Tutela dell’immagine del paese: sospensione serie TV sull’omicidio di Avetrana

Accolto il ricorso d’urgenza presentato dal sindaco di Avetrana, con un provvedimento di sospensione cautelare della serie tv sull’omicidio.

In data 23 ottobre 2024 il giudice della sezione civile del Tribunale di Taranto, Antonio Attanasio, ha accolto il ricorso d’urgenza presentato nei giorni precedenti dal sindaco di Avetrana Antonio Iazzi, adottando un provvedimento di sospensione cautelare della messa in onda della serie tv “Avetrana – Qui non è Hollywood”, relativa all’omicidio di Sarah Scazzi, prevista dal 25 ottobre sulla piattaforma Disney+. Il primo cittadino, attraverso un pool di legali, aveva chiesto “la rettifica della denominazione” della serie e la sua “sospensione immediata”. L’emittente televisiva e la società di produzione hanno fatto sapere che “non concordano con la decisione del Tribunale” e che “faranno valere le proprie ragioni nelle sedi competenti”. Si apre, pertanto, un contenzioso giudiziario senza precedenti, ma si delinea anche un possibile contrasto con l’art. 21 della Costituzione e con la normativa europea della citata decisione giurisdizionale.

Indice

1. Il quadro costituzionale della tutela dell’immagine del paese


Secondo l’art. 21 della Costituzione “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili.
In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denuncia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto.
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.
Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni”.
Il primo comma dell’articolo riguarda il principio della libertà di manifestazione del pensiero; nei commi dal secondo al quinto si disciplina la libertà di stampa, mentre l’ultimo comma riguarda i limiti alla libertà di manifestazione del pensiero in Italia.
Tale norma, quindi, nel riconoscere a chiunque – cittadino, straniero o apolide – il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, sancisce il fondamento di tutte le principali libertà dell’uomo e, quindi, di uno Stato democratico; nella libertà di espressione, infatti, sono compresi una moltitudine di diritti.[1] 
Vi è innanzitutto il diritto di esprimere le proprie idee e, quindi, prima ancora, il diritto di pensare liberamente; giuste o sbagliate che siano, le idee personali sono sempre legittime.
C’è poi il diritto di diffondere le proprie idee e di persuadere gli altri della bontà delle proprie ragioni, facendo, ad esempio, proselitismo. Si pensi a una persona che fa propaganda di un partito, che promuove un referendum raccogliendo firme per strada o che, al contrario, raduna una folla per protestare contro una legge.
Nella libertà di espressione, inoltre, è compreso anche il diritto di non manifestare alcuna idea ossia il diritto a stare in silenzio; il diritto a dissentire dalle idee altrui e a criticarle nei limiti della moderazione; il diritto di cronaca ossia di informare la gente con la stampa o con qualsiasi altro mezzo di diffusione, come ad esempio un filmato televisivo; il diritto di farsi un’idea propria partendo da quelle altrui e quindi il diritto a essere informati, dotandosi di un’antenna televisiva o di una connessione a Internet; quindi, anche il diritto a poter accedere al web deriva dall’articolo 21 della Costituzione.
L’articolo 21 della Costituzione contiene anche una parte nascosta, e cioè la circostanza che alla libertà di manifestare liberamente il proprio pensiero fa da contraltare un dovere: quello di rispettare la libertà di pensiero altrui, di non aggredire chi la pensa diversamente, di non offendere, diffamare, discriminare. 
Si rileva, tuttavia, che di frequente la stessa libertà di espressione volta a generare nuove idee e contribuire al progresso dell’umanità, valorizzando la diversità di ogni individuo, viene utilizzata – con la minaccia, l’umiliazione, la diffamazione – per mettere a tacere chi la pensa diversamente.
In sostanza, l’articolo 21 della Costituzione prevede sostanzialmente che tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione; ma hanno di conseguenza il dovere di lasciare che anche gli altri facciano lo stesso.
Come abbiamo detto, nella libertà di espressione è compreso anche il diritto di criticare il pensiero degli altri. Uno dei problemi però più frequenti nei rapporti personali – che spesso si trascina nelle aule di tribunale – è il confine tra il diritto di critica e l’offesa all’altrui onore e reputazione. Offesa che quindi trasborda in due illeciti: l’ingiuria e la diffamazione. Si ingiuria qualcuno quando si offende una persona mentre gli si parla direttamente; si diffama qualcuno, invece, quando l’offesa viene pronunciata in sua assenza quindi ed alla presenza di almeno altre due persone o mediante organi di stampa.
La Cassazione ha più volte ricordato che chi vuol criticare una persona non deve arrivare a metterne in discussione la moralità personale o professionale: si possono attaccare le sue azioni, ma non la sua dignità.
La cronaca, per essere legittima, deve rispettare tre requisiti: la notizia deve essere vera (diversamente, si sconfinerebbe nella diffamazione); la notizia deve essere di interesse pubblico (altrimenti si violerebbe la privacy dei cittadini); la notizia deve essere attuale (altrimenti si lederebbe il diritto all’oblio).
Il diritto all’oblio è il diritto di ogni cittadino – anche quello giudicato colpevole di un reato – ad essere dimenticato dal pubblico, affinché il suo passato non sia tale da impedirgli di rifarsi una vita. Del resto, se è vero che la pena deve tendere a rieducare il reo, questi non può scontare una punizione per tutta la sua vita (si pensi a un condannato che, anche dopo il carcere, non riesce più a trovare un lavoro). 
Un fenomeno a cui oggi si assiste spesso è quello delle fake news che si può considerare la degenerazione della libertà di espressione specie quando vengono messe in circolazione con malafede. Oggi, non esiste alcuna legge che vieti di creare notizie false, tranne quando costituiscono una diffamazione ai danni di una persona o di un’azienda.  
Del resto, vietare le fake news potrebbe implicare il rischio di un’eccessiva discrezionalità in capo al giudice, che potrebbe risolversi in un bavaglio alla libertà di espressione. Nel punire le false dichiarazioni si corre il rischio di punire anche chi afferma una propria opinione che, seppur infondata, resta sempre implicita nella libertà di parola; prevedere una tale limitazione ci avvicinerebbe agli Stati totalitari.
Connesso al diritto di espressione c’è anche il diritto ad essere informati: come si può pensare di esprimersi liberamente se non ci si può fare un’idea attraverso il dialogo, il confronto e la conoscenza del pensiero altrui? Da qui nasce la libertà di stampa. I padri costituenti infatti non si sono limitati a garantire la libertà solo alla stampa tradizionale, ma anche qualsiasi altro mezzo di comunicazione, con ciò includendo quindi anche Internet, i social network e qualsiasi altro strumento presente o futuro, come anche una fiction televisiva.
Timorosi di incorrere in una censura ingiustificata, i padri costituenti hanno poi posto, all’articolo 21, il divieto di sequestrare una pubblicazione se non per gravi crimini e comunque dietro ordine motivato di un giudice. Ciò può succedere solo quando la stampa lede i valori riconosciuti dalla Costituzione (come la dignità e la reputazione delle persone), il buon costume (inteso come pudore sessuale), la difesa della Patria, il segreto miliare, il segreto di Stato o il segreto giudiziario connesso alle indagini su cui è necessario mantenere il silenzio per assicurare alla giustizia gli autori dei reati; fattispecie che non si sono verificate nel caso in esame.
Come dice la Costituzione, solo eccezionalmente, in casi di assoluta urgenza, le forze dell’ordine possono intervenire autonomamente ed effettuare il sequestro; ma dovranno subito informare la magistratura, che a sua volta, entro 24 ore, dovrà convalidare il provvedimento di sequestro o dichiararlo privo di efficacia. 
La Corte costituzionale, infatti, ha stabilito che “Esiste un interesse generale alla informazione – indirettamente protetto dall’articolo 21 della Costituzione – e questo interesse implica, in un regime di libera democrazia, pluralità di fonti di informazione, libero accesso alle medesime, assenza di ingiustificati ostacoli legali, anche temporanei, alla circolazione delle notizie e delle idee”.[2]
In esecuzione della sentenza, a 21 anni di distanza, il Decreto Legislativo n. 68 del 9 aprile 2003, emanato in attuazione della direttiva 2001/29/CE “sull’armonizzazione di taluni aspetti del diritto d’autore e dei diritti connessi nella società dell’informazione”, ha introdotto rilevanti novità nel corpo della Legge n. 633/1941 sul diritto d’autore: due modifiche riguardano il diritto di cronaca e di critica garantito, appunto dall’articolo 21 della Costituzione.
In particolare, con il nuovo testo dell’articolo 65: “La riproduzione o comunicazione al pubblico di opere o materiali protetti utilizzati in occasione di avvenimenti di attualità è consentita ai fini dell’esercizio del diritto di cronaca e nei limiti dello scopo informativo, sempre che si indichi, salvo caso di impossibilità, la fonte, incluso il nome dell’autore, se riportato”. Nella fattispecie in esame la fonte è rappresentata dalle decisioni definitive dell’autorità giudiziaria.

