Stalking: CEDU condanna l’Italia per violazione dell’art.8 Convenzione

Scarica PDF Stampa

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) ha condannato l’Italia per la violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare del ricorrente, ammonito dal questore a norma dell’articolo 8 del Decreto Legge n. 11/2009, misura di prevenzione amministrativa finalizzata a contrastare il reato di stalking, del quale all’articolo 612-bis del codice penale.

Indice

1. Il reato di stalking


Il termine stalking, e di conseguenza stalker, deriva dal verbo inglese to stalk, vale a dire, camminare con circospezione, camminare furtivamente, colui che cammina in modo furtivo e indica  anche il cacciatore in agguato.
Il reato di stalking è disciplinato all’articolo 612 bis del codice penale, rubricato “Atti persecutori”, che recita:
Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita.
La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici.
La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.
Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio.

2. I fatti in causa


Come scrive sistemapenale.it, nel mese di maggio del 2009, al culmine di una crisi coniugale, la moglie lasciava la casa familiare dove aveva vissuto sino a quel momento con il marito.
Pochi mesi dopo, la stessa presentava al questore di Savona una richiesta di ammonimento a norma dell’articolo 8 del D.L. n. 11/2009 nei confronti del marito, descrivendo una lunga serie di episodi di violenza fisica e verbale, nonché altri comportamenti di carattere persecutorio.
Davanti a questa richiesta, la questura aveva provveduto a sentire diverse persone informate sui fatti (art. 8, co. 2, d.l. n. 11/2009), tre delle quali avevano confermato alcuni degli episodi denunciati dalla presunta vittima.
Ritenendo fondata la richiesta, il questore aveva proceduto all’ammonimento dell’uomo, il quale, proponeva ricorso al TAR Liguria per ottenere l’annullamento del provvedimento amministrativo, considerato illegittimo per diversi motivi, tra i quali la mancata comunicazione di avvio del procedimento amministrativo, imposta dall’articolo 7 L. n. 241/1990.
Accogliendo questo motivo di ricorso, i giudici amministrativi avevano annullato l’ammonimento.
Siccome questa misura di prevenzione determina un significativo pregiudizio per la reputazione, secondo il TAR il ricorrente avrebbe dovuto essere messo nelle condizioni di essere ascoltato.
A questa regola si poteva derogare, come previsto dallo stesso articolo 7, co. 1, l. n. 241/1990,  esclusivamente in presenza di “particolari esigenze di celerità del procedimento”, che avrebbero dovuto trovare specifico riscontro nel provvedimento.
La sentenza del TAR Liguria veniva a sua volta impugnata dal Ministero dell’Interno e annullata dal Consiglio di Stato.
Secondo i giudici, il procedimento amministrativo in questione, essendo finalizzato a prevenire comportamenti di stalking, impone, per la sua natura, dovrebbe dare una risposta celere e immediata, con la finalità di evitare una serie di episodi violenti, lasciandosi riportare nell’eccezione prevista dall’articolo 7, co. 1, l. n. 241/90.
La prerogativa del destinatario dell’ammonimento di fare valere le proprie ragioni non si poteva dire irrimediabilmente pregiudicata.
Lo stesso avrebbe potuto chiedere al questore di riesaminare l’ammonimento in autotutela, oppure scegliere un ricorso gerarchico davanti al prefetto (art. 1 ss. D.P.R.1199/1971).
A fronte della conferma dell’ammonimento in sede di giustizia amministrativa, l’uomo adiva la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, lamentando una violazione del diritto al rispetto della vita privata e familiare (art. 8 CEDU).

3. Le ragioni della condanna


Nonostante le ragioni che hanno portato alla condanna dell’Italia derivino dalle specificità del procedimento, le motivazioni della sentenza contengono delle importanti riflessioni, dirette a dare  un impatto significativo sull’interpretazione giurisprudenziale della disciplina vigente.
A questo proposito. meritano di essere subito segnalati due principali profili.
Da un lato, si afferma che l’autorità amministrativa deve assicurare all’interessato il diritto di essere ascoltato prima dell’adozione del provvedimento sfavorevole, potendosi derogare a tale diritto esclusivamente se dovessero sussistere specifiche ragioni di urgenza, delle quali si deve dare conto nel caso concreto.
Dall’altro lato, la Corte sembra affermare la necessità di meccanismi che rendano temporanea, e non perpetua, l’ammonizione stessa.
Queste prese di posizione, potrebbero dare adito al disappunto di una parte degli operatori del diritto, vista la delicatezza del fenomeno che fa da sfondo all’istituto in questione.
È prova di questo la severa concurring opinion del giudice italiano Raffaele Sabato, secondo cui, con questa sentenza, il diritto convenzionale avrebbe oggi compiuto “molti passi indietro nella protezione dei diritti umani nel contesto della violenza di genere”.

4. Conclusioni


I principi affermati nella sentenza non sembrano relativi esclusivamente all’ammonimento del questore, ma anche alle altre misure amministrative capaci di interferire con il diritto alla vita privata e familiare.
Le considerazioni dei Giudici di Strasburgo non poggiano esclusivamente su specifiche disposizioni della Convenzione di Istanbul, relativi agli strumenti di lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ma lo fanno direttamente dai corollari dell’articolo 8 CEDU.
In questo modo, la sentenza potrebbe rappresentare un punto di impiego per una lettura orientata anche di altre misure di prevenzione, come ad esempio l’avviso orale del quale all’articolo 3 Decreto Legislativo n. 159/2011, che, come messo in luce dalla dottrina, ha una fisionomia molto simile a quella dell’ammonimento del questore.

Vuoi restare aggiornato?


Con le nostre Newsletter riceverai settimanalmente tutte le novità normative e giurisprudenziali!
Iscriviti!

Iscriviti alla newsletter

Si è verificato un errore durante la tua richiesta.

Scegli quale newsletter vuoi ricevere

Autorizzo l’invio di comunicazioni a scopo commerciale e di marketing nei limiti indicati nell’informativa.

Cliccando su “Iscriviti” dichiari di aver letto e accettato la privacy policy.

Iscriviti

Iscrizione completata

Grazie per esserti iscritto alla newsletter.

Seguici sui social


Dott.ssa Concas Alessandra

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento