Occorre innanzitutto escludere che gli Stati possano far valere le proprie ragioni pecuniarie con l’uso della forza militare.
Se un tempo gli Stati potevano legittimamente ricorrere all’uso della forza, oggi non è più così, perché il divieto dell’uso delle forze armate o la minaccia stessa è diventato un principio di diritto internazionale; se poi gli Stati infrangono questo principio si ricadrebbe nelle sanzioni previste dal diritto internazionale.
La comunità internazionale, nel suo complesso, ha creato e sta sviluppando una vasta rete di sicurezza collettiva, contrastando sul piano legale chi dovesse mettere a rischio la pace mondiale, anche se la forza militare fosse usata in funzione preventiva.
Per ciò che riguarda questo articolo, è necessario fissare nella propria mente questo principio, soprattutto per gli obblighi di tipo pecuniario tra Stati membri o tra Stati e privati.
Vi è un divieto, dunque, di rappresaglia armata, ma ciò non toglie che ci siano altri meccanismi per costringere ad addivenire a più miti consigli per quegli Stati che violassero gli adempimenti di tipo pecuniario.
Indice
1. Il concetto di sovranità si è ristretto
Ciò che divide ancora oggi la Comunità internazionale è il limite della domestic jurisdiction, ossia fino a che punto uno Stato è sovrano politicamente, giuridicamente ed economicamente? Quando si ha illecito internazionale? In che modo sanzionare gli Stati che dovessero compiere atti illegittimi e quale autorità farebbe rispettare il diritto internazionale e comunitario?.
Non è questa la sede per spiegare in quale modo e per quali motivi si sono creati questi equilibri giuridici e politici, ma è mia intenzione, per lo scopo di questo contributo giuridico, chiarire anche qui il concetto di “sovranità”.
Nella Comunità internazionale sussiste il principio di eguaglianza sovrana tra gli Stati, pertanto non esiste(teoricamente) un’entità giuridica che possa avere pretese di sovranità su tutti gli altri Stati, a meno che tale sovranità non sia ceduta e che ciò sia frutto della volontà di uno Stato.
Da tale principio di eguaglianza, discende il principio di massima dell’immunità giurisdizionale degli Stati, che un tempo era molto più ampia, mentre oggi molto meno per effetto degli ultimi conflitti mondiali.
Per immunità giurisdizionale degli Stati intendo il divieto di chiamare in giudizio uno Stato davanti ad un Tribunale di un altro Stato straniero, e ciò significa che in linea di massima, sussista un’indipendenza reciproca degli Stati, anche se tale indipendenza, oggi, ha un significato più ristretto rispetto ad esempio al XIX secolo, nel campo politico, giuridico ed economico; se un tempo si poteva parlare di una sorta di immunità assoluta, oggi non è più così, alla luce degli eventi di grande portata del secolo scorso, e si suol dire che l’immunità non è più assoluta, ma ristretta.
La maggiore integrazione economica, fatta di merci, servizi e capitali, l’attenzione verso i diritti umani espressa nella Carta dei diritti universali, affinché le tragedie del passato non accadano più, la consapevolezza che gli eventi lontani dalla nostra area geografica può comportare conseguenze di tipo economico, ma soprattutto di tipo militare, ha fatto venir meno quella rigidità espressa nel principio di immunità giurisdizionale degli Stati.
Ciò non significa che gli stati abbiano perso il potere di scelta politica attraverso i loro rispettivi Governi, ma che in ambito economico, politico e giuridico, grazie alla cosiddetta globalizzazione oggi è più difficile, perché l’idea di fondo è che l’interdipendenza economica, giusta o sbagliata che sia, deve avere delle regole e le regole sono dei limiti, quei limiti più o meno presenti in ogni Stato.
2. Gli atti iure imperii e gli atti iure gestionis
Oggi tali limiti possono esprimersi in vari modi, e in particolare per quanto concerne l’immunità degli Stati si suole distinguere tra atti iure imperii ed atti iure gestionis.
E’ importante questa distinzione, perché si ha la sensazione che ai “sovranisti” e ai populisti di qualsiasi specie sfugga questa analisi giuridica, ma che è anche economica e politica.
Questo capitolo serve proprio per far ricredere chi pensa che uno Stato sovrano possa disporre come pare e piace dei propri rapporti giuridici con gli altri Stati, senza “pagare dazio”, ossia pretendere che basti un Governo che a colpi di decreti possa sanare debiti, disimpegnarsi dagli obblighi e negare le promesse fatte, senza incorrere in nessuna ritorsione legalizzata.
Non sta a me, calcolatrice alla mano, pronosticare i danni che subirebbero i privati nel caso in cui uno Stato decidesse di non pagare i propri debiti, ma a me compete spiegare da un punto di vista legale cosa potrebbe accadere se uno Stato percorresse la strada degli “Stati canaglia”.
Non tutti adottano gli stessi metodi, ad esempio la Gran Bretagna usa il metodo della lista(1),ossia non distingue tra atti jure imperii e gestionis.
Gli atti jure imperii sono quegli atti che godono di immunità dai tribunali degli altri Stati, mentre negli atti iure gestionis gli Stati sono considerati alla stregua dei privati (ad esempio immobili o prestiti obbligazionari) e i loro atti possono essere giustiziati anche al di fuori dei confini di quello Stato.
La Gran Bretagna elenca le singole ipotesi in cui è ammessa la giurisdizione, residuando per le altre ipotesi l’immunità.
Esiste anche una Convenzione europea sull’immunità, ma la logica è rovesciata; esistono anche convenzioni in materia che possono prevedere i casi in cui uno Stato non può invocare l’immunità.
Per fare un esempio; l’esecuzione forzata è ammissibile esclusivamente su quei beni non destinati ad una pubblica funzione, perché ciò rientrerebbe negli atti jure gestionis.
Le modalità di distinzione tra le tipologie di atti variano, ma il concetto giuridico che ne sta alla base no!.
In altre parole può accadere che uno Stato debitore sia costretto a subire da parte di uno Stato o di un privato straniero esecuzioni forzate sul proprio territorio, grazie ad una sentenza emanata da un Tribunale straniero, sempre se tale esecuzione rientri tra gli atti jure gestionis.
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3. Il progetto di trattato sulla responsabilità degli Stati
La responsabilità di uno Stato è un istituto giuridico internazionale, e i “sovranisti” possono stare certi che gli atti compiuti al di fuori del quadro legalitario, potranno ritorcersi contro un loro eventuale Governo e quindi sull’intero territorio nazionale, anche se non sempre è facile scorgerne gli effetti.
Gli illeciti internazionali di tipo pecuniario verrebbero puniti invocando il Progetto di Trattato sulla responsabilità degli Stati che nel quadro dello sviluppo progressivo del diritto internazionale, sta assumendo sempre maggiore importanza nelle relazioni tra gli Stati, se non altro per avere uno strumento legale da portare nei vari consessi internazionali come premessa per un’eventuale contromisura economica.
Anche se non è una codificazione(2), per ragioni legate alla natura del diritto internazionale, il Progetto riflette principi e norme diffuse di diritto internazionale con la conseguenza che gli Stati creditori, in caso di atto illecito internazionale, possono far valere le loro ragioni, mediante contromisure o per mezzo degli arbitrati o della Corte internazionale di giustizia.
Nell’Unione europea, invece, esiste il meccanismo giuridico della procedura di infrazione U.E., mentre nella Comunità internazionale al di fuori dell’Unione non esiste un tale meccanismo standardizzato, perché non sussiste l’obbligo di accettare la giurisdizione di una Corte Internazionale, tuttavia le disposizioni del Trattato sulla responsabilità degli Stati, rappresenta una “carta” da far valere nei Consessi internazionali per prendere eventuali provvedimenti o contromisure economiche contro gli Stati inadempienti, pertanto, qualora non avesse valore pienamente giuridico a causa della mancanza di un’entità sovranazionale capace di far rispettare le ragioni dello Stato o dei privati creditori, gli Stati potranno agire in autotutela e i privati facendo valere le ragioni anche al di fuori dei confini dello Stato inadempiente.
Quali potrebbero essere gli effetti della responsabilità internazionale? Si può avere la soddisfazione o la riparazione a causa dei danni, oppure si può chiedere di ristabilire la situazione precedente, o anche la riparazione per equivalenza o l’accordo di indennizzo.
Ai “sovranisti” e ai populisti ricordo che è irrilevante il diritto interno nella qualificazione dell’illecito(3), pertanto la violazione dell’obbligo internazionale che leda il diritto soggettivo tutelato dal diritto internazionale potrebbe far sorgere dei doveri a prescindere dalle norme interne di quello Stato inadempiente.
Successivamente o prima dell’insorgere di una controversia internazionale, gli Stati hanno la possibilità(non l’obbligo) di ricorrere a dei procedimenti arbitrali o giudiziali.
