“(…) L’ordine giuridico è il mezzo più potente attraverso il quale viene messa in atto e trasformata in agire sociale un’interpretazione del mondo[i]. (…) Quando non è subordinato al potere o alla violenza, il diritto è come la lingua, la cultura o l’arte: diviene una modalità di comunicazione e autodeterminazione di una comunità”
(F.CAPRA – U.MATTEI)
In the first part of this essay, paradigmatic hypotheses of change following the epidemic crisis were analyzed. They were drawn from the ongoing debate in the media of international organizations where a final territorial, ecological and supportive approach for the post-pandemic world is being prophesied.
Starting from such authoritative “future shaping” analyzes, we have therefore researched the legal and regulatory feasibility, de iure condito, of these future scenarios.
We noted that they would allow the application of European and constitutional principles of horizontal and vertical subsidiarity as well as the revitalization of territorial and integrated policies, in particular, those of cultural nature. Therefore, possible participatory governance instruments of these territorial and integrated development policies were examined.
In the second part, an attempt was made to analyze a further input for the territorialisation of policies, the one currently being regulated by legislation for cohesion policies 2021-2027.
Unlike what many feared about the denial of the institutional role of central administrations, we believe that the new cohesion policies may constitute, on the contrary, a variable of autopoietic rupture that could generate opportunities for future benefits.
The central administration could become or the center, the fulcrum, of a circle around which all the actors of local development would rotate pares inter pares, not, instead, the top of a pyramid, weighed down by hierarchies and bureaucratic crystallizations that risk to block the possibilities of growth and cultural development.
Certainly, the premises, analyzes and theses on the topic examined here will need to be better explored.
Future events may indicate whether the current uncertain systemic and macro-economic premises linked to the emergency situation have been correct. For this reason, in the initial non-juridical part, we examined the publications of international organizations in order to capture system trends as authoritative as possible.
Given these premises, the attempt made was to provide feasible solutions within the framework of the coordinates offered by the current legal system in order to respond promptly “to the challenges of change”.
1. Da “kpiσiσ” a cambiamento: dal flying shame al contrasto al covid-19
L’attuale pandemia ha determinato una situazione di crisi economica che causa il lockdown, anche se con sostanziali diversità nei vari paesi interessati, nei prossimi mesi è destinato a trasformarsi in una pesante recessione globale che molti osservatori dicono sarà peggiore della crisi del 1929.
Il termine “crisi”, di derivazione greca (κρίσις), originariamente indicava la separazione, provenendo dal verbo greco κρίνω: “separare”. Il verbo era utilizzato in riferimento alla trebbiatura, ovvero alla separazione della granella del frumento dalla paglia e dalla pula. Da qui derivò tanto il significato di “separare” quanto quello di “scelta”, inteso anche come “capacità di giudizio”[ii].
Orbene in vari interventi pubblici ospitati su forum delle agenzie internazionali, quali il World Economic Forum o l’UNWTO, autorevoli commentatori hanno evidenziato la grande occasione rappresentata dal cambio di marcia causato dagli investimenti pubblici che dovranno essere fatti nei prossimi mesi al fine della ricostruzione delle economie[iii] e per la salvaguardia del posti di lavoro, oltre che per il rafforzamento dei presidi sanitari pubblici.
Per questo le agenzie internazionali hanno affiancato due apparentemente dissimili vicende, il cambiamento climatico e l’epidemia di covid 19. Da una parte, è stata individuata una possibile concausa della crisi sanitaria nelle situazioni di inquinamento ambientale, in particolare di quello urbano dovuto a congestione veicolare e antropizzazione[iv], mentre, dall’altra parte, sono state indicate quali possibili matrici di cambiamento la sfida ecologica globale e la mitigazione di tutte le possibili cause dei cambiamenti climatici[v], a cominciare dalla riduzione del CO2[vi].
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Altri, pur enfatizzando il parallelo impegno per l’ambiente e per il contrasto dei cambiamenti climatici, hanno aggiunto che servirebbe un rinnovato impegno tanto pubblico quanto privato nel sociale a mezzo delle imprese no profit e di altre simili organizzazioni del terzo settore[vii]. Alcuni analisti, in proposito, osservano che le principali incidenze della mortalità sono state registrate, oltre che nelle aree inquinate, nei paesi con un deficitario sistema di medicina pubblica e di garanzie sociali (social security).
Tali osservatori auspicano, dunque, quale finale outcome della crisi, un cambiamento, ovvero, una scelta da farsi sulla base di una attenta capacità di giudizio sulle criticità del mondo odierno.
In sintesi[viii], questi i termini del dibattito in corso sulle ipotesi di scenario futuro (oltre alla imprescindibile priorità alle cautele di tipo sanitario):“la staycation, ovvero forme di viaggio concentrate prevalentemente in Italia e di breve-medio raggio o nei dintorni della residenza abituale; un undertourism, che si contrapporrà necessariamente all’overtourism, ovvero un turismo che privilegerà l’Italia meno nota e affollata, le attività open air e il turismo lento; viaggi individuali (di coppia e famiglia) che ripartiranno più velocemente, soprattutto all’inizio, prima di quelli di gruppo per la probabile necessità di (o propensione a) mantenere forme di distanziamento sociale; Gli strumenti digitali – in assenza o a fronte di una limitazione dei contatti diretti – avranno una rilevanza ancora più decisiva del passato nella fase di ispirazione, di prenotazione e di ricerca di informazioni in loco; (…) viaggiare responsabilmente, ovvero evitare situazioni di grande affollamento, (…)..
Non è stato azzardato, dunque, per come fatto da tanti osservatori, connettere la crisi epidemica con i cambiamenti climatici per poi derivarne il corollario della fine dei voli low cost[ix] e, dunque, del necessariamente connesso turismo di massa. Questa la logica conseguenza della lotta per la riduzione del CO2 nell’atmosfera, origine dei cambiamenti climatici, nonchè del contrasto alla diffusione dell’epidemia causa la pressoché totale impossibilità di misure di distanziamento e di prevenzione dai contagi negli angusti spazi degli aerei.
La nota campagna del “flying shame”[x] portata avanti dall’attivista svedese Greta Thumberg è stata portata fino alle Nazioni Unite quando la militante è stata invitata a partecipare nel 2019 all’United Nations Climate Action Summit. Le misure di contrasto alla diffusione del Corona Virus, per come detto nei saggi citati in nota, potrebbero diventare, dunque, un ideale prosecuzione della campagna per la riduzione delle emissioni da CO2, a cominciare dai voli aerei oggi resi gravosi causa i costi causati dai succitati problemi di distanziamento e, comunque, dalle responsabilità dei vettori per possibili infezioni a bordo.
Infine, in un altro studio, un dirigente UNESCO ha previsto che le conseguenze dell’epidemia rispetto agli stili di vita occidentali saranno coerenti con le risposte alla crisi climatica. Da una parte lo smart working potrà limitare gli spostamenti inquinanti di pendolari, dall’altra portare ad un trasferimento delle popolazioni verso le campagne[xi] al fine di sgravare le aree urbane da congestioni.
2. “kpiσiσ” e globalizzazione: un nuovo approccio territoriale, ecologico e solidale?
La globalizzazione, come noto, è legata al libero movimento di capitali, ma anche di servizi, di merci e di persone[xii]. Molti studiosi ed analisti si stanno chiedendo se la presente pandemia o una recrudescenza della stessa[xiii] o altra epidemia costringeranno l’umanità a limitare, oltre agli spostamenti di persone, anche i movimenti di merci. Alcune ricerche scientifiche avrebbero, infatti, dimostrato la permanenza del virus sugli oggetti con durate diverse a seconda della materia di essi.
La movimentazione delle persone insieme a quella delle merci è, comunque, consustanziale con lo stesso concetto di globalizzazione.
La riduzione dei viaggi per motivi di lavoro o altro e l’undertourism (o turismo di prossimità), cui si faceva prima riferimento, sarebbero, comunque, accompagnati da una più o meno generale diminuzione delle movimentazioni di merci, a cominciare da quelle alimentari.
Si prevede, infatti, che in futuro verrebbero privilegiati i mercati a chilometro zero e l’attitudine a consumare i prodotti della terra stagionali (e non quelli importati da altre aree del mondo) in una logica business to consumer senza intermediazioni fuori piazza[xiv].
Ne riviene che si sta pianificando una nuova organizzazione delle relazioni economiche e sociali a livello planetario. Ovvero un nuovo mondo con una diversa organizzazione del mercato dei beni e dei servizi (che spesso sono accompagnati dalle persone che li prestano).
Per logica conseguenzialità crescerebbe, dunque, la dimensione comunitaria e territoriale dei processi relazionali, economici, sociali e di rappresentanza politica degli interessi. Nel campo culturale si prevede un aumento di produzione culturale identitaria (il Ministro Franceschini parla di un Netflix culturale). Una dimensione più comunitaria consentirebbe, alcuni aggiungono, l’accountability, ovvero il rendiconto e la trasparenza sugli atti, de facto non ammessa, per contro, nelle organizzazioni internazionali governate da funzionari cooptati (e non da politici eletti che devono rendere conto del proprio mandato)[xv]. Una struttura comunitaria non escluderebbe, comunque, osservano altri, che si possa collaborare su temi economici, di sicurezza informatica, di natura medica, etc.[xvi]
Dal dibattito in corso sui media delle organizzazione internazionali e sulla stampa economica, citati in nota, si coglie quanto segue: i diversi interessi rappresentati dovrebbero essere territorializzati in una dimensione di prima prossimità locale ecosostenibile; tale nuova strutturazione economica e politica dovrebbe, per come detto prima, mettere al centro la dimensione sociale e, dunque, essere deputata alla partecipazione e alla condivisione (commoning[xvii]) degli interessi; le comunità dovrebbero essere strutturate su basi sistemiche e collocate all’interno di altri sistemi; le reti internet e il digitale avanzato rimarrebbero patrimonio globale di conoscenza e condivisione; le funzioni delle nuove comunità sarebbero improntate a politiche economiche eco-sostenibili, solidali ed inclusive, con al centro il contrasto ai cambiamenti climatici; le comunità, infine, dovrebbero essere dotate di soggettività giuridica (per la tutela dei propri interessi e per la tutela ambientale del territorio con azioni[xviii], ad es., di denuncia e ricorsi per prevenzione e ripristino ambientale[xix]).
