Stati e confini. Qualche considerazione

La fine del regime bipolare che ha contraddistinto i decenni seguiti al secondo dopoguerra ha innescato una serie di conflitti su scala regionale e locale, che, richiamando l’attenzione degli studiosi non meno che della politica su inedite questioni confinarie, ha comportato un ripensamento del concetto di frontiera.

È vero che dopo l’89 e con l’emersione delle tematiche relative alla globalizzazione dell’economia e delle relazioni internazionali, il mondo ha conosciuto nuove categorie dell’inclusione e della mimetizzazione culturale e intersoggettiva, in una con una mobilità crescente che ha riguardato uomini, capitali, strumenti finanziari.

Ma è anche vero che la rinnovata attitudine all’essere mobiles in mobile dei processi economici e in senso lato politici, spesso ha condotto a elaborare nuove concezioni come quelle che, sul finire del secolo scorso, già prospettavano una variamente articolata fine dello Stato-nazione.

Quest’ultimo avrebbe visto radicalmente ridotte le sue possibilità d’intervento, attesa soprattutto la lentezza dei suoi apparati regolatori rispetto alle nuove aperture del mercato, con immediate ricadute sulle stesse politiche solidaristiche proprie del Welfare State[1], ancorato a procedure ormai stridenti con i nuovi modelli neoliberistici, che comporterebbero, per l’appunto, una disarticolazione progressiva dell’intervento pubblico nel contesto economico e sociale, a favore della globalizzazione dei mercati.

Al contrario, proprio in un frangente epocale come questo, gli Stati hanno dovuto, piuttosto, elaborare nuove risposte per nuove emergenze, prima tra tutte proprio quella economica[2]. Il loro ruolo nei processi economici e politici dell’era postmoderna non ha segnato la loro fine, ma il mutamento del loro raggio d’azione.

Come scrive Oppenheimer: “difficilmente la globalizzazione potrebbe essere vista come un termine che rosicchia le fondamenta economiche dello Stato nazionale se lo Stato nazionale stesso, o meglio il suo governo, non avesse enormemente aumentato le proprie funzioni economiche nel corso dell’ultimo secolo”[3].

Inoltre, mai come adesso, gli Stati sono chiamati a rintracciare un equilibrio “fra la dimensione geopolitica e il senso di appartenenza (e la lealtà) dei cittadini […] funzione difficilmente surrogabile, anche nei confronti degli eccessi secessionistici delle rivendicazioni etniche”[4].

La rete dei flussi economici e finanziari globali non ha, dunque, menomato lo Stato delle sue prerogative, ma piuttosto ne ha condotto gli organi decisionali a confrontarsi con realtà inedite o comunque di portata più ampia che non nel passato.

Il punto, allora, non è che gli Stati nazionali hanno cessato di contare davvero nel mondo globalizzato, ma che il loro raggio d’azione economico, politico e diplomatico si è allargato, sicché occorre riflettere sul contemperamento di vincoli e condizionamenti da essi subiti con la responsabilità cui sono chiamati in sede di elaborazione e attuazione degli accordi e delle istituzioni da essi promossi[5].

Innanzitutto, assume rilievo la circostanza che il concetto di confine sia tornato prepotentemente alla ribalta.

Com’è stato detto: “il concetto di confine è tornato a caricarsi di significati sociali e culturali intrisi di un forte valore simbolico, oltre a essere espressione di più o meno fluttuanti equilibri politici”[6].

Gli Stati hanno però mostrato sinora di non aver ancora colto appieno il significato dei mutamenti epocali che stanno portando a ripensare termini come confine o frontiera, rispondendo alle problematiche migratorie meno con un adeguamento delle classiche categorie della sicurezza e della protezione del territorio nazionale alle nuove istanze provenienti dalla realtà dei flussi migratori che con una rigida ripresa di quelle categorie, privandosi così della possibilità di riscrivere il concetto di cittadinanza.

 

 


[1] Cfr. HABERMAS J., La costellazione postnazionale, trad. it., Feltrinelli, Milano, 1999; CROUCH C., Postdemocrazia, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 2003.

[3] OPPENHEIMER P. M., Un confronto tra il 2000 e il 1900. Come si differenzia la globalizzazione di oggi dal libero scambio di ieri, in PIZZUTI F. R. (a cura di), Globalizzazione, istituzioni e coesione sociale, Donzelli, Roma, 1999, p.10. Cfr. KRASNER S. D., Globalizzazione, potere e autorità, trad. it., in “Quaderni di scienza politica”, 2, 2003, p. 207.

[4] ZOLO D., Globalizzazione. Una mappa dei problemi, Laterza, Roma-Bari, 2004, pp. 78-79, Cfr. BAUMAN Z., La solitudine del cittadino globale, trad. it., Feltrinelli, Milano, 2000, p. 79.

[5] Cfr. ALLEGRETTI U., Diritti e Stato nella mondializzazione, Città aperta, Troina, 2002, p. 225.

[6] AMATO F. (a cura di), Atlante dell’immigrazione in Italia, Carocci, Roma, 2008, p. 45.

Avv. Savino Mauro

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