Stalking e revenge porn: il punto della Cassazione

Tra atti persecutori (stalking) e diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (revenge porn) sussiste un concorso di reati.

Allegati

Tra atti persecutori (stalking) e diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (revenge porn) sussiste un concorso di reati: sono infatti diversi le condotte incriminate, gli eventi e i beni giuridici tutelati dalle rispettive fattispecie incriminatrici (Cassazione penale, sentenza n. 33230/2024). Per un valido supporto per professionisti consigliamo: Codice penale e di procedura penale e norme complementari -Edizione 2024. Aggiornato alla Riforma Nordio e al decreto Svuota Carceri

Corte di Cassazione -sez. I pen.- sentenza n. 33230 del 28-08-2024

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Indice

1. Il fatto: stalking o revenge porn?


La vicenda processuale esitata nella pronuncia in esame si era conclusa, nei due gradi del giudizio di merito, con la condanna del ricorrente per i reati di atti persecutori (art. 612-bis c.p.) e diffusione illecita d’immagini o video sessualmente espliciti (art. 612-ter c.p.), commessi ai danni di una donna, che era stata precedentemente legata all’imputato da una relazione sentimentale extraconiugale durata alcuni mesi.
L’imputato, insofferente alla decisione unilaterale della vittima di troncare il rapporto sentimentale, aveva messo in campo una serie di condotte di ingiuria e minaccia tramite messaggi telefonici insistenti ed ossessivi, in particolare prospettando di rendere nota ai familiari di lei la relazione extraconiugale e di rovinarne la vita familiare, tanto che la vittima aveva “bloccato” il contatto con la sua utenza telefonica; il ricorrente, a quel punto, aveva coinvolto nella campagna persecutoria anche i figli della vittima inviando loro, via messaggistica, frasi offensive sulla madre, nonché alcune foto, tra le quali una (inviata anche a un’amica della donna) che riprendeva la donna a seno nudo, nell’atto di mimare un bacio definito “erotizzante”; infine, l’imputato si era appostato anche un giorno presso l’azienda agricola della persona offesa ed aveva contattato il marito, più volte, svelandogli il tradimento, tanto che questi aveva invitato la moglie a lasciare la dimora familiare.
Da tali comportamenti era derivato un grave stato d’ansia della persona offesa e un radicale mutamento delle sue abitudini di vita, con l’interruzione della convivenza matrimoniale e la necessità per la vittima del reato di andare a vivere dalla madre.
I giudici di primo e secondo grado avevano riconosciuto la colpevolezza dell’imputato. Per un valido supporto per professionisti consigliamo: Codice penale e di procedura penale e norme complementari -Edizione 2024. Aggiornato alla Riforma Nordio e al decreto Svuota Carceri

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2. Il ricorso per Cassazione


Il ricorso originariamente proposto avverso la sentenza di seconde cure – con il quale si escludeva sostanzialmente la ricorrenza degli elementi costitutivi delle due fattispecie di reato denunciando la violazione di legge in tal senso – era stato rigettato senza considerare, per mero errore di fatto, quello pure tempestivamente presentato nell’interesse del ricorrente, da uno dei due difensori. Quest’ultimo proponeva, quindi, ricorso straordinario deducendo l’errore precettivo in cui era incorsa la Corte, palesato dal confronto fra i due ricorsi e la sentenza, e insisteva nella censura di omessa la delibazione della richiesta di assorbimento del reato di cui all’art. 612-ter c.p. in quello di cui all’art. 612-bis c.p.

3. La sentenza


La Corte ha ritenuto fondato il ricorso straordinario; tuttavia, in esito alla celebrazione del giudizio rescissorio, ha rigettato il ricorso ordinario escludendo la natura complessa del reato di atti persecutori.
È rilevante in questa sede ripercorrere alcuni passaggi della sentenza per i chiarimenti che vengono forniti in ordine alle caratteristiche fondamentali delle due fattispecie di reato e al loro rapporto.