Che quanto previsto si possa poi effettivamente realizzare c’è motivo di dubitarne causa le, ormai inscindibili, relazioni economiche, sociali ed umane sorte prima dell’ultimo conflitto mondiale e subito dopo di esso con lo sviluppo dei viaggi aerei, la nascita della mondializzazione economica e delle corporations multinazionali.
Ci fa riflettere, però, il fatto che tale dibattito sia ospitato su autorevoli media delle agenzie internazionali quali il World Economic Forum[xx], OECD, UNWTO[xxi], UNESCO ed altre organizzazioni ONU.
Assunta la positività delle proposte di cambiamento in termini ecologici, solidali e con sistemi reticolari di comunità territoriali, cosa servirebbe per realizzarlo? Per costruire il mondo sopra prospettato bisognerebbe certamente riponderare relazioni ed interessi, al fine di non rimanere travolti dal cambiamento o, peggio, dalle guerre.
In tal senso, crediamo potrebbe essere di grande utilità il pensiero giuridico.
In particolare, reputiamo importante fare riferimento all’elaborazione dottrinaria in materia di commons (beni comuni). Per motivi di sintesi e di adeguatezza rispetto al perimetro di analisi di questo saggio, ci limitiamo a rimandare alla dottrina specialistica in materia. Non ci sottraiamo, però, dal dire che tale teoria si basa sul concetto che alcune risorse sono essenziali alla vita e non devono essere assoggettate allo sfruttamento del mercato; questa idea – per certi aspetti rivoluzionaria, perché intacca l’assolutezza della proprietà privata e supera il concetto standard di “pubblico” – prospetta un modello di società con maggiori garanzie, tanto per l’ambiente quanto per i cittadini, grazie all’intensa “partecipazione attiva alle scelte essenziali della comunità”.
Per tacere d’altro, ci limitiamo ad osservare solo che il dibattito sulla prospettazione del mondo post Covid 19, per molti versi, coincide con l’elaborazione giuridica in atto sulla teoria dei commons.
Rispetto all’attuale elaborazione dottrinaria sui commons, si è osservato[xxii] che il suggerimento di un approccio di diritto privato tout-court rischia di non tenere conto della realtà dei sistemi di relazioni presenti sui territori. Tali sistemi non possono prescindere dai rapporti già strutturatisi tra privati ed enti pubblici territoriali, titolari, questi ultimi, anche di patrimoni pubblici di tipo civile, ambientale, forestale e culturale, in particolare.
Tali rapporti si sono nel tempo evoluti da rapporti istituzionali e giuridici di concertazione partenariale, all’epoca della programmazione negoziata[xxiii], all’attuale partenariato pubblico privato di tipo istituzionale ed in forma sussidiaria orizzontale ex-art.118, 4° comma, della Costituzione[xxiv].
In attuazione dei principi europei, in Italia sono sorte modalità sempre più partecipate di rapporto tra privati ed istituzioni sfocianti, in estrema sintesi: 1) nella partecipazione al procedimento[xxv], nel diritto di essere ascoltati in esso (right to be heard[xxvi]), nel diritto di avere comunicato l’inizio del procedimento stesso, nel preavviso di rigetto, etc., 2) negli accordi pubblico privati, ovvero negli accordi integrativi e sostitutivi tra privati e pubblica amministrazione; 3) nelle autocertificazioni prestate dai privati alle PA e nel connesso regime autorizzatorio per l’edilizia che si rimette in larga parte a tali regimi di autocertificazione.
Quanto sopra con riferimento al procedimento amministrativo.
Per quanto riguarda la contrattualistica pubblica (public procurement) l’innovazione partenariale è stata ancora più forte. E’ stato creato, da una parte, l’istituto giuridico di diritto misto, pubblicistico e civilistico al contempo, del partenariato pubblico privato istituzionale[xxvii] quale espressione formalizzata della sussidiarietà orizzontale tra privati e enti pubblici.
Dunque, una declinazione dei commons in Europa ed in Italia può giovarsi dei su menzionati principi europei di partecipazione e partenariato, e da questi partire per creare scenari possibili.
3. I flussi turistici verso istituti e luoghi della cultura, oggi e nel mondo post-covid 19 – prime ipotesi
Il flusso turistico verso i luoghi della cultura Italiani è da spacchettare per come segue: 57,8 milioni di visitatori nei musei, 45,8 milioni nei monumenti, nelle aree archeologiche 15,5 milioni[xxviii]. I visitatori che visitano luoghi della cultura statali sono 52,7 milioni pari al 44,3% del totale. Ancora va precisato che solo 7 istituti statali hanno introitato incassi di biglietteria per il 67,37% del totale. Ovvero per generare solo il 33% degli incassi occorre tenere aperti ben 563 siti cioè il 98,42% degli istituti statali[xxix]. Questo fa intendere che “il patrimonio statale è scarsamente frequentato e rende ugualmente poco, fatta eccezione per i pochi siti che attraggono il numero maggiore di visitatori”[xxx].
Quel flusso turistico, soprattutto estero, sta però finendo, per come detto in premessa. Le compagnie aeree stanno entrando in crisi e sembra che, per i motivi ambientali sopraccennati, in futuro vi saranno molti meno voli[xxxi].
Il settore dell’offerta turistico culturale è estremamente connesso con i flussi turistici ed ovviamente risente del blocco turistico causato dalla pandemia oltre che per i consumi interni azzerati dalla chiusura degli istituti e luoghi della cultura deciso dal Governo nazionale.
Al momento in cui si vergano queste righe si registrano già ingenti danni causati dalla crisi sopratutto in termini di mancata liquidità determinata dai mancati sbigliettamenti, in particolare, oltre che per il blocco dei servizi al pubblico in generale.
Molte istituzioni museali hanno reagito mettendo a disposizione su internet le collezioni e le esposizioni. Altre soluzioni in termini di innovatività sono in corso di dibattito tra gli studiosi, anche a mezzo di webinar[xxxii].
Si è aperto un dibattito tra gli operatori culturali circa le conseguenze del Covid 19 nel settore.
Sono state commentate le conseguenze del distanziamento sociale e della ridotta mobilità nazionale ed internazionale, in termini di minore bigliettazione e di minore spesa legata all’indotto. In particolare, da più parti è stato evidenziato come necessiti implementare un’offerta online a pagamento o altri format per le manifestazioni artistiche quali teatro e danza con più elevati standard di qualità[xxxiii] (ad es., riprese dirette con particolari zoom ed angolazioni che riproducano una visione realistica) e, comunque, investire in infrastrutture digitali[xxxiv].
In particolare, sono state auspicate ricadute in sintonia con le osservazioni del World Economic Forum sopraccitate. E’ stato notato che gli obblighi finalizzati ad evitare occasioni di contatto potrebbero aiutare a contrastare le situazioni di overtourism (come a Venezia o alle Cinque Terre) per città d’arte e paesaggi culturali.
Mentre oggi il turismo culturale orienta i flussi verso città e monumenti di grande notorietà o per la fruizione di un patrimonio immateriale corrispondente più alla cultura dei turisti che a quella della comunità, la diversa origine della domanda turistica prossima ventura – più nazionale/regionale che internazionale – potrebbe riorientare il turismo culturale verso il segmento minore del patrimonio culturale italiano: aree interne, prodotti tipici di nicchia, monumenti culturali e borghi storici poco noti, per un offerta di “turismo relazionale” ovvero di relazione con le culture e le persone del territorio visitato.
Nel dibattito attuale si prevede l’aumento di iniziative culturali identitarie (si parlava prima del Netflix culturale italiano) magari a dimensione locale che possano attrarre sponsorizzazioni di eventi da parte degli operatori economici locali. In precedente paragrafo si cennava dei prodotti alimentari tipici locali a km 0 quale rimedio al cambiamento climatico, la stessa cosa vale e si intreccia con l’offerta culturale integrata con la produzione tipica su base locale. Si auspicano, dunque, politiche che sostengano le sponsorizzazioni a mezzo di agevolazioni fiscali, come con l’art bonus, e politiche di sviluppo locale integrato (quelle dei Gal, che tra poco approfondiremo) che aumentino il reddito delle comunità delle aree interne[xxxv].
Serve pertanto, “una politica che dovrà articolarsi su un doppio livello: quello macro nazionale che definisca obiettivi, procedure per conseguirli e criteri di valutazione, preventiva ed ex post; quello micro, locale, che supporti gli stakeholders coinvolti nella definizione dei progetti, nella loro diffusione, nel reperimento delle risorse”[xxxvi].
4. Sussidiarietà orizzontale e verticale, integrazione e sistemi territoriali
Gli studiosi di diritto stanno avanzando ipotesi di nuovi paradigmi interpretativi dell’offerta culturale per un mondo post-Covid 19[xxxvii].
Sono applicabili anche ai beni comuni di tipo culturale in un mondo reshaped dopo l’epidemia di Covid-19?
Tanto si ci chiede, anche con riferimento alle recenti riforme legislative per la “socializzazione della cultura”[xxxviii] ma, e sopratutto, per la recente collocazione delle funzioni di tutela, valorizzazione e fruizione dei beni culturali tra i livelli essenziali delle prestazioni previsti dalla Costituzione.
Oltre che per il detto valore costituzionale, crediamo che tale analisi sia importante anche perché, in forza della vigente legge ambientale Italiana[xxxix], deve essere, contestualmente ed unitariamente, garantita dalla Repubblica la tutela sia dell’ambiente che del patrimonio culturale, anche a mezzo dei principi unionali per la tutela in materia ambientale[xl].
Non avrebbe, peraltro, neanche senso escludere i beni culturali dal novero dei beni comuni giacché sinora, a differenza di altri beni comuni, essi sono stati poco oggetto degli interessi delle multinazionali, come successo, ad esempio, con i bacini idrici (qualche avvisaglia però si è vista con riferimento ai grandi attrattori culturali).
I beni culturali e paesaggistici, dovrebbero essere, invece al contrario, tra i primi beni oggetto della interpretazione giuridico-ecologica dei commons, proprio perché in gran parte oggi in mano pubblica causa la detta scarsa attrazione del capitale privato nel settore (giacchè poco redditivo, almeno sin’ora).