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2. L’ordinanza in data 23 ottobre del Tribunale di Taranto: sospensione serie sull’omicidio di Avetrana


Preliminarmente si rappresenta che il delitto in questione riguarda un caso di omicidio avvenuto il 26 agosto 2010 ad Avetrana in provincia di Taranto a danno della quindicenne Sarah Scazzi. La vicenda ha avuto un grande rilievo mediatico[3]in Italia, culminato nell’annuncio del ritrovamento del cadavere della vittima in diretta sul programma Rai Chi l’ha visto? dove era ospite, in collegamento, la madre di Sarah, Concetta Serrano Spagnolo.[4]
Il 21 febbraio 2017 la Corte suprema di Cassazione ha definitivamente riconosciuto colpevoli e condannato all’ergastolo per concorso in omicidio volontario aggravato dalla premeditazione[5] Sabrina Misseri e Cosima Serrano (figlia e madre), rispettivamente cugina e zia della vittima, confermando la condanna già inflitta in primo grado e in appello[6] dalla Corte d’assise di Taranto; Michele Misseri, padre di Sabrina e marito di Cosima, è stato condannato alla pena di 8 anni di reclusione per soppressione di cadavere e inquinamento delle prove (il furto del cellulare di Sarah), pena interamente scontata; Carmine Misseri, fratello di Michele, è stato condannato in via definitiva a 4 anni e 11 mesi di reclusione per concorso in occultamento di cadavere. Confermata, infine, dalla Cassazione la condanna a un anno e quattro mesi per favoreggiamento personale per Vito Russo Jr., ex legale di Sabrina, e Giuseppe Nigro.[7]
Successivamente, in data 23 ottobre 2024 il giudice della sezione civile del Tribunale di Taranto, Antonio Attanasio, con provvedimento ai sensi dell’art. 700 c.p.c. emesso inaudita altera parte, ha disposto la sospensione della messa in onda della serie televisiva “Avetrana. Qui non è Hollywood”, dedicata all’omicidio di Sarah Scazzi, prevista per il successivo 25 ottobre, su istanza del collegio difensivo del Comune di Avetrana, secondo cui il titolo e l’ambientazione della serie diffamano il paese pugliese, descrivendolo come una “comunità ignorante, retrograda, omertosa, eventualmente dedita alla commissione di crimini efferati di tale portata, contrariamente alla realtà”.[8]La sospensione, emanata su richiesta del sindaco di Avetrana, Antonio Iazzi, avrebbe lo scopo di tutelare l’immagine della cittadina pugliese. Il sindaco, assistito da un pool di avvocati, ha presentato un ricorso d’urgenza al tribunale di Taranto; il giudice ha accolto, quindi, il ricorso e ha fissato per il prossimo 5 novembre l’udienza di comparizione delle parti.
In tale istanza, il sindaco ha chiesto la sospensione immediata della messa in onda e la possibilità di visionare in anteprima la serie, al fine di verificare se la narrazione e l’immagine di Avetrana risultino lesive, con un accento infamante, su presunti crimini efferati, lontani dalla realtà della cittadina. Il ricorso pone l’accento sulla necessità di “rispetto per la comunità” e una corretta rappresentazione di Avetrana, la cui notorietà, secondo il sindaco, dovrebbe fondarsi sui suoi tesori storici e artistici, piuttosto che su episodi tragici e controversi.[9]