4. Il processo internazionale
Il processo internazionale ha natura sostanzialmente consensuale, ossia è subordinato al consenso delle parti(ossia degli Stati); se gli Stati accettano la giurisdizione, le considerazioni giuridiche della sentenza saranno vincolanti; vero che non esiste una forza pubblica internazionale per far rispettare la sentenza, anche se la parte che non da esecuzione alla sentenza può subire il ricorso al Consiglio di Sicurezza(4), ma è anche vero che lo Stato in questione perderebbe credibilità politica e potrebbe subire le contromisure economiche da parte dello Stato creditore o da parte di un’organizzazione internazionale, provocando un effetto a catena che potrebbe portare lo Stato debitore all’isolamento nella comunità; il fine è di trovare una soluzione pacifica della controversia.
Questa è la logica, perché nella Comunità internazionale manca una “polizia” sovranazionale capace di far rispettare gli accordi di tipo pecuniario e tutto si “gioca” nella capacità degli Stati di far valere le proprie ragioni politiche e soprattutto, i rapporti di forza.
La Corte internazionale ha una competenza generale ed è formata in modo da rappresentare le principali forme di civiltà e i principali sistemi giuridici del mondo, ed oltre ad avere una funzione contenziosa, ha anche una funzione consultiva.
La Corte , dunque, dirime le controversie fra gli Stati mediante delle decisioni vincolanti, ma l’introduzione di questo tipo di processo è possibile quando esiste una controversia giuridica, ossia un’opposizione di tesi giuridiche; gli Stati possono limitare le competenze della Corte e le parti in lite verranno giudicate alla luce dell’art. 38, ed una volta emanata la sentenza, mi ripeto, essa è definitiva, vincolante ed inappellabile(5).
Anche nella Comunità europea(più precisamente Unione Europea) esiste una procedura per far rispettare gli obblighi in capo agli Stati membri.
Se così non fosse, come si penserebbe di far rispettare i Trattati europei e gli atti derivati che sono la loro conseguenza? Ovvio che debba esistere un procedimento per sanzionare gli Stati U.E. quando violino gli obblighi del diritto comunitario, così come non avrebbe senso stabilire stringenti norme di bilancio senza introdurre delle procedure per deficit eccessivo; il problema, mi sembra evidente, non è il meccanismo, ma aver partecipato al meccanismo qualora fosse considerato contrario agli interessi nazionali.
La procedura per infrazione può essere avviata dalla Commissione europea (art.258 e 259 TFUE.) oppure da uno Stato membro o può anche partire da una denuncia da parte di privati cittadini(6);se sussiste infrazione la Commissione dà un parere motivato e diffida lo Stato ad adempiere, altrimenti in caso di inadempimento si può ricorrere alla Corte di Giustizia Europea; se lo Stato seguitasse a non conformarsi anche dopo la sentenza, vi sarebbe un’ulteriore procedura di infrazione e un altro giudizio della Corte per l’esecuzione della sentenza.
Mi sembra evidente che uno Stato non possa affermare la propria sovranità sempre e comunque; in ogni caso dovrà fare i conti con i vincoli comunitari (se si tratta di uno Stato membro) o internazionali( in ogni caso), pena le sanzioni economiche e in ultima analisi l’isolamento internazionale.
La responsabilità internazionale dello Stato può essere fatta valere in molti modi, anche se impera il principio(più teorico che reale) della sovrana eguaglianza dei soggetti statali; l’attuazione delle norme quando non avviene per opera degli stessi consociati, deve trovare risposta nell’ordinamento giuridico internazionale, altrimenti saremmo in balia dell’anarchia; per evitare il dominio dell’incertezza del diritto, la Commissione di diritto internazionale ha redatto il Progetto di codificazione sulla responsabilità degli Stati, dove sono previsti risarcimenti, riparazione per i danni arrecati e molto altro ancora.
Vi sono contemplati i mezzi ordinari di soluzione pacifica delle controversie, o il ricorso alle contromisure, o le conseguenze nel caso in cui si ledano i diritti soggettivi ; esiste anche la possibilità di sospendere le contromisure se l’illecito dovesse cessare, oppure possono verificarsi delle ritorsioni incrociate pienamente legittime.
La responsabilità di uno Stato potrebbe essere punita in vari modi, ad esempio impedendo l’operatività di molte imprese dello Stato responsabile dell’illecito, oppure incidendo sull’efficacia dei contratti in corso.