E’ importante premettere alcune osservazioni sulla Convenzione di Faro[xli] che dovrebbe essere a breve recepita dallo Stato Italiano.
Essa prevede alla Parte III disposizioni per la “Responsabilità condivisa nei confronti del patrimonio culturale e partecipazione del pubblico”. All’articolo 12, rubricato “accesso al patrimonio culturale e partecipazione democratica”, il punto e) impegna gli Stati “a riconoscere il ruolo delle organizzazioni di volontariato come soci nelle attività (…)”.
Pertanto, la Convenzione di Faro prevede che le organizzazioni di volontariato debbano essere riconosciute partners (socie) nelle attività per il patrimonio culturale.
Questa previsione partecipativa riecheggia l’articolo 111 del CBC che prevede che alle attività di valorizzazione possano partecipare soggetti privati e l’articolo 144 del Codice dei Beni Culturali che prevede che nei procedimenti di approvazione dei piani paesaggistici siano assicurate la concertazione istituzionale, la partecipazione dei soggetti interessati e delle associazioni portatrici di interessi diffusi e ampie forme di pubblicità[xlii].
Altrettanto prevede UNESCO per la candidatura alla World Heritage List dei siti culturali ovvero forme di governance partenariale per la redazione dei piani di gestione e per la stessa gestione successiva delle attività e dei monitoraggi[xliii].
Questo per quando riguarda la partecipazione.
Per quanto riguarda il tema della gestione l’articolo 11 punto b) della Convenzione di Faro impegna gli Stati “a sviluppare (nella gestione) il contesto giuridico, finanziario e professionale che permetta l’azione congiunta di autorità pubbliche, esperti, proprietari, investitori, imprese, organizzazioni non governative e società civile”, al punto e) “ad incoraggiare organizzazioni non governative interessate alla conservazione del patrimonio ad agire nell’interesse pubblico”.
Dunque, la Convenzione di Faro tra breve impegnerà l’Italia a sviluppare norme (contesto giuridico) per azioni congiunte di parti pubbliche e private nella gestione dei beni culturali. In particolare le ONG verranno “incoraggiate” ad agire nella gestione.
Con riferimento al coinvolgimento (in quanto “partners” nelle attività) delle organizzazioni di volontariato (ONG) nelle attività di gestione, si è già esaminata in dottrina la rivoluzione (silenziosa) occorsa nel settore dei beni culturali in Italia.
Grazie ai richiami di Eurostat[xliv], ufficio della Commissione Europea preposto al rispetto dei vincoli di equilibrio di bilancio del Fiscal Compat, lo Stato ha preso provvedimenti riparatori per evitare che il settore dell’offerta dei servizi museali etc., potesse essere inquadrato tra gli investimenti generatori di entrate ovvero classificato tra i settori cui applicare la normativa sugli aiuti di Stato[xlv].
Il legislatore ha, dunque, eliminato ogni riferimento alle forme di concessione, project finance, PPP, etc. nel settore dei beni culturali dal Codice dei Contratti Pubblici e dall’annesso Regolamento (DM 154/17) al fine di non essere sottoposto a tale possibile criticità[xlvi].
Contemporaneamente, in vari articoli del Codice del Terzo Settore (D.Lgs 117/17)[xlvii] sono state imputate attività di restauro e di valorizzazione culturale agli enti no-profit, prevedendo che le procedure e le forme contrattuali per gli affidamenti in dette attività si incardino sui contratti di sponsorizzazione[xlviii].
Ancora di più, l’art.01 del D.L.146/2015 ha previsto che “in attuazione dell’articolo 9 della Costituzione, la tutela, la fruizione e la valorizzazione del patrimonio culturale sono attività rientrano tra i livelli essenziali delle prestazioni di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione”[xlix].
Si è, dunque, passati da una concezione dell’offerta culturale come economica e di valore di mercato (teoricamente) quantificabile in termini di bancabilità finanziaria (per come tipico nelle forme contrattuali delle concessioni e del project finance) ad una concezione sociale della fruizione culturale quale valore in sé e obbligo costituzionale da fornire ai cittadini quale livello essenziale delle prestazioni[l].
Questo il cambiamento di paradigma del settore culturale Italiano. Tale cambiamento incisivo è stato di recente fatto anche con riferimento ai settori delle cosiddette “tutele differenziate” quali acqua, rifiuti, difesa del suolo, etc[li]..
Gli enti del terzo settore non perseguono ovviamente l’utile ma reinvestono i guadagni al netto delle spese. Non solo. Mentre le multinazionali, grazie alla loro dimensione internazionale superano le leggi degli Stati (e delle connesse responsabilità), laddove non ne determinino la legiferazione, gli enti del terzo settore sono di natura squisitamente locale poiché devono intervenire sulla singola specifica realtà sociale locale.
Cosa necessita per una gestione dei beni comuni culturali da parte di strutture territoriali[lii]?
Premesso che non si può non prevedere “integrazione” programmatica e strategica di essi con altri beni comuni (per come fanno i Gal), occorrerebbe, a nostro avviso, che, per l’applicazione dei principi costituzionali di sussidiarietà, la titolarità e, comunque almeno la gestione, dei beni culturali stessi sia ritrasferita, alle comunità cui essi appartenevano[liii]. Bisognerebbe, dunque, restituire alle comunità la titolarità e/o la gestione[liv] dell’immenso patrimonio che oggi grava sulla finanza pubblica, sottoposta ai vincoli di bilancio ex art.97 della Costituzione[lv], e che, di recente, anche tramite risorse europee e nazionali, è stato acquisito alla mano pubblica, sottraendolo a privati, al fine di effettuare lavori di restauro.
Al di là del fatto che interventi di restauro si sarebbero potuti finanziare con contributi in conto capitale ed interessi anche ai titolari privati di questi beni[lvi], è da tempo aperto il dibattito su come ora gestire questi beni.
Il finanziamento dell’ennesimo museo, in città o aree già sovrabbondanti di un eccessiva offerta museale a fronte di una insufficiente domanda[lvii], è coinciso, in passato, con la gestione di serbatoi di voti clientelari legati alle assunzioni di custodi ed addetti di ogni genere, soprattutto nelle regioni del Sud Italia[lviii].
La detta restituzione alle comunità ed alle funzioni civili dei beni servirebbe, altresì, a contrastare l’offerta di un turismo sin’ora “plastificato”, in favore di un’offerta turistica, oggi residuale, per come detto prima, di “turismo relazionale”[lix] da vivere all’interno delle comunità, fruendo dei suoi beni culturali, ambientali, eno-gastronomici, della sua produzione artistica, etc.. In un mondo post-covid 19, tale restituzione servirebbe, in particolare, all’offerta del patrimonio culturale per finalità educative, di crescita civile e sociale e di promozione culturale ed artistica delle collettività locali.
La gestione di tali beni (se non la titolarità) dovrebbe, dunque, essere ritrasferita[lx], almeno nella gestione, in virtù dei principi di decentramento amministrativo (ex articolo 5 della Costituzione) come anche in ossequio dei principi di sussidiarietà verticale ed orizzontale, differenziazione ed adeguatezza (ex articolo 118 della Costituzione).
Chiaro, il trasferimento alle comunità locali dei beni culturali di titolarità statale o regionale è cosa quanto mai complessa, anche se normato dalle vigenti leggi sul federalismo demaniale (art.5, comma 5, D.Lgs 28 maggio 2010, n. 85 che ha avuto uno scarso successo sinora)[lxi]. E’ vero che sono possibili accordi ai sensi dell’54 comma 4 del CBC in forza del quale i beni culturali possono essere oggetto di trasferimento tra lo Stato, le regioni e gli altri enti pubblici territoriali. Le procedure di trasferimento non sono, però, cosa semplice, per come l’esperienza insegna.
Sarebbe ancora più difficile provare a fare ottenere tale trasferimento della titolarità di beni in capo a soggetti privati ancorchè partecipati da enti pubblici territoriali.
Trattato della necessità di approci sussidiari e integrati su base territoriale per la gestione dei commons culturali, esaminiamo prima quale strumento di governance territoriale sia possibile individuare, poi, il possibile ruolo del MIBACT e delle Regioni quest’ultime in quanto dotate di competenze esclusive (la Regione Siciliana e altre Regioni a Statuto Speciale) e concorrenti (le altre regioni) in materia di valorizzazione (sul patrimonio non statale).
5. Ipotesi per un nuovo strumento di governance territoriale: un tertium genus di fondazione, la “fondazione di comunita’ solidale, ecologica e culturale”
Affrontiamo il tema dello strumento istituzionale che potrebbe consentire a delle comunità date un regime delle relazioni, un’operabilità e una tutela dei diritti di stampo civilistico, ma che consenta, allo stesso tempo, di amministrare beni comuni (di titolarità pubblica) e di avviare azioni ecosostenibili, sociali e solidali.
Durante l’elaborazione normativa in tema di partecipazione l’istituto europeo che ha indicato la strada e ha accompagnato l’evoluzione, con forme giuridiche ed operative di servizio e gestione dei beni pubblici sul territorio, è sempre stato l’istituto giuridico del Gal (Gruppo di Azione Locale)[lxii].
Tale istituto oggi si è rafforzato, diventando da “metodo Leader[lxiii]”, per come è chiamato il programma che, in gran parte, lo finanzia, ad istituto unionale che trova legittimazione normativa nelle previsioni del Regolamento UE 1303/13. Oggi, deputati alla gestione degli strumenti dello “sviluppo locale di tipo partecipativo” (CLLD)[lxiv], i GAL sono i soggetti istituzionali su cui si basa l’approccio territoriale (place-based)[lxv] e partenariale previsto dai regolamenti per la programmazione e spesa delle risorse dei fondi strutturali, oggi SIE[lxvi].
I GAL sono strutture istituzionali nate[lxvii] per favorire lo sviluppo locale, ambientale[lxviii] ed ecosostenibile di un’area rurale. Da più di 25 anni i Gal assurgono al ruolo di “pratica eco-giuridica”[lxix] poiché da sempre hanno promosso lo sviluppo sostenibile delle aree rurali e interventi per l’ambiente e, con la nuova programmazione, anche azioni per il contrasto dei cambiamenti climatici[lxx], esperienze in rete europea per l’economia della condivisione comunitaria (sharing economy)[lxxi], etc..
Nell’esperienza Italiana in tema di Gal sono state individuate, dai territori interessati alle strategie locali, vari forme di assetto giuridico: l’associazione riconosciuta, l’associazione non riconosciuta (anche sotto forma di associazione temporanea di scopo), il consorzio, la società per azioni o srl, società consortile, e, più di recente la fondazione di partecipazione[lxxii].
Il limite del Gal è che esso è, però, uno strumento europeo legato alla spesa delle risorse dei fondi strutturali.
Si tratta oggi di inventare uno strumento territoriale agile ed operante all’insegna del principio di sussidiarietà orizzontale dell’art. 118 comma 4 della Costituzione e non legato, per forza, alle risorse europee.
Uno strumento partecipativo, place-based, di regime civilistico, che può intestarsi gestione e/o titolarità di assets pubblici, dovrebbe, secondo noi, essere un “mix giuridico” tra la fondazione di partecipazione[lxxiii] e i detti GAL.
Seppure non formalmente regolato dal punto di vista civilistico, già esiste un regolamento del Ministero Beni Culturali (D.M. n. 491/2001) in materia di fondazione di partecipazione[lxxiv] ed un ampia casistica in materia. La Regione Siciliana con la legge regionale 26 marzo 2002, n. 2, art. 64 comma 1 è autorizzata, parimenti, a costituire o partecipare a fondazioni nel settore culturale[lxxv].
La “fondazione di partecipazione”, definita a “patrimonio progressivo”, costituisce un modello atipico di persona giuridica privata, di recente teorizzazione dottrinaria ormai pacifica. Essa ha legittimazione giuridica nella previsione “… altre associazioni di carattere privato …” dell’articolo 12 del Codice civile, oggi abrogato, e recepito dall’articolo 1 del Dpr 361/2000. In dottrina si ritiene che l’articolo 1 del Dpr 361/2000, facendo riferimento ad “altre istituzioni di carattere privato”, consenta figure diverse, atipiche ex articolo 1322, comma 2 del Codice civile, dalle associazioni alle fondazioni tipiche, legittimate alla personalità giuridica privata. Ancora, l’articolo 1332 del Codice civile, con l’articolo 45 della Costituzione, favorisce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini speculativi[lxxvi].
A differenza delle fondazioni ordinarie quella in partecipazione consente l’adesione di nuovi soci dopo la costituzione e la partecipazione attiva di essi (ma con Statuto immodificabile): essa unisce, dunque, la caratteristica apertura delle associazioni, con l’elemento patrimoniale caratteristico delle fondazioni, consentendo rapporti efficaci di partnership tra pubblico e privato e tra profit e non profit. Altre caratteristiche della fondazione di partecipazione sono la mancanza di scopo di lucro[lxxvii], l’utilità sociale e l’interesse generale nonché, come detto, la presenza di enti pubblici sia in veste di fondatori sia mediante propri rappresentanti nell’organo di indirizzo e gestione e nell’organo di sorveglianza (essi spesso si attribuiscono un golden share decisionale quali promotori fondatori).
Derivazione della Fondazione di Partecipazione è quella di Comunità. Quest’ultima è più puntata sull’aspetto solidale e, dichiaratamente, appartenente al terzo settore e, dunque, non partecipata da Enti Pubblici.
La Fondazione di Comunità rispetto alla Fondazione di Partecipazione è più destinata a raccogliere donazioni e valorizzarle per il benessere di un determinato territorio e, in taluni casi, a gestire beni pubblici di rilievo locale promuovendo e implementando il Terzo Settore e l’impegno dei cittadini[lxxviii].
La Fondazione di Partecipazione, in quanto partecipata da Enti pubblici, non può appartenere al RUNTS (Registro Unico Nazionale del Terzo Settore) ai sensi dell’art. 4 del D.Lgs 117/17.
Suggeriamo di unire i due strumenti quello della Fondazione di Comunità e quello della Fondazione di Partecipazione, garantendo, però, la gestione ed il controllo privatistico, come nei GAL, e perciò creare un tertium genus di Fondazione.
Tale nuovo strumento, lo chiameremo in modo provvisorio “Fondazione di Comunità Solidale, Ecologica e Culturale (SEC)”, potrebbe essere promosso, creato e diffuso dall’elaborazione dottrinaria ex-art.1322 c.c., come successo per le simili fondazioni di partecipazione e di comunità tout court.
L’unico intervento che dovrebbe, auspicabilmente, fare il legislatore è quello di consentire, però, alle Fondazioni di Comunità S.E.C., gestite e controllate da privati, ma pur tuttavia con partecipazione pubblica degli enti conferenti i beni, di essere classificate quali Enti del Terzo Settore (ETS).
Tale Fondazione SEC si differenzierebbe dalle fondazioni di partecipazione ordinarie poiché, come i GAL, dovrebbe prevedere una gestione in mano ai privati giacché a livello di consiglio di amministrazione “almeno il 50% dei voti spetta ai privati” (tale previsione non c’è per le fondazioni di partecipazione o di comunità)[lxxix]. Tali fondazioni si differenzierebbero da quelle di Comunità poiché, come detto sopra, partecipate attivamente dai soci e aperte all’entrata di nuovi soci.
A tali “Fondazioni di Comunità S.E.C.” si applicherebbe il diritto civile per tutti i rapporti[lxxx], salvo laddove utilizzino risorse pubbliche, per garantire il rispetto delle normative pubblicistiche sui contratti di appalto per opere e servizi pubblici.
Tanto per quanto riguarda il diritto da applicare. Vediamo ora la giurisdizione per la tutela dei diritti ed interessi.
La giurisdizione relativa alle “Fondazioni di Comunità S.E.C. ” competerebbe al giudice civile per tutte le attività di tipo commerciale[lxxxi] e per tutti gli altri rapporti civilistici nessuno escluso.
Unica eccezione, come per i Gal, per quanto riguarda le procedure concorsuali per l’assunzione di dipendenti o consulenti, la competenza spetterebbe al giudice amministrativo[lxxxii]. Stesso ragionamento varrebbe, per come detto sopra in punto di diritto sostanziale, anche per i procedimenti pubblicistici di affidamenti per fornitura beni, lavori o servizi[lxxxiii] su cui, a norma dell’articolo 133 punto c) del D.Lgs 104 del 2010, a ragione del “pubblico servizio”, sussiste una giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.
Per il resto, la “Fondazione di Comunità S.E.C.” sarebbe una struttura partenariale a gestione privatistica, disciplinata in modo snello nei rapporti negoziali e commerciali dal diritto privato così come nella difesa in giudizio. La “Fondazione di Comunità S.E.C.” predisporrebbe un bilancio civilistico per dare conto della finalità di servizio pubblico e/o di gestione di beni pubblici predestinata in statuto.
La natura squisitamente privatistica non farebbe sì, però, che esse, come i Gal, non possano gestire opere e servizi relativi ai beni comuni[lxxxiv]. Per queste attività funzionali, le “Fondazioni di Comunità S.E.C.”, quali enti spuri, dovrebbero configurarsi quali “Organismi di diritto pubblico”[lxxxv] di cui all’art.2 punto 1. 1) e 4) della Direttiva 2014/24/UE (recepita nell’attuale Codice dei Contratti Pubblici (art. 3 punto 1. a) e d) del D.Lgs 50/16 e smi)[lxxxvi]
A norma del citato articolo 3 punto 1. a) e d) del D.Lgs 50/16 e smi, infatti, l’organismo di diritto pubblico[lxxxvii]: 1) è istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale[lxxxviii]; 2) è dotato di personalità giuridica; 3) è finanziato in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la sua gestione è soggetta al controllo di questi ultimi oppure il suo organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza è costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico[lxxxix].
Le “Fondazioni di Comunità S.E.C.” corrisponderebbero a tutti i punti dell’articolato, ovvero, sarebbero istituite per soddisfare esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, e sarebbero dotate di personalità giuridica, oltre ad essere finanziate in modo prevalente dalle parti pubbliche (ma senza quota pubbliche maggioritarie di controllo o decisionale)[xc].
La giurisprudenza di merito ha, inoltre, osservato che al fine della succitata qualificazione rilevano gli interessi pubblici non industriali soddisfatti e non l’astratta configurazione giuridica: (…) Appare evidente come l’elemento fondante dell’organismo di diritto pubblico sia appunto quello riconducibile alla rilevanza degli interessi generali perseguiti, in rapporto ai quali non può venire meno una funzione di controllo (…)[xci] “la natura giuridica dell’ente resistente non implica, di per sé, l’impossibilità di qualificare i relativi atti come provvedimenti amministrativi”[xcii]; “ai fini della qualificazione come organismo di diritto pubblico non è sufficiente il requisito che il soggetto sia istituito per soddisfare specificatamente esigenze di carattere generale, ma occorre che tali esigenze siano perseguite operando con metodo non economico, ovvero senza rischio d’impresa”[xciii].
In ordine alle dette funzioni di servizio pubblico per lo sviluppo locale, ancora la giurisprudenza afferma: “l’attività dell’organismo di diritto pubblico deve avere carattere non industriale o commerciale. La presenza di tale carattere è desunta dalla connotazione “interna” dell’assetto societario e dalla esistenza di relazioni finanziarie con l’ente pubblico che assicurano la dazione di risorse in grado di consentire la permanenza sul mercato dell’organismo”[xciv].
Chiudiamo il paragrafo con un osservazione non giuridica, relativa all’efficienza ed efficacia delle azioni svolte dalle agenzie di sviluppo locale (o strumenti similari quali le qui ipotizzate Fondazioni di Comunità S.E.C.) improntate su un’agilità gestionale civilistica[xcv]. In dottrina è stato dimostrato come, con pochissime risorse sia di personale che in conto gestione, le agenzie di sviluppo locale abbiano dimostrato alta capacità di gestione e spesa delle risorse con commendevoli risultati comparati rispetto alle pari funzioni svolte da elefantiache strutture ministeriali o regionali. Tanto sia dal punto di vista del coinvolgimento collettivo quanto della pressoché nulla conflittualità giudiziaria (deflazione del contenzioso) che del quasi inesistente contributo alle statistiche europee sulle frodi nella gestione delle risorse[xcvi].
Trattato sinteticamente dello strumento partecipativo e partenariale meglio attrezzato a gestire i commons, esaminiamo le tematiche relative alla gestione di quelli culturali.
6. Ruolo del mibact e delle regioni : le convenzioni
Rispetto alla sopra prospettata ipotesi di trasferimento della titolarità dei beni, diverso ragionamento vale per accordi di valorizzazione e fruizione ex art.102 comma 4 e art. 112 comma 4 e ss.C.b.c., o piani strategici di sviluppo culturale, tra enti locali, il MIBACT e/o le Regioni ed altri enti pubblici e privati per il trasferimento della gestione dei beni in titolarità degli enti pubblici. Per tali funzioni di fruizione e valorizzazione già esiste la normativa che consentirebbe la gestione diretta a soggetto partecipato dal MIBACT e/o dalle Regioni (ex-art.115 comma 2 del D.Lgs 42/04 e smi) e per questo, dunque, dotate di adeguata autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile.
Ovvero il MIBACT e le Regioni potrebbero su base convenzionale con gli enti locali, pubblici e privati locali, istituire e/o concorrere ad istituire soggetti cui essi partecipino e che potrebbero essere, pertanto, beneficiari della gestione diretta.
Senza ledere il dettato costituzionale che assegna la competenza della valorizzazione alle Regioni, basterà applicare il combinato disposto degli articoli 112 4° comma e 9° comma e art.115 del D.Lgs 42/04 e smi al fine di pervenire con le comunità, “su base subregionale, in rapporto ad ambiti territoriali definiti” per come recita il 4° comma dell’articolo 112, ad: 1) accordi di valorizzazione, 2) piani strategici di sviluppo culturale, 3) accordi per servizi strumentali comuni destinati alla fruizione e alla valorizzazione di beni culturali, 4) accordi per forme consortili non imprenditoriali per la gestione di uffici comuni, 5) accordi di valorizzazione con le associazioni culturali o di volontariato.
Altrettanto vale a noma dell’art. 102 del D.Lgs 42/04 e smi per accordi di fruizione dei beni culturali con le stesse comunità locali (“accordi nell’ambito e con le procedure dell’articolo 112”).
A tali accordi, anche all’interno di “soggetti giuridici” (5 comma), potranno essere associati i privati possessori di beni di proprietà privata[xcvii], previo consenso degli stessi, e persone giuridiche private senza fine di lucro, anche quando non dispongano di beni culturali che siano oggetto della valorizzazione, a condizione che l’intervento in tale settore di attività sia per esse previsto dalla legge o dallo statuto (art.112 comma 8).
Le persone giuridiche private senza fine di lucro[xcviii], abbiamo visto sopra, potrebbero essere altri “organismi di diritto pubblico” quali altre fondazioni.
Le “Fondazioni di Comunità S.E.C.”, nate dai detti accordi di valorizzazione col MIBACT e/o con le Regioni, anche quando non dispongano dei beni culturali che siano oggetto della valorizzazione, potranno, comunque, procedere ad ulteriori accordi di valorizzazione a condizione che l’intervento in tale settore di attività sia per esse previsto dallo statuto.
Come detto sopra, oltre al richiamo fatto dall’articolo 112 comma 9 del D.Lgs 42/04, anche il Codice del Terzo Settore prevede simili accordi di valorizzazione per le associazioni del volontariato[xcix] e gli altri enti del terzo settore[c].
Ultimo tassello che manca: oltre ai citati articolati del Codice dei Beni Culturali, su quale disposizione della contrattualistica pubblica potrebbero essere incardinati detti accordi di valorizzazione e fruizione prevedenti la cessione della gestione? Serve forse che i candidati soci privati vincano un bando di concessione[ci] per partecipare alla Fondazione di Comunità S.E.C.[cii]?
No, non serve alcun bando. I soci privati sono elencati da legge all’art.112 C.b.C..
Serve che le Fondazione di Comunità S.E.C. partecipate dal MIBACT e/o dalle Regioni vincano un bando per la gestione diretta dei beni?
Attesa la natura della “Fondazioni di Comunità S.E.C.” quale organismo di diritto pubblico, esse potrebbero procedere ad accordi, anche accessori agli stessi accordi di valorizzazione, per la gestione diretta ex comma 2 dell’art.115 C.B.C. con il socio Ministero dei Beni Culturali (o con le Regioni).
Tali accordi sono incardinati sul combinato disposto degli articoli 3 comma 1 d) e dell’articolo 30 comma 8 del Codice dei Contratti Pubblici nonché dell’art.15 comma 1 della L.241/90.
Ovvero, classificate le “Fondazioni di Comunità S.E.C.” come organismi di diritto pubblico, esse sono a tutti gli effetti “amministrazioni aggiudicatrici” cui si applica il Codice Contratti. Quest’ultimo all’art. 30 comma 8 prevede che “per quanto non espressamente previsto nel presente codice e negli atti attuativi, alle procedure di affidamento e alle altre attività amministrative in materia di contratti pubblici si applicano le disposizioni di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241”.
Si applicherebbe, pertanto, l’art.15 della stessa legge 241/90 che consentirebbe alle “Fondazioni di Comunità S.E.C.” di procedere ai detti accordi con il Ministero dei Beni Culturali e con le Regioni.
Inoltre, ai sensi dell’articolo 5 comma 6 del Codice Contratti gli “accordi conclusi esclusivamente tra due o più amministrazioni aggiudicatrici (quali sarebbero le “Fondazioni di Comunità S.E.C.” come organismo di diritto pubblico) non rientrano nell’ambito di applicazione del Codice Contratti, quando sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni: a) l’accordo stabilisce o realizza una cooperazione tra le amministrazioni aggiudicatrici partecipanti, finalizzata a garantire che i servizi pubblici che essi sono tenuti a svolgere siano prestati nell’ottica di conseguire gli obiettivi che essi hanno in comune; b) l’attuazione di tale cooperazione è retta esclusivamente da considerazioni inerenti all’interesse pubblico; c) le amministrazioni aggiudicatrici svolgono sul mercato aperto meno del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione”.
Come visto prima, una Fondazione di Comunità S.E.C. non svolge sul mercato alcuna attività giacché la sua attività rimane nell’ambito delle attività non economiche e non incidenti sugli scambi tra gli Stati membri previste dalla normativa europea sugli aiuti di Stato e di cui alla normativa di esenzione prevista dall’art.53 del Reg.UE 651/14 e soprattutto dal considerando 72 dello stesso Regolamento. In proposito, è importante notare che al punto 207 della Comunicazione 262 del 2016 la Commissione ha dato un interpretazione precisa della fattispecie dei servizi aggiuntivi, oggi servizi al pubblico, di cui all’art. 117 C.b.C. negli istituti e luoghi della cultura. La Commissione ha ritenuto che di norma il finanziamento pubblico concesso ai servizi (come ristoranti, negozi o parcheggi a pagamento) forniti nell’ambito di attività culturali e di conservazione del patrimonio a carattere non economico (ad esempio, il negozio, il bar o il guardaroba a pagamento in un museo) non abbia, generalmente, alcuna incidenza sugli scambi tra Stati membri. Al punto 36 della stessa Comunicazione la Commissione ha precisato che molte attività culturali o di conservazione del patrimonio risultano oggettivamente non sostituibili e si può, pertanto, escludere l’esistenza di un vero mercato. Secondo la Commissione, anche tali attività dovrebbero essere considerate di carattere non economico.
Dunque, tanto premesso, le amministrazioni aggiudicatrici che si occupano della gestione dei luoghi della cultura non svolgono sul “mercato aperto” alcuna attività. Si realizza, in altri termini, la condizione di cui all’articolo 5 comma 6 del Codice dei Contratti Pubblici. E’, dunque, possibile realizzare accordi tra amministrazioni aggiudicatrici, tra esse le Fondazioni di Comunità S.E.C. quali organismi di diritto pubblico, al fine della valorizzazione, fruizione e gestione diretta dei luoghi della cultura.
Pertanto, tali amministrazioni aggiudicatrici, tra esse le qui previste Fondazioni di Comunità S.E.C., possono contrarre con il MIBACT e/o con le Regioni accordi di valorizzazione e progettare piani strategici di sviluppo culturale, su base subregionale, in rapporto ad ambiti territoriali definiti, per come recita il 4° comma dell’articolo 112 C.b.C., e sulla scorta di tali accordi essere affidatari della gestione diretta purché dotate di adeguata autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile, e provviste di idoneo personale tecnico. In tal senso, appunto la necessità che alle stesse Fondazioni partecipino le strutture periferiche del MIBACT e e/o le strutture competenti delle Regioni, e degli altri enti pubblici coinvolti al fine di dotarle delle citate competenze scientifiche, organizzative, finanziarie e contabili.
Ricordiamo in proposito che, ai sensi del Considerando 5 della Direttiva 2014/23/UE (“concessioni”), è affermato “il diritto degli Stati membri e delle autorità pubbliche di decidere le modalità di gestione ritenute più appropriate per l’esecuzione di lavori e la fornitura di servizi”. In particolare, la direttiva riafferma “la libertà degli Stati membri e delle autorità pubbliche di eseguire lavori o fornire servizi direttamente al pubblico o di esternalizzare tale fornitura delegandola a terzi”. Il MIBACT e/o le Regioni sono liberi, dunque, di fornire servizi a mezzo delle Fondazioni di Comunità a gestione diretta[ciii].
In occasione di tali patti di valorizzazione si potrebbero, inoltre, aggiornare vincoli di tipo regolamentare alle comunità, vincoli che dovrebbero stabilire le direttive per le attività di valorizzazione[civ] e fruizione a carico delle “Fondazioni di Comunità S.E.C.”[cv], fermo restando l’esercizio statale degli obblighi di tutela, previsti dalla Costituzione agli articoli 9 e 117, 2° comma punto s).
L’attività regolatoria dovrebbe essere, però, a carico delle “Fondazioni di Comunità S.E.C.” stesse per principi di autodeterminazione delle stesse, all’interno dei principi fissati dallo Stato.
Inoltre, va precisato che una “Fondazione di Comunità S.E.C.”, allorché dovesse svolgere attività di valorizzazione di un bene culturale pubblico conferitole dal MIBACT e/o dalle Regioni che a essa è/sono partecipe/i, si dovrebbe considerare organica al Ministero/Regioni poichè farebbe parte del suo/loro bilancio consolidato[cvi]: partecipare, dunque, ad una “Fondazione di Comunità S.E.C.” non sarebbe una diminuzione di valore per il MIBACT e/o per le Regioni. Stessa considerazione vale per ogni altro ente pubblico.
Tornando sul tema della gestione diretta, osserviamo che lo studioso Tarasco[cvii] ha ipotizzato di lasciare alla gestione diretta al Ministero i primi 30 luoghi della cultura per fatturato.
Tale idea potrebbe essere qui applicata: ovvero i primi trenta luoghi della cultura per fatturato rimarrebbero alla gestione diretta ministeriale, mentre gli altri “minori” sottoutilizzati[cviii] potrebbero essere concessi in via diretta a “soggetti non lucrativi ovvero comunità locali di cui sono espressione gli enti locali”[cix], nella ns ipotesi Fondazioni di Comunità S.E.C., a canone da concordare, all’interno del succitato complessivo accordo di valorizzazione/fruizione e/o piano strategico di sviluppo culturale ex art.102 comma 4 e art. 112 comma 4 e ss.C.b.c..
Sempre riprendendo l’autorevole dottrina sopraccitata, la Fondazione di Comunità potrebbe in seconda fase per le “strutture di non preminente interesse nazionale, la cui vocazione redditizia può essere disvelata solo da imprese del settore” (ovvero dopo la valutazione comparativa[cx] di cui all’art. 115, comma 4, C.b.C.) emanare bandi pubblici per l’affidamento in concessione ad imprese, sulla base di specifici piani economici finanziari, che comunque dimostrino l’equilibrio economico della gestione, a norma dell’art. 180 comma 6 del Codice Contratti Pubblici. Ovviamente, i beni di esclusivo interesse locale, ovvero scarsamente visitati, rimarrebbero in gestione diretta della Fondazione di Comunità S.E.C. per finalità di promozione, educazione e crescita culturale.
All’interno degli accordi di valorizzazione, si potrebbero, altresì, inserire sperimentalmente obblighi a carico delle Fondazioni per l’incremento della redditività della gestione per l’ottemperamento degli obblighi di equilibrio di bilancio e sostenibilità del debito pubblico cui all’art.97 comma 1 della Costituzione. Di seguito se ne fa cenno rimandando alla dottrina in nota per ogni approfondimento: “rivedere il rendimento delle concessioni d’uso di beni e delle riproduzioni di beni culturali, ivi inclusa, la concessione a terzi, a titolo oneroso, dell’uso di beni culturali in occasione di mostre ed esposizioni (c.d. loan fees), registrando quali marchi i segni desunti dal patrimonio culturale (inclusi i loghi museali) e che possono essere concessi in uso a terzi mediante licenza, incentivando le sponsorizzazioni, introducendo il principio di remuneratività dei servizi amministrativi e materiali resi dalle diverse amministrazioni”[cxi].
A tal fine, all’interno degli accordi di valorizzazione con le comunità locali potrebbe, infine, trovare posto l’istituzione, almeno sperimentale, di un Agenzia Nazionale del Patrimonio Culturale Pubblico[cxii], quale soggetto terzo competente, a livello nazionale per motivi di uniformità di criteri, alle specifiche valutazioni economico-finanziarie necessarie per gli obblighi di redditività sopraccennati nonché al fine di “rilevare con esattezza le entrate, curando la comunicazione pubblica di acquisti e incentivi delle donazioni e dei lasciti testamentari, di esigere la riscossione dei canoni concessori per la riproduzione di beni culturali, verificando, anche a mezzo di idonea attività ispettiva, le illecite riproduzioni di beni culturali; di elaborare proposte per le migliori politiche dei prezzi di biglietti di ingresso e dei canoni di concessione; (…) di dare impulso alle proposte di sponsorizzazione (…), di curare il deposito di marchi commerciali desunti da segni del patrimonio culturale da offrire successivamente in uso a terzi dietro licenza onerosa, di elaborare strategie commerciali[cxiii]”.
Si potrebbe, dunque, attesa la già presente massiccia disponibilità di patrimonio culturale di pregio, anche se minore, in titolarità MIBACT e/o e/o delle Regioni, procedere prototipalmente a testare qualche esperimento pilota di costituzione di “Fondazioni di Comunità S.E.C.” deputate alla gestione di attività di valorizzazione e fruizione di beni culturali e paesaggistici “minori”.
Anche la programmazione 2021-2027 afferma e sostiene il principio della gestione territoriale e sussidiaria delle politiche di sviluppo locale, rendendo anzi obbligatorio tale approccio nell’Obiettivo di Policy 5 destinato tra gli altri anche alla cultura.
Altro punto che indirizza verso una maggiore territorializzazione dell’offerta culturale è quello della nuova regolamentazione europea delle politiche di coesione 2021-2027.
7. Regolamenti per le politiche di coesione 2021-2027 – sintesi
Il 13 dicembre 2019 la Presidenza del Consiglio dell’Unione Europea ha inviato al CO.RE.PER (Comitato dei Rappresentanti Permamenti) un rapporto sul pacchetto legislativo della Politica di Coesione relativo al FESR[cxiv].
Esso seguiva alla proposta adottata dalla Commissione il 30 maggio 2018[cxv] sullo stesso fondo, a quella del Consiglio Economico e Sociale e di quella del Comitato delle Regioni che hanno rimesso le loro opinioni, rispettivamente, il 18 ottobre 2018 e il 5 dicembre 2018.
Il Parlamento Europeo, in prima lettura, si è espresso il 27 marzo 2019. Sul tema in trattazione, si segnala che mentre la proposta della Commissione all’articolo 2 punto e)[cxvi] lettera ii) prevedeva di valorizzare il patrimonio culturale nelle aree rurali e costiere “anche” attraverso CLLD (community-led local development o sviluppo locale di tipo partecipativo), con emendamento 59 il Parlamento Europeo cancella la parola “anche” e rimanda ai punti a), b) e c) della proposta di Regolamento CPR e cioè: a) investimenti territoriali integrati; (b) sviluppo locale di tipo partecipativo; (c) un altro strumento territoriale.
Si segnala, ancora, che la Commissione Europea ha apportato, a gennaio 2020, modifiche alla sua prima proposta sopramenzionata al fine di integrare le proposte legislative e di bilancio già presentate per il 2021-2027 con il Fondo per una transizione giusta (JTF)[cxvii].
Al punto 19) si modifica l’articolo 25 della proposta di regolamento CPR, sostituendo il paragrafo 1 con il seguente: “1. Il FESR, il FSE+, il JTF e il FEAMP possono fornire sostegno allo sviluppo locale di tipo partecipativo”.
Infine, si segnala che in due considerando espressi dal Parlamento Europeo risulta che (considerando 28) lo sviluppo territoriale integrato deve ricevere almeno il 5% delle risorse FESR e che (a norma del considerando 29) l’obiettivo del Regolamento è rinforzare la coesione attraverso un approccio orientato ai cittadini e a supportare i CLLD e la cittadinanza attiva.
In sintesi, nella nuova programmazione 2021-2027[cxviii] sono, dunque, necessari, per la programmazione, gestione, attuazione e controllo di primo livello, degli strumenti di sviluppo territoriale previsti obbligatoriamente per l’attuazione dei programmi operativi attuativi della politica di coesione europea nel settore culturale dall’Obiettivo di Policy 5[cxix]”.
Dopo avere sintetizzato lo stato della negoziazione europea sul pacchetto legislativo per la nuova programmazione delle politiche di coesione, negoziazione oggi integrata dalle trattative per il Recovery Plan, aggiungiamo in conclusione che è ragionevole supporre che le modifiche alle attuali proposte regolamentari, sinora esitate nel trilogue, interesseranno, verosimilmente (siamo quasi a metà 2020!) solo gli aspetti finanziari, per come ha osservato anche il Consiglio Europeo il 13 dicembre 2019. Nel recente Recovery Plan la Commissione ha, infatti, annunciato che l’attuazione del quadro finanziario pluriennale 2021-2027 avrà inizio a gennaio 2021[cxx].
8. Esiti del confronto partenariale sugli strumenti territoriali per la cultura
Il Dipartimento Politiche di Coesione della Presidenza del Consiglio ha sintetizzato in un documento gli esiti del confronto partenariale nazionale sulla programmazione della politica di coesione 2021-2027 in ordine al tavolo 5 “Un’Europa più vicina ai cittadini”.
Nella sintesi si legge che le iniziative di sviluppo locale (strategie territoriali) potranno essere finanziate dai programmi operativi (uno o più) sia attraverso assi/priorità OP5-FESR sia attraverso assi/priorità per gli altri OP (1,2, 3 e 4) con contributi di fondi FESR e FSE+10, nonché del FEASR[cxxi].
Accanto agli strumenti territoriali già considerati dai regolamenti per il 2014-2020 (Investimenti territoriali integrati – ITI, e Sviluppo locale partecipativo – CLLD) è previsto (art. 22 CPR) di poter utilizzare anche uno strumento territoriale disegnato e disciplinato dallo Stato Membro (SNAI Aree Interne).
Sebbene l’impostazione regolamentare preveda (come in passato) che le strategie locali e i loro meccanismi di finanziamento costituiscano una programmazione di secondo livello rispetto ai programmi operativi, il formato di definizione di questi (allegato V al CPR) prevede, nel modello di Programma operativo, informazioni essenziali sulla dimensione finanziaria e sulle modalità di implementazione delle strategie locali per tipologia di territorio. Pertanto, l’impostazione regolamentare suggerisce di “considerare le scelte di finanziamento di strategie locali in modo non generico congiuntamente alla definizione dei programmi”, sebbene l’impostazione regolamentare “per il 2021-2027 (così come quella precedente) non preveda la possibilità di finanziare direttamente gli Strumenti Territoriali quale strumento di programmazione di primo livello dei Fondi”.[cxxii]
Ancora il documento continua scrivendo: “Per ridurre i tempi e semplificare gli strumenti territoriali, il Tavolo si è poi espresso per continuare, migliorandolo dal punto di vista tecnico e amministrativo, l’approccio in corso nel 2014-2020, ovvero nelle città, con il ruolo di Organismi Intermedi, e dunque con una delega gestionale molto spinta da parte delle AdG; nelle Aree Interne attraverso l’aggregazione permanente dei piccoli comuni che le compongono[cxxiii]”.