Inoltre, qualche giorno prima il sindaco di Avetrana aveva pubblicato questa nota: “La stessa comunità ha da sempre cercato di allontanare da sé i tanti pregiudizi dettati dall’omicidio, dal momento che la tragedia destò sgomento nella collettività, interessata da una imponente risonanza mediatica, che stimolò l’ente a costituirsi parte civile nel processo penale a carico di Michele Misseri, fino alla condanna degli imputati al risarcimento del danno all’immagine in favore del Comune di Avetrana per una serie di riflessi negativi sulla collettività. La messa in onda del prodotto cinematografico rischia invece di determinare un ulteriore attentato ai diritti della personalità dell’ente comunale, accentuando il pregiudizio che il titolo già lascia presagire nel catapultare l’attenzione dell’utente sul territorio più che sul caso di cronaca”.
Il colosso televisivo e la società di produzione Groenlandia di Matteo Rovere, hanno annunciato l’intenzione di “ottemperare al provvedimento emesso in assenza di contraddittorio tra le parti dal Tribunale di Taranto”, ma fanno anche sapere che “non concordano con la decisione del Tribunale” e che “faranno valere le proprie ragioni nelle sedi competenti”.
Invece, lo stop alla serie, che era stata presentata in anteprima lo scorso 18 ottobre alla Festa del Cinema di Roma, è secondo Anica e Apa una decisione “senza precedenti”, priva di qualsiasi giustificazione giuridica.
Secondo l’associazione dell’industria cinematografica e quella dei produttori audiovisivi “La serie si limita a raccontare fatti di risonanza pubblica oggettivamente legati a un determinato contesto, storico e geografico, come tante volte capitato in passato”.
Per questo, a parere di Chiara Sbarigia, presidente di Apa, “il blocco preventivo della serie appare come una grave lesione di quel principio di libertà di espressione chiaramente tutelato anche a livello costituzionale e che deve essere garantito al racconto audiovisivo italiano”.
Invece, secondo Benedetto Habib, presidente dell’unione produttori di Anica “Obbligare le opere audiovisive a non fare riferimenti alla cronaca e alla realtà è un pericoloso precedente. I titoli basati su fatti realmente accaduti sono una costante della storia del cinema, indipendentemente dalle opinioni del pubblico o dei protagonisti sui fatti trattati, se si mantiene il rispetto verso le comunità coinvolte”.
Sul caso interviene anche il regista della fiction Pippo Mezzapesa: “Credo che il limite di un narratore debba essere il pieno rispetto delle storie che si va a raccontare e delle persone (perché è sbagliato parlare di personaggi) con cui si va a vivere, che si vanno ad esplorare, che si vanno a sviscerare”.
Secondo Rovere, produttore della serie, poi “è la Costituzione stessa che sancisce la libertà degli autori e delle autrici di esprimersi e di raccontare il presente, di raccontare la realtà, di raccontare la contemporaneità, di raccontare il mondo in cui viviamo anche proprio con l’obiettivo di elevare lo spirito critico e quindi di non addormentare chi ci guarda ma provocare riflessioni, provocare analisi”.
Anche gli autori e gli sceneggiatori italiani del mondo dell’audiovisivo, rappresentati dalle associazioni 100 autori, Anac e WGI, dichiarano la propria preoccupazione in merito a quanto sta accadendo dopo che il tribunale civile di Taranto ha accolto il ricorso, presentato dai legali del Comune di Avetrana, teso a bloccare la serie televisiva, chiedendo la rettifica del titolo in quanto lesivo dell’immagine del paese, a prescindere dal contenuto stesso del racconto “al momento ancora da tutti ignorato”. 