Le sanzioni possono spaziare dal congelamento dei beni delle banche centrali, passando per la restrizione nel settore finanziario, o le autorizzazioni per il trasferimento di fondi superiori a determinati importi verso le banche dello Stato punito, l’esclusione di uno Stato dal sistema interbancario, la limitazione della fornitura del gas, il congelamento dei beni delle persone fisiche, la rottura dell’import/export generalizzato, le misure di difesa commerciale e via dicendo(7).
Le sanzioni di tipo non militare possono anche provenire dal consiglio di Sicurezza(ad es. per il contrasto al terrorismo); è ipotizzabile, dunque, un ampio ed articolato sistema di misure restrittive, anche se il più “famoso” rimane l’embargo dove l’imperium è rivolto a tutti gli Stati partecipanti all’Onu(art.41 Carta N.U.)(8).
La pressione economica e l’efficacia dissuasiva delle sanzioni può spaziare su molti fronti; addirittura l’Unione europea può attuare le sanzioni delle Nazioni Unite attraverso l’adozione di atti legislativi dell’Unione(9).
Le sanzioni U.E. spaziano dalla restrizione sul commercio di vari prodotti, alle restrizioni nel settore finanziario(come già poc’anzi citato per quelle internazionali), ma anche le restrizioni di viaggio.
Le contromisure hanno dunque lo scopo di mantenere l’ordine internazionale, anche sul piano economico.
La contromisura può nascere anche dallo Stato leso come risposta ad un illecito altrui ricorrendo in autotutela, ossia compiendo atti illeciti in risposta ad altri atti illeciti, ma sempre nelle forme e nei modi previsti dal diritto internazionale, miranti a garantire il ripristino della pace prima della contesa tra gli Stati; in tal modo, queste misure non implicanti l’uso della forza avrebbero come effetto l’esenzione di responsabilità da parte dello Stato esercente la contromisura.
L’autotutela deve però essere intesa come strumento limitato ed eccezionale per quelle finalità della Comunità internazionale di pace e sicurezza collettiva che sono il fine ultimo dei rapporti tra i soggetti di diritto internazionale, e pertanto gli Stati non devono abusarne, conformandosi per quanto possibile ai principi e alle norme del diritto internazionale.
5. La contromisura
La contromisura è uno strumento di pressione politico-economica per ricondurre nell’alveo della legalità quegli Stati che non dovessero conformarsi ai principi e alle norme di diritto internazionale, e nel nostro caso, anche comunitarie.
Tutelare l’ordine pubblico di aree geopoliche e geoeconomiche non sarebbe altrimenti possibile se si lasciasse agli Stati piena discrezionalità nel giudicare i propri impegni internazionali o comunitari come pare e piace.
Può accadere, tuttavia , che vi siano (con l’andare del tempo) degli squilibri tra diritti ed obblighi che alterino i rapporti tra gli Stati; se da un lato esiste il principio pacta sunt servanda per indicare il rispetto degli accordi tra gli Stati, dall’altra esiste un principio non meno importante come il rebus sic stantibus che consente alla parte interessata all’annullamento di chiedere all’altra di accettarlo, estinguendo il Trattato stesso.
Tutta la realtà ha diverse risposte, anche talora contrastanti, non solo nel campo giuridico.
Ogni conclusione nel divenire è sempre aperta e può sfociare in diversi modi, con differenti sviluppi, perché si intrecciano motivi giuridici, politici, economici ed antropologici.
Non bisogna confondere le irrisolte questioni politiche come un dato stabile, permanente, ma sempre nella sua evoluzione in termini prima pragmatici e poi storici.
Occorre da parte di tutti responsabilità, e semmai questo mio contributo giuridico dovesse essere letto da un amministratore nazionale, spero che ne tragga degli utili consigli per accostarsi alla cosa pubblica con uno spirito costituzionale, prima ancora che politico, perché se la costituzione può essere cambiata, il suo intrinseco valore spirituale rimane eterno.
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Note
- [1]
Andrea Gioia, Diritto internazionale, manuale breve,2013, Giuffrè Editore.
- [2]
Andrea Gioia, Diritto internazionale, manuale breve,2013, Giuffrè Editore.
- [3]
Andrea Gioia, Diritto internazionale, manuale breve,2013, Giuffrè Editore.
- [4]
Natalino Ronzitti, Introduzione al diritto internazionale,2016, G. Giappichelli Editore.
- [5]
http://docenti.unimc.it/f1.marongiubuonaiuti/teaching/2014/12982/files/testi-normativi-di-riferimento-generale/statuto-della-corte-internazionale-di-giustizia
- [6]
- [7]
- [8]
http://www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=onucarta
- [9]
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