autorità, se un dipendente viene trovato senza green pass, nulla può essere contestato all’azienda se i controlli a campione sono stati effettuati nel rispetto di adeguati modelli organizzativi”. Insomma, c’è un protocollo da rispettare per quanto riguarda i controlli a campione. Se le aziende lo seguissero ma, nel corso di un controllo delle forze dell’ordine o degli ispettori del lavoro, alcuni dipendenti risultassero sprovvisti di green pass, non ci sarebbe nessuna conseguenza per gli imprenditori “a condizione che i controlli siano stati effettuati nel rispetto di adeguati modelli organizzativi come previsto dal decreto legge 127 del 2021”.

9. Piccole medie imprese


Per le imprese con organico inferiore ai quindici dipendenti, per coloro che sono sprovvisti di Green Pass, dopo il quinto giorno di assenza ingiustificata è prevista la facoltà per il datore di lavoro di sostituire temporaneamente il lavoratore per un periodo massimo di dieci giorni, rinnovabile una sola volta, fermo restando il termine ultimo del 31 dicembre 2021.
Obbligo vaccinale: la questione del licenziamento
La trattazione si sofferma poi su un altro effetto di notevole portata del d.l. 44/2021. Il provvedimento “ove non siano disponibili mansioni diverse, anche inferiori, a cui il lavoratore potrebbe essere adibito – senza comunque la garanzia del mantenimento del trattamento retributivo originario, evidentemente in ragione dello sfavore con cui si guarda alla scelta di non aderire alla campagna vaccinale –, prevede, come esito ultimo, esclusivamente la sospensione senza retribuzione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2 (art. 4, commi 6 e 8), così escludendo implicitamente il licenziamento, tanto disciplinare, che per giustificato motivo oggettivo”. Si indica che se la scelta di escludere il licenziamento “potrebbe essere comprensibile”, la sopravvenuta disciplina speciale del d.l. n. 44/2021 “potrebbe, però, creare una del tutto irragionevole e ingiustificata disparità di trattamento nei confronti dei lavoratori non obbligati. Questi, infatti, in esito alla valutazione d’inidoneità alla mansione ex art. 42 del d.lgs. n. 81/2008, potrebbero correre il rischio – ove non fossero disponibili mansioni diverse “non di contatto”, anche inferiori, ma in questo caso con la conservazione del trattamento ‘di provenienza’ – di essere alla fine licenziati per giustificato motivo oggettivo. Una conseguenza paradossale considerando che i ‘non obbligati’ verrebbero penalizzati ben più degli ‘obbligati’. Di qui la necessità d’individuare una soluzione che difficilmente per i ‘non obbligati’ può consistere solo in un’interpretazione costituzionalmente orientata (alla luce dell’art. 3 Cost.) dell’art. 42 del d.lgs. n. 81/2008”.

10. Un caso eccezionale: il rifiuto della mascherina, c’è il licenziamento?


Se per non fare il vaccino c’è la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, va decisamente peggio a chi non vuole mettere la mascherina negli ambienti di lavoro. Lo sa bene la maestra di una scuola per l’infanzia che si era dichiarata obiettore di coscienza e si rifiutava di indossare il dispositivo di protezione individuale davanti ai bambini. Secondo il tribunale di Trento, si tratta di una condotta che integra la giusta causa di licenziamento, come già stabilito anche dalla Cassazione. Primo, perché la mascherina serve a proteggere il lavoratore. Secondo, perché serve anche a tutelare la salute degli altri. Di conseguenza, come sostengono i giudici trentini, non è possibile anteporre le proprie convinzioni personali all’interesse generale.