4. Il reato di stalking


In merito al reato di stalking la Corte ha osservato come la persona offesa avesse chiaramente descritto sia le condotte vessatorie subite morbosamente e ossessivamente dall’imputato (offese ripetute, indirizzate anche ai suoi figli e al marito, e minacce di interferire con la vita familiare della vittima, per turbarne la tranquillità esistenziale) sia le conseguenze di tali condotte (l’esasperazione e la paura, il grave stato d’ansia e lo squilibrio psicologico riportati dalla vicenda).
Ha pertanto ravvisato nella condotta attuata dall’imputato i caratteri di tipicità del delitto di atti persecutori, evidenziando che si trattava di evidenti manifestazioni di molestia continuata da parte del ricorrente, ai danni della vittima e dei suoi familiari, anche accompagnate dalla minaccia, ripetuta nel tempo e poi realizzata, di un male ingiusto costituito dalla rivelazione della relazione extraconiugale al marito ed ai figli della persona offesa, funzionale a danneggiare l’immagine della persona offesa e a rovinare la sua vita familiare.
Ha altresì soggiunto come il complessivo snodarsi della vicenda attestasse l’idoneità oggettiva dei comportamenti realizzati dall’imputato a realizzare gli eventi del reato previsti dalla fattispecie incriminatrice, stante il numero rilevantissimo di messaggi molesti e offensivi e di telefonate all’indirizzo della vittima, particolarmente provata psicologicamente da tali condotte, dei figli, costretti a bloccare l’utenza dell’imputato, e del marito della vittima, il quale informato della relazione extraconiugale aveva invitato la persona offesa a lasciare la casa familiare.
Il delitto di cui all’art. 612-bis c.p. si configura e consuma al verificarsi anche di uno solo degli eventi alternativi previsti dalla disposizione incriminatrici, eventi ciascuno dei quali è idoneo a realizzare il reato disegnando la tipicità oggettiva della fattispecie e si realizza “per accumulo” di condotte reiterate di minacce e molestie verso taluno, tanto da provocargli un grave stato d’ansia o di paura, ovvero da ingenerare fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto ovvero ancora da costringere la vittima ad alterare le proprie abitudini di vita. Tanto era avvenuto nel caso di specie, in quanto la vittima era stata costretta a lasciare la casa familiare.

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5. Revenge porn


La disposizione di cui all’art. 612 -ter c.p. è stata introdotta dalla legge 10 luglio 2019, n. 69: prevede, al primo comma, il reato di chi invia, consegna, cede, pubblica o diffonde, senza il consenso delle persone rappresentate, immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, dopo averli realizzati o sottratti; al secondo comma, estende l’area di rilevanza penale anche alle condotte di chi, avendo solo ricevuto o comunque acquisito -magari anche dalla persona direttamente protagonista come accaduto nel caso in esame – le immagini e/o i video predetti, pone in essere le medesime azioni “diffusive”, sempre senza il consenso di coloro i quali sono ritratti nelle immagini o video e, altresì, con l’espressa “finalità di recare loro nocumento”, che integra il dolo specifico.
Il reato è inserito tra quelli a tutela della libertà morale individuale e si rivolge alla sfera d’intimità personale e della riservatezza, intesa quale diritto a controllare l’esposizione del proprio corpo e della propria sessualità, in un’ottica di autodeterminazione della sfera sessuale individuale.
Nel suo il ricorrente, cui era stata contestata la fattispecie del secondo comma, poneva tre questioni in ordine alla tipicità della fattispecie:
a) se l’invio della foto ai figli della vittima avesse una connotazione “diffusiva”, visto che l’imputato, inoltrandola loro, aveva la certezza che questi non l’avrebbe a sua volta diffusa;
b) se sussistesse, nel caso di specie, il dolo specifico di aver agito con la finalità di recare nocumento alla persona offesa;
c) se potesse essere ricompresa nella categoria delle “immagini a contenuto sessualmente esplicito” la foto che ritraeva la vittima a seno nudo, mentre mimava un bacio serrando le labbra.
Sui tre punti la Corte ha precisato che:
I – Il reato è configurabile come istantaneo, e si consuma pertanto nel momento in cui, senza il consenso della persona ritratta, avviene, da parte di chi in qualsiasi modo abbia acquisito l’immagine o il video a contenuto sessualmente esplicito, il primo invio di tali contenuti, non importa se diretto a familiari della vittima, che possano, eventualmente, avere interesse a non alimentare una successiva diffusione: con il primo invio, infatti, la diffusione è già avvenuta, in quanto la disposizione incriminatrice non fa questione di reiterazione della condotta diffusiva né “quantifica” o qualifica in alcun modo la diffusione lesiva del bene protetto.
II – Il dolo specifico della fattispecie è riscontrabile nella condotta di chi, avendo ricevuto o comunque acquisito – anche dalla stessa persona ritratta, come accaduto nel caso di specie – immagini o video a contenuto sessualmente esplicito, li invia, consegna, cede, pubblica o diffonde, senza il consenso della persona rappresentata e con lo scopo precipuo di recarle nocumento, nella specie rappresentato dalla volontà di minarne la reputazione e connotato, secondo la Corte, proprio da quel finalismo ulteriore e tipico del revenge porn, dato dalla “vendetta” e dall’intento punitivo per aver deciso unilateralmente di interrompere la relazione extraconiugale.
III- Infine, la Corte ha ritenuto infondato anche il quesito circa il contenuto sessualmente esplicito della foto al centro della contestazione di cui all’art. 612-ter c.p. criticando la prospettiva ermeneutica intesa a limitare la nozione di “contenuti sessualmente espliciti” soltanto alle immagini o ai video che ritraggano organi genitali ovvero atti sessuali veri e propri. Ciò in quanto la locuzione normativa “a contenuto sessualmente esplicito” non rimanda necessariamente alla diffusione di video o immagini di un organo proprio dell’apparato sessuale, né tantomeno allude solo ad un atto sessuale vero e proprio da momento che la sessualità di una persona può essere evocata in maniera manifesta anche soltanto attraverso la proposizione di parti del suo corpo “erogene” capaci di richiamare, per il contesto e le condizioni concrete nelle quali vengono ritratte, l’istinto sessuale: tali “zone erogene” possono essere il seno e i glutei, ancor più se nudi ovvero in condizioni di contesto che richiamino il sesso. Sicché, qualora la diffusione di immagini o video ritraenti tali zone erogene avvenga senza il consenso della persona offesa, si stabilizza una violazione della libertà di autodeterminazione della sfera sessuale del soggetto complessivamente intesa, rilevante ai sensi del secondo comma dell’art. 612-ter c.p. se accompagnata dal dolo specifico di recare nocumento alla persona le cui immagini o video vengano diffusi.