3. Conclusioni


Si ritiene che il provvedimento in questione non sia in linea con il nostro dettato costituzionale, per quanto sopra esposto, ma anche con l’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, titolo II, Libertà, che recita:
“1. Ogni persona ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera.
2. La libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati”.
Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo ha svolto un ruolo fondamentale nel definire il rapporto tra libertà di espressione e principio democratico.[10]
Infatti, la libertà di espressione è un diritto fondamentale sancito anche dall’articolo 10 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Questo diritto è considerato uno dei pilastri su cui si fonda una società democratica, in quanto consente ai cittadini di esprimere le proprie opinioni, di partecipare al dibattito pubblico e di criticare le istituzioni. La Corte europea ha sottolineato ripetutamente l’importanza della libertà di espressione come strumento essenziale per il funzionamento di una democrazia.
La pluralità di opinioni è, pertanto, un elemento essenziale per il funzionamento di una democrazia. La stessa Corte ha più volte sottolineato l’importanza di garantire uno spazio pubblico in cui le diverse opinioni possano essere espresse e confrontate in modo aperto e libero; la protezione della libertà di espressione è quindi fondamentale per garantire la diversità e la ricchezza del dibattito democratico.
La protezione della libertà di espressione è anche un elemento chiave per la costruzione di una società libera e democratica. La Corte europea ha precisato, infatti, che la libertà di espressione non riguarda solo le opinioni che sono ben accolte o considerate innocue, ma anche quelle che possono urtare, scioccare o disturbare, come nel caso di specie. Inoltre, la libertà di espressione include il diritto di esprimere opinioni impopolari o controverse, senza timore di censure o ritorsioni.
In conclusione, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha svolto un ruolo fondamentale nel definire il rapporto tra libertà di espressione e principio democratico. Le sue sentenze hanno contribuito a delineare i limiti e le garanzie che devono essere rispettati per garantire un equilibrio tra la libertà di espressione e altri diritti fondamentali.
La protezione della libertà di espressione è, quindi, un elemento essenziale per il funzionamento di una società libera e democratica, e la Corte continua a svolgere un ruolo chiave nel garantire il rispetto di questo diritto fondamentale e, se interessata, potrebbe annullare gli eventuali provvedimenti dei giudici italiani che dovessero confermare l’ordinanza del tribunale di Taranto.
Si sottolinea, infine, che l’azione giudiziale intrapresa dal Sindaco di Avetrana potrebbe esporre il piccolo Comune della provincia di Taranto ad azioni risarcitorie.
Ma al di là degli aspetti giuridici, si ritiene che se ogni opera dedicata a una persona o a un luogo dovesse avere una sorta di vaglio preventivo, avremmo soltanto opere di marketing e agiografie senza animo. Verrebbe cioè depotenziata in qualche modo la missione dell’arte, quella capacità di suscitare domande più che dare risposte e di fare riflettere. Anche il titolo “Avetrana – Qui non è Hollywood” riprende una scritta comparsa in paese durante il periodo della massima esposizione mediatica.[11] Del resto quanto accaduto ad Avetrana è stato un fatto epocale sotto diversi aspetti, confermato, peraltro, da una verità giudiziale conclusasi con sentenza passata in giudicato e quindi incontrovertibile. 

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Prof. Paolo Gentilucci

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