11. Le conseguenze per il lavoratore in caso di rifiuto del lavoratore di sottoporsi alla vaccinazione


Diverse sono le posizioni assunte in tema di conseguenze per il lavoratore che non si sottoponga alla vaccinazione anti covid-19 ovvero che la rifiuti ingiustificatamente, dovendosi escludersi tale circostanza laddove egli sia affetto da patologie ovvero manifestata intolleranza a determinanti componenti farmacologici che la sconsiglino per ragioni di tutela della propria salute. Nel consistente dibattito dottrinario che va sviluppandosi in argomento, vi è così chi propende per soluzioni più drastiche, ritenendo possibile il licenziamento disciplinare o per giusta causa ovvero il licenziamento per giustificato motivo oggettivo da irrogare una volta terminato il blocco dei licenziamenti, a quelle certamene più caute e comunque conservative, come la preventiva adibizione del lavoratore a mansioni differenti anche ai sensi dell’art. 42 del d.lgs. 81/2008, e pure inferiori, ma con conservazione della retribuzione e della qualifica. Ove il reperimento di altra mansione non sia possibile in tal caso, resterebbe la possibilità della sospensione dalla prestazione lavorativa con conseguente sospensione dell’obbligo retributivo, nel rispetto della natura sinallagmatica del rapporto di lavoro e per mancanza oggettiva della idoneità del lavoratore a svolgere il lavoro in condizioni di sicurezza. Nel caso perduri il rifiuto del lavoratore a sottoporsi alla vaccinazione, il licenziamento potrebbe essere intimato, come si è argomentato in precedenza, solo come misura estrema per definitiva lesione del vincolo fiduciario, inteso come scarso affidamento nel corretto futuro adempimento del contratto ed assenza di interesse apprezzabile alla sua prosecuzione. Si è così osservato che in questi casi, la mancanza di vaccinazione, benché imputabile ad una condotta, comunque volontaria e lecita, del lavoratore, rileva, in ogni caso, oggettivamente: sotto il profilo dell’organizzazione del lavoro e dell’inidoneità del lavoratore ad operare nell’ambiente in condizioni di sicurezza, anche sulla scorta del giudizio del medico competente, al pari di quanto accade in caso perdita della idoneità psico-fisica o della capacità lavorativa o, ancora, di titoli soggettivi abilitanti.

12. Dipendenti No Vax: chi può conoscere i dati sulla vaccinazione?


Il trattamento dei dati relativi ai dipendenti vaccinati nonché coloro che sono in possesso del cosiddetto “green pass” è prerogativa del medico competente. L’azienda, dal canto suo, non può, nemmeno con il consenso dei lavoratori interessati, conoscere i nomi dei soggetti vaccinati o comunque in possesso del certificato verde. Un aspetto sottolineato anche dal Garante della privacy nel documento del 14 maggio scorso intitolato “Protezione dei dati – Il ruolo del medico competente in materia di sicurezza sul luogo di lavoro, anche con riferimento al contesto emergenziale”. Nel testo si afferma che, nei casi di esposizione diretta ad agenti biologici con rischi elevati per lavoratori e pazienti (il riferimento è soprattutto al settore sanitario), soltanto il medico competente ha la possibilità di “trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti e, se del caso, tenerne conto in sede di valutazione dell’idoneità alla mansione specifica”. Il datore di lavoro, sottolinea sempre il Garante, può solamente “limitarsi ad attuare le misure indicate dal medico competente nei casi di giudizio parziale o temporanea inidoneità alla mansione cui è adibito il lavoratore”.

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AA.VV. | Maggioli Editore 2021

Bibliografia

  • Quotidiano giuridico.it, “Vaccino anti-Covid: può il datore di lavoro imporlo, e in caso di rifiuto, licenziare il lavoratore?”, 8 gennaio 2021, Professore Ichino Pietro, Professore Mazzotta Oronzo
  • Altalex, “Il datore di lavoro può obbligare alla vaccinazone?”, 17/03/2021, Giulia Ippolito
  • it, “Obblighi di vaccinazione per gli operatori sanitari: i limiti imposti dalla Costituzione”, 08/0472021, Chiara Petrucci
  • Lavoro Diritti Europa, “ Il vaccino obbligatorio per gli operatori sanitari per legge è requisito essenziale per la prestazione”, 01/05/2021, Carlo Pisani
  • it, “ Si può licenziare il datore di lavoro che rifiuta di licenziarsi?”, 19/03/2021
  • Lavoro e diritti ,“Lavoratori no vax, sì alla sospensione senza paga: la sentenza del Tribunale di Modena”, di Claudio Garau 2 Agosto 2021
  • Diritti fondamentali.it, “Vaccinazioni e diritti costituzionali”, 05/05/2021, Marco Mocella
  • Il Sole 24 ore.it, “Lavoro, lecito mettere in ferie il dipendente che rifiuta il vaccino, 24/03/2021, Aldo Bottini e Matteo Prioschi

Valerio Carlesimo

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