A nulla è valso, per l’avvocato ricorrente – avverso la sanzione comminatagli dal Cnf – invocare l’intervenuta prescrizione dell’azione disciplinare, in applicazione dello ius superveniens di cui all’art. 56 Legge n. 247/2012; norma che contiene una disciplina della prescrizione più favorevole rispetto a quella vigente al tempo in cui fu commessa la condotta illecita. Sicché essa sarebbe stata applicabile al caso di specie – deduceva il legale – in virtù dell’art. 65 della stessa Legge professionale, secondo cui, per l’appunto, “le norme contenute del (nuovo) codice deontologico trovano applicazione anche ai procedimenti disciplinari in corso alla data della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato”.
Retroattività della legge più favorevole, non vale per la prescrizione
Una censura tuttavia respinta dalle Sezioni Unite, che richiamano in proposito l’indirizzo della Corte Costituzionale (sentenza n. 236/2011), a detta della quale il principio di retroattività in mitius consacrato dall’art. 7 Cedu, non può riguardare le norme sopravvenute che modificano, in senso favorevole al reo, la disciplina della prescrizione, con la riduzione del tempo occorrente perché si produca l’effetto estintivo del reato. Difatti il suindicato principio di retroattività della legge più favorevole, come sancito dall’art. 2 c.p. riguarda le sole norme, a carattere punitivo, che contemplano i reati e le relative sanzioni, non anche quelle che regolano la prescrizione.
Azione disciplinare, non ha natura penale
Per altro verso è stato più volte chiarito dalla Corte di Strasburgo, come le procedure disciplinari non possano ritenersi di natura penale, perché le sanzioni non sono inflitte da un’autorità giudiziaria ma da un organo amministrativo. Ed anche la sanzione più grave tutela interessi specifici di una formazione sociale ristretta, non già valori primari dell’intera collettività; di modo che detta sanzione non risponde, almeno direttamente, ad una funzione deterrente e repressiva, bensì ad una funzione inibitoria a favore degli utenti del servizio reso dal professionista e del prestigio della categoria professionale d’appartenenza. Sulla scorta di ciò, in altra occasione, la medesima Corte aveva negato natura penale alla sanzione della cancellazione di un avvocato dall’Albo professionale; ciò che a maggior ragione vale nell’ipotesi di specie, ove si discute della sospensione dalla professione per sei mesi.
Tutto ciò premesso, concludono gli Ermellini, deve ritenersi inapplicabile il regime più favorevole all’incolpato. Da qui, il rigetto del ricorso.
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