6. Rapporti tra i due reati


La Corte è entrata infine nel merito dell’ipotesi di concorso tra il reato di stalking e quello di revenge porn.
La difesa del ricorrente assumeva che l’art. 612-ter c.p. sanzionerebbe i singoli episodi di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, mentre l’art. 612-bis c.p. riguarderebbe le condotte reiterate di persecuzione della persona offesa che possono concretizzarsi, in tutto o in parte, in condotte di revenge porn. Ne conseguirebbe che, nei casi di diffusione reiterata d’immagini a contenuto sessualmente esplicito, anche se accompagnati da altri atti di persecuzione della vittima, sarebbe configurabile il solo reato di stalking, in quanto idoneo a contenere tutte le condotte moleste: questo, infatti, si atteggerebbe a reato complesso, contenente oltre ai reati di minaccia continuata o di molestie continuate, anche il delitto di revenge porn continuato.
A sostegno dell’assunto interpretativo vi sarebbero tre rilievi: 1) la presenza della clausola di sussidiarietà presente nell’art. 612-ter c.p. e il contemporaneo l’innalzamento della pena prevista per il reato di stalking; 2) la collocazione sistematica dell’art. 612-ter c.p., tra i reati a tutela della libertà morale, di seguito al reato di stalking; 3) la circostanza che, prima dell’introduzione dell’art. 612-ter c.p., le condotte ivi descritte erano considerate alla stregua di atti persecutori dalla giurisprudenza di legittimità.
Detta tesi non è stata condivisa dal Collegio giudicante secondo cui l’art. 84, primo comma, c.p. esclude l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli precedenti, sul concorso formale di reati e sul reato continuato, ritenendo sussistente il reato complesso quando “la legge considera come elementi costitutivi, o come circostanze aggravanti di un solo reato, fatti che costituirebbero, per sé stessi, reato” con la conseguenza che condizione imprescindibile per configurare il reato complesso è l’interferenza fra le norme incriminatrici su un fatto oggettivo, comune agli ambiti applicativi delle stesse; tale situazione, ad avviso del Collegio, non sussiste nel caso in questione perché il confronto tra fattispecie astratte rende ragione del fatto che si verte nell’ipotesi del concorso di reati.

7. Differenze tra i due reati


I due reati differiscono:
-per ciò che riguarda le condotte incriminate, costituite, nell’art.612-bis c.p., da comportamenti minacciosi o molesti e, nell’art. 612-ter c.p., dalla diffusione di immagini a contenuto sessualmente esplicito;
-per gli eventi, ravvisabili, per lo stalking, nell’induzione nella vittima di stati di ansia, paura o timore per l’incolumità propria o di congiunti, ovvero nella costrizione della persona offesa all’alterazione delle proprie abitudini di vita; e non richiesti per la configurabilità del revenge porn;
-per i beni giuridici tutelati: nonostante, invero, i due reati siano collocati nel codice penale tra quelli che ledono la libertà morale, l’art. 612- ter c.p. si atteggia quale reato plurioffensivo, incidendo anche sulla riservatezza della persona offesa (come impone di ritenere l’inciso “destinati a rimanere privati”), nonché sulla sfera sessuale, a causa del carattere “sessualmente esplicito dei materiali diffusi”.
Dirimente, quanto all’esclusione dell’ipotesi del reato complesso, è poi, secondo i giudici di legittimità, la considerazione che, affinché si realizzi il reato complesso, il fatto deve essere previsto dalla norma incriminatrice – che si assume configurare un reato complesso – quale elemento necessario della relativa fattispecie astratta, non essendo rilevante l’eventuale sua ricorrenza, nel caso concreto, quale occasionale modalità esecutiva della condotta. Nel caso in esame, invece, la circostanza che tra le condotte di stalking vi fosse anche quella del revenge porn, risulta del tutto occasionale.
Stante, dunque, l’obiettiva diversità tra il fatto idoneo a integrare ciascuno dei due delitti (dei quali, peraltro, il primo ha natura abituale e l’altro è reato istantaneo), non assumerebbero rilievo né il riferimento alla clausola di riserva contenuta nell’art. 612-ter, primo comma, c.p. (“salvo che il fatto costituisca più grave reato”, presente anche nel reato di stalking), che sembrerebbe evocare altre fattispecie incriminatrici (ad es. il reato di estorsione), né l’innalzamento della pena per il reato di cui all’art. 612-bis c.p., posto che tale dato risponderebbe unicamente a scelte di politica criminale diverse dall’intento del legislatore di ricomprendere l’una fattispecie nell’altra.
Per tali ragioni, il ricorso è stato rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

8. Conclusioni


La decisione della Corte appare pareticolarmente rilevante sotto un doppio profilo, anche sulla base della crescente attenzione e diffusione su queste fattispecie di reato, che incastrano in condotte contigue compèortamenti anche singoli purtroppo sempre più diffusi, soprattutto perchè le nuove tecnologie consentono da un lato una maggiore facilità di tali condotte, anche attraverso una molteplicità eterogenea di canali di comunicazione, ed al contempo – proprio per il facile utilizzo e la grande diffusione degli strumenti – alcune condotte rischiano di poter essere falsamente interpretate come “normali” e quindi “accettabili”.
La Corte evidenzia lo stretto legame tra il fatto (la condotta messa in atto) e la tassatività della disposizione normativa penale, che la definisce e circosrive e qualifica come criminale in tutti i suoi elementi.
Evidente che il ricorso in oggetto non ha un fine “assolutorio” quanto di trasformazione del rapporto tra i reati ai fini del ricalcolo della pena.
Chiarito il punto, la Corte precisa che la qualificazione della condotta deve riferirsi al fatto, alla previsione normativa, alle sue conseguenze concrete, al bene giuridico specifico tutelato, e all’elemento del dolo e della copevolezza.
In questo senso i reati sono due, distinti, e questa sentenza ne chiarisce i termini ermeneutici. Che poi siano commessi dallo stesso soggetto verso la stessa vittima con attività contigue, collegate, limitrofe, è fatto che non ne esclude la tipicità.
Semmai – ma questa è una valutazione ulteriore che non competeva alla Corte men che menno in questa sede – la commissione di due reati specifici di questo genere dovrebbe, oltre ad essere considerata nella somma della pena, anche come l’attivazione di condotte e reati multipli tesi a colpire la vittima nella stessa direzione, e quindi ad amplicare un danno ingiusto, costituendo quindi di fatto una aggravante quanto menno utile, nel calcolo, ad elidere eventuali altre attenuanti.

Michele Di Salvo

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