Infine il DPCOE prevede ancora che saranno le Regioni le principali titolari delle scelte sugli Strumenti territoriali, “dall’impegno a procedere all’identificazione delle coalizioni locali da sostenere, all’aggiornamento delle ST già nel corso del 2020, in parallelo alla definizione dei Programmi Operativi”.
9. Perimetro di analisi giuridica : a.strumenti di raccordo istituzionale e territoriale per il ministero
Il Consiglio di Stato nell’esprimere parere sullo schema di riorganizzazione del MIBAC, aveva suggerito di valutare “se, nella piena salvaguardia dei rispettivi ambiti di competenza”, non si ritenesse utile la “costituzione di eventuali luoghi istituzionali (conferenze, organismi o altre figure organizzative) volti a favorire (…) il raccordo ed il coordinamento tra l’azione dei diversi organi del Ministero e quella delle Autorità Regionali e Locali”[cxxiv].
Anche in dottrina[cxxv] la Barbati ha osservato che, al di là delle competenze della DG Musei cui è stato demandato il coordinamento con le Regioni e con gli altri enti pubblici e privati interessati dai progetti di valorizzazione del patrimonio culturale e la predisposizione delle Intese Istituzionali di Programma Stato-Regioni, (lettere e) e g) comma 2, art. 20 DPCM 171/14), ora art. 18 del DPCM 69/2019, il Ministero è, in atto, privo di sedi organizzative capaci di assicurare un efficace raccordo con le autonomie anche e soprattutto ai fini dell’incardinamento degli strumenti di programmazione negoziata quali le intese istituzionali di programma ed accordi di programma. Il che è un controsenso rispetto all’impianto federale successivo alla riforma del Titolo V, oggi vieppiù confermato dalla bocciatura del referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 nonché dal nuovo regionalismo differenziato[cxxvi].
La stessa dottrina sopra richiamata ha perciò auspicato il ripristino del dispositivo degli articoli 154 e 155 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n.112, abrogati dall’art.6 comma 1, lett.a) del decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 156, relativi alla Commissione per i beni e le attività culturali. Importante notare è che la previsione delle competenze e della composizione di tale Commissione, di cui agli articoli 154 e 155 del Decreto Legislativo 31 Marzo 1998, n.112, è sostanzialmente diversa da quella dell’attuale Commissione Regionale per il patrimonio culturale prevista dall’art. 47 del DPCM 169/2019.
Mutatis mutandis, medesima funzione delle Commissioni per i beni e le attività culturali, a livello subregionale per come previsto dagli articoli 22,23, 24 e 25 della proposta di regolamento CPR in ordine alle strategie territoriali, dovrebbero svolgerla i sopraccitati strumenti territoriali, seppure con competenze non limitate al solo monitoraggio e pareri (ex-art.155 del Dlgs 112/98) ma estese alla programmazione ed attuazione.
10. Perimetro di analisi giuridica: b. Possibili strumenti territoriali idonei alla partecipazione dello stato – non configurabilita’ di conflitti di interesse
Rimane ora da vedere con quale strumento giuridico pratico si potrà sostanziare una partecipazione proattiva, e non solo simbolica, da parte del Ministero Beni, Attività Culturali e Turismo alla nuova programmazione territoriale, che al contempo garantisca l’approccio partenariale “dei cittadini” previsto dall’OP5.
Un ulteriore tema è quello di non disperdere il patrimonio di esperienze e conoscenze acquisito nella programmazione 2014-2020 riorientando la gestione delle risorse su base territoriale, ma mantenendo un coordinamento centrale.
I punti di partenza di tale analisi, dovrebbero essere, secondo noi, il citato art. 23 della proposta del CPR 2021-2027 che prevede che per le strategie territoriali si definisca la descrizione del coinvolgimento dei partner alla preparazione e all’attuazione della strategia, il considerando 29) a termini del quale l’obiettivo del Regolamento è rinforzare la coesione attraverso un approccio orientato ai cittadini e a supportare i CLLD e la cittadinanza attiva nonché l’art. 4 del Regolamento Delegato (UE) n. 240/2014 della Commissione del 7 gennaio 2014 sul partenariato pertinente per i programmi operativi.
Analizziamo meglio quest’ultimo articolato.
I partner pertinenti sono: a) le autorità regionali, locali, cittadine e le altre autorità pubbliche competenti, (…) b) le parti economiche e sociali, tra cui: i) organizzazioni delle parti sociali riconosciute a livello nazionale o regionale (…) ii) camere di commercio nazionali o regionali e associazioni imprenditoriali (…), iii) altri organismi analoghi a livello nazionale o regionale; c) organismi che rappresentano la società civile, quali partner ambientali, organizzazioni non governative e organismi di promozione dell’inclusione sociale, della parità di genere e della non discriminazione, tra cui: i) organismi che operano nei settori connessi all’uso previsto dei fondi SIE che contribuiscono al programma e all’applicazione dei principi orizzontali (…); ii) organismi che rappresentano i Gruppi di Azione Locale di cui all’articolo 34, paragrafo 1, del regolamento (UE) n. 1303/2013; iii) altre organizzazioni o gruppi (…) in particolare gruppi considerati a rischio di discriminazione e di esclusione sociale.
Per come si vede l’elenco dei partners pertinenti è vasto e composito. Occorre, dunque, trovare uno strumento che possa coinvolgere a livello istituzionale tutti i partners pertinenti sopraccitati, ivi compresi gli organismi che rappresentano i GAL, nella elaborazione ed attuazione delle strategie.
Il GAL stesso, in proposito, è uno strumento interessante poiché a norma dell’art. 34 comma 1 del Reg.1303/13 “elabora ed attua le strategie CLLD”: medesima espressione è ripetuta nelll’art. 27 comma 1 della proposta di regolamento CPR. La proposta di regolamento FESR all’articolo 2 punto e) lettera ii) come visto prevede che l’OP 5 si attui anche tramite CLLD.
Orbene, esclusi gli I.T.I. o gli strumenti nazionali SNAI per i motivi descritti nel precedente paragrafo, a nostro avviso, l’unico strumento che meglio risponde alle caratteristiche descritte in premessa è il GAL.
Esso, da una parte, consente di fare partecipare tutti i soggetti previsti dal Reg.Del.UE 240/14, dall’altra, consente di elaborare ed attuare le stesse strategie territoriali. Inoltre, a differenza dei soggetti giuridici di cui al comma 5 dell’art. 112 C.b.C., i GAL possono sia programmare che gestire.
Rimane da affrontare il problema della partecipazione MiBACT ai Gal (con gestione territoriale ma coordinamento centrale).
Per prudenza estrema[cxxvii], analizziamo la eventuale sussistenza di conflitti di interesse tra Ministero e GAL ovvero conflitto tra la sfera di azione del controllore e quello del controllato.
Come visto sopra, è previsto che gli strumenti territoriali siano scelti dalle Regioni.
Dunque, i GAL, quali organismi intermedi scelti dalle Regioni per l’attuazione dei CLLD, avranno evidenti conflitti d’interesse con la Regione (i.e. la Direzione Generale regionale competente) ove insiste l’Autorità di Gestione del Programma Operativo Regionale o del Piano Sviluppo Rurale Regionale che li ha finanziati.
Medesimo conflitto di interesse non avrebbe però il MiBACT in quanto non sarà (per come ovvio) ADG deputata alla selezione ed inserimento degli ITI, CLLD o degli altri strumenti territoriali nei rispettivi programmi operativi regionali.
Il MiBACT può dunque partecipare ai GAL.
Fermo resta, che la suddetta non configurabilità di conflitto d’interesse per la partecipazione del MiBACT a GAL sussisterebbe nei confronti delle Autorità di Gestione regionali che dovranno comunque effettuare le valutazioni selettive dei CLLD da inserire nei Programmi Operativi (per come prevede il documento DPCOE sopraccitato).
Nel caso, invece, dovesse essere riconfermato il PON Cultura e Sviluppo anche per la programmazione 2021-2027, al di là della selezione dei CLLD a carico delle Regioni, non sussisterebbe problema per il finanziamento del progetto o della specifica attività con il futuro PON, come il caso della Fondazione Museo Egizio, cui partecipa il MiBACT, conferma.
11. Quale forma giuridica per la partecipazione del mibact e accordi di valorizzazione
Come detto sopra, nell’esperienza Italiana in tema di Gal sono state individuate, dai territori interessati alle strategie locali, tra le forme di assetto giuridico le fondazione di partecipazione[cxxviii].
Sul tema, per motivi di brevità, si consenta rimandare al paragrafo precedente n.5.
Anche al fine della programmazione di Strumenti Territoriali sotto forma di CLLD, suggeriamo di procedere alla promozione di accordi di valorizzazione e fruizione ex art.102 comma 4 e art. 112 commi 4° e 9° C.b.c., e/o a piani strategici di sviluppo culturale, tra enti locali, il MiBACT ed altri enti pubblici e privati per avviare la programmazione territoriale 2021-27.
Tali accordi prevederebbero, dunque, nella modalità CLLD, la programmazione della strategia territoriale e la costituzione di un GAL (sotto forma giuridica di Fondazione di Comunità SEC) ex art. 25 comma 2 punto b) della proposta di regolamento CPR.
Ovvero il MiBACT potrebbe su base convenzionale con gli enti locali, pubblici e soggetti privati locali, istituire / concorrere ad istituire soggetti cui esso parteciperebbe e che potrebbero essere, pertanto, promotori della nuova programmazione strategica territoriale.
Nelle more della finale approvazione e dell’avvio della nuova programmazione, tali accordi di valorizzazione/fruizione e piani strategici di sviluppo culturale potranno costituire la base fondativa per le strategie territoriali di cui all’art. 23 della proposta di regolamento CPR.
Competente alla stipula degli accordi di valorizzazione a norma dell’art. 18 comma punto e) del DPCM 169/2019 è la Direzione Generale Musei che svolge “funzioni di indirizzo e controllo in materia di valorizzazione del patrimonio culturale statale, individuando gli strumenti giuridici adeguati ai singoli progetti di valorizzazione e alle realtà territoriali in essi coinvolte”.
Rimandiamo al precedente paragrafo n.6 per ogni approfondimento in tema di accordi di valorizzazione e fruizione ex art.102 comma 4 e art. 112 commi 4° e 9° C.b.c..
12. Accordi tra pubbliche amministrazioni per iti e altri strumenti territoriali
Esaminiamo ora il caso degli Strumenti Territoriali sotto forma di I.T.I. Investimenti Territoriali Integrati (ex-art.24 della proposta di regolamento CPR) e altri Strumenti Territoriali Nazionali (quali le SNAI).
I Gal /Fondazioni di Comunità S.E.C. possono promuovere e/o partecipare ad accordi tra pubbliche amministrazioni per l’elaborazione ed attuazione delle strategie territoriali urbane o SNAI?
Attesa la natura dei GAL/Fondazioni di Comunità S.E.C., quali organismi di diritto pubblico, essi potrebbero procedere ad accordi tra pubbliche amministrazioni, comunque coerenti con gli accordi di valorizzazione di cui al superiore paragrafo.
Tali diversi accordi potrebbero essere incardinati sul combinato disposto degli articoli 3 comma 1 d) e dell’articolo 30 comma 8 del Codice dei Contratti Pubblici nonché dell’art.15 comma 1 della L.241/90.
Ovvero, classificate le “Fondazioni di Comunità S.E.C.” come organismi di diritto pubblico, esse sono a tutti gli effetti “amministrazioni aggiudicatrici” cui si applica il Codice Contratti.
Come detto prima, applicando il combinato disposto dell’articolo 5 comma 6 del Codice Contratti, dell’art. 30 comma 8 dello stesso Codice e dell’art.15 della legge 241/90 i “GAL/Fondazioni di Comunità S.E.C.” potrebbero procedere ai detti accordi con il Ministero dei Beni Culturali e con le Regioni.
Ripetiamo, un GAL/Fondazione di Comunità S.E.C. non svolgerebbe sul mercato alcuna attività giacché la sua attività rimarrebbe nell’ambito delle “attività non economiche” e “non incidenti sugli scambi tra gli Stati membri” previste dalla normativa europea sugli aiuti di Stato e di cui alla normativa di esenzione prevista dall’art.53 del Reg.UE 651/14 e soprattutto dal considerando 72 dello stesso Regolamento.
Si confermerebbe ancora la condizione di cui all’articolo 5 comma 6 del Codice dei Contratti Pubblici.
E’, dunque, possibile realizzare accordi tra amministrazioni aggiudicatrici, comprensive anche dei GAL/Fondazioni di Comunità S.E.C. quali organismi di diritto pubblico, al fine della valorizzazione e fruizione degli istituti e luoghi della cultura.
Competente alla stipula degli accordi tra PA sono i Segretariati regionali che, salvo che per Sicilia, Trentino Alto Adige e Val d’Aosta, a norma dell’art. 40 comma 1 del DPCM 169/2019, curano i rapporti del Ministero e delle strutture periferiche con le Regioni, gli enti locali e le altre istituzioni presenti nella regione e, a tal fine, stipulano accordi ai sensi dell’articolo 15 della legge 7 agosto 1990, n. 241, per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune, con specifico riguardo alle materie che coinvolgono competenze proprie delle autonomie territoriali.
13. Ruolo delle fondazioni di comunita’ s.e.c. per le politiche territoriali
Come detto, le qui previste Fondazioni di Comunità S.E.C./GAL, costituite e partecipate dal Ministero, oltre che da altri enti pubblici e privati, potrebbero (quali amministrazioni aggiudicatrici) contrarre con lo stesso Ministero accordi di valorizzazione e accordi tra pubbliche amministrazioni, progettare piani strategici di sviluppo culturale e pianificazioni di strategie territoriali al fine della programmazione integrata territoriale ITI, CLLD e degli altri strumenti territoriali.
Le Fondazioni di Comunità potrebbero, dunque, diventare le sedi del raccordo territoriale, istituzionale e partenariale, di cui parlavano il Consiglio di Stato e la dottrina, ove potrebbero essere programmate le politiche integrate per i vari settori coinvolti nel processo di sviluppo locale, selezionate le iniziative, attuate tali politiche nella ponderazione amministrativa degli interessi coinvolti.
Le Fondazioni di Comunità, cui parteciperebbe lo Stato, come visto, potrebbero essere eleggibili tanto alla programmazione strategica e gestione dei CLDD, quanto partecipare operativamente, con accordi tra pubbliche amministrazioni, alla programmazione strategica e gestione degli ITI e degli altri Strumenti Territoriali.
La presenza sul territorio delle strutture periferiche ed inedite alleanze derivanti dal CLLD potrebbero, inoltre, essere di rinforzo nella rappresentazione e ponderazione degli interessi afferenti alla tutela, valorizzazione e fruizione del patrimonio culturale.
14. Conclusioni
In conclusione, quanto qui prospettato, con riferimento alla gestione territoriale dei beni, potrebbe determinare i seguenti vantaggi per il Ministero e le Regioni:
- rispondere con programmi di sviluppo culturale solidale, ecologico e comunitario alle sfide di distanziamento e riduzione della circolazione di persone e cose poste dalla crisi Covid-19, oltre che dalle emergenze climatiche;
- concedere in gestione ed attivare la fruizione e valorizzazione di luoghi della cultura, altrimenti, sottoutilizzati o chiusi;
- alleggerire i carichi gestionali in termini di personale, costi fissi, etc. con possibilità di applicare soluzioni di risparmio;
- ricavare un canone “garantito” dalle Fondazioni di Comunità, senza rischio di contenziosi come con i concessionari privati tout court;
- adempiere alla funzione di sviluppo e promozione culturale attivando tutte le risorse locali non culturali, pubbliche e private, (ambientali, servizi pubblici locali, alimentari, artigianali, etc.) da integrare alla strategia di sviluppo;
- concorrere a determinare indirizzi e strategie locali garantendo un controllo dell’utilità pubblica degli stessi;
- ricavare dalla partecipata un contributo al bilancio consolidato (dalle attività di valorizzazione dei beni culturali pubblici): essa si dovrebbe considerare, come da giurisprudenza contabile, organica all’ente;
- avviare procedimenti agili, per sola via amministrativa e non legislativa, attesa la vigenza della normativa sui cui incardinare gli stessi ed, in particolare, del M. n. 491/2001;
- sperimentare l’attuazione di obblighi, a carico delle Fondazioni di Comunità S.E.C., per l’incremento della redditività della gestione (art.97 comma 1 Cost.);
- istituire o partecipare ad un Agenzia Nazionale del Patrimonio Culturale Pubblico per motivi di uniformità dei criteri e di competenze economico-finanziarie per le connesse determinazioni.
Circa l’ultimo tema cennato nei precedenti capitoli, quello della sussidiarietà declinata secondo i termini della nuova regolamentazione europea per le politiche di coesione, i vantaggi, più specificamente destinati al Ministero, sarebbero:
- evitare il rischio che il Ministero rimanga escluso dalla programmazione 2021-2027 causa la selezione e governance regionale degli strumenti terrritoriali e la gestione locale degli stessi;
- adempiere alla funzione di sviluppo e promozione culturale attivando ed integrando negli interventi per la tutela a valorizzazione tutte le risorse locali non culturali, pubbliche e private, (ambientali, servizi pubblici locali, alimentari, artigianali, etc.) da integrare alla strategia di sviluppo;
- a mezzo della partecipazione alla programmazione, gestione, attuazione e al controllo di primo livello degli strumenti territoriali, concorrere a determinare indirizzi e strategie locali garantendo un controllo dell’utilità pubblica degli stessi;
- ricavare un contributo al bilancio consolidato Statale dalle attività di valorizzazione delle Fondazioni che si dovrebbero considerare, come da giurisprudenza contabile, organiche all’ente;
- mantenere un coordinamento strategico unitario nella programmazione e nelle attuazioni dei vari strumenti territoriali a mezzo della partecipazione, sul territorio, ad un unica struttura partenariale pubblico-privata idonea tanto ai CLLD quanto agli accordi tra pubbliche amministrazioni SNAI e degli ITI Autorità Urbane;
- avviare procedimenti agili, per sola via amministrativa e non legislativa, attesa la vigenza della normativa sui cui incardinare gli stessi ed, in particolare, del D.M. n. 491/2001;
- valorizzazione del ruolo territoriale delle strutture periferiche del Ministero quale possibile centro propulsore delle politiche di sviluppo locale.
In conclusione, a differenza di quanto paventato da molti circa la negazione del ruolo istituzionale delle amministrazioni centrali, riteniamo che le nuove politiche di coesione possano costituire al contrario una variabile di rottura autopoietica[cxxix] che potrebbe ingenerare futuri vantaggi.
L’amministrazione centrale potrebbe diventare ovvero il centro, il fulcro, di un cerchio[cxxx] attorno a cui ruoterebbero pares inter pares tutti gli attori dello sviluppo locale, piuttosto che il vertice di una piramide, appesantita da gerarchie e da cristallizzazioni burocratiche che rischiano di bloccare le possibilità di crescita e sviluppo culturale.
xxxxxxxxxxxxxxx
Senza arrogarsi pretese di verità precostituita, riteniamo che, certamente, occorrerà scandagliare meglio le premesse, le analisi e le tesi sul tema qui esaminato.
Gli eventi futuri potranno indicare se le, in atto incerte, premesse sistemiche e macro-economiche legate alla situazione emergenziale siano corrette. Per questo motivo, nella lunga parte non giuridica iniziale, abbiamo esaminato la pubblicistica delle organizzazioni internazionali al fine di cogliere tendenze di sistema quanto più autorevoli possibile.
Date dette premesse, