Indice
1. La questione
Con una sentenza emessa ex art. 444 cod. proc. pen., il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino applicava, ad uno degli imputati, la pena finale di un anno e otto mesi di reclusione e, all’altro, la pena finale di un anno e sei mesi di reclusione per il reato di illecita detenzione di stupefacenti, con sospensione condizionale della pena, fermo restando che, per entrambi, questo giudice li condannava al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare in carcere.
Avverso questo provvedimento proponeva ricorso per Cassazione il difensore degli imputati che deduceva l’illegalità della pena in relazione all’art. 445, comma 1, cod. proc. pen. per avere la sentenza (a suo avviso) erroneamente condannato i ricorrenti, sia al pagamento delle spese processuali, che di custodia cautelare in carcere, benché la pena detentiva applicata fosse inferiore al limite di due anni di reclusione.
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
Per quello che rileva in questa sede, la Cassazione riteneva il motivo di ricorso, relativo alla condanna degli imputati al pagamento delle spese di custodia cautelare in carcere, inammissibile per manifesta infondatezza poiché, al di là dell’unica decisione di segno contrario, richiamata dal difensore, secondo la quale il mantenimento in carcere durante la custodia cautelare rientra nella voce “spese del procedimento” di cui all’art. 445 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 6787 del 01/10/2014), gli Ermellini aderivano all’altro orientamento più recente e prevalente secondo il quale le spese di custodia in carcere non sono assimilabili alle “spese del procedimento” uniche per le quali la norma citata esclude che possano essere poste a carico dell’imputato quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti appena pecuniaria (Sez. 4, n. 24390 del 12/05/2022; Sez. 6, n. 46403 del 08/10/2019).
Oltre a ciò, veniva altresì osservato che il fondamento normativo, da cui la Suprema Corte deduceva la non assimilabilità delle due voci di spesa, è dato da diverse disposizioni, e segnatamente le seguenti: l’art. 188 cod. pen. secondo il quale il condannato è obbligato a rimborsare all’Erario le spese per il suo mantenimento negli stabilimenti di pena, rispondendone con tutti i suoi beni; l’art. 191, nn. 4 e 5, cod. pen e l’art. 535, comma 3, cod. proc. pen. che differenzia i due tipi di spesa in modo netto; dal d.P.R. n. 115 del 2002; quest’ultimo, in particolare, da un lato stabilisce, in generale, che le spese di mantenimento in carcere sono soggette a ripetizione (artt. 5, comma 1, lett. i e 200), distinguendole dalle altre spese processuali; dall’altro lato prevede, nello specifico, la regola del recupero da parte dell’Erario “delle spese di mantenimento dei detenuti” (oltre che quelle sostenute per la custodia dei beni sequestrati) proprio con riferimento alla sentenza di patteggia mento e al procedimento per decreto (art. 204, comma 3).
Orbene, in base ad una lettura logico-sistematica di dette disposizioni, il Supremo Consesso concludeva nel senso che, a suo parere, correttamente il giudice per le indagini preliminari di Torino, al di là dell’entità della pena applicata sotto il limite dei due anni di reclusione, aveva condannato i ricorrenti al pagamento delle spese di mantenimento in carcere in quanto l’esenzione dall’obbligo di pagamento delle “spese del procedimento“, prevista dall’art. 445, comma 1, cod. proc. pen., è riferita alle sole spese processuali in senso stretto.
3. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo data risposta al seguente quesito: se il mantenimento in carcere durante la custodia cautelare rientra nella voce “spese del procedimento” di cui all’art. 445 cod. proc. pen..
Difatti, fermo restando che, come è noto, l’art. 445, co. 1, primo periodo, cod. proc. pen. dispone che la sentenza prevista dall’articolo 444, comma 2, quando la pena irrogata non superi i due anni di pena detentiva soli o congiunti a pena pecuniaria, non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento né l’applicazione di pene accessorie e di misure di sicurezza, fatta eccezione della confisca nei casi previsti dall’articolo 240 del codice penale, la Cassazione, in tale pronuncia, aderisce a quell’orientamento nomofilattico, maggioritario, secondo cui le spese di custodia in carcere non sono assimilabili alle “spese del procedimento” a cui fa riferimento questa norma procedurale.
È dunque sconsigliabile contestare un provvedimento di questo genere per non avere incluso tale voce di spesa fermo restando che, non essendo tale indirizzo interpretativo uniforme, essendoci un precedente di segno contrario, sarebbe opportuno, ad avviso di chi scrive, che su siffatta questione intervenissero le Sezioni Unite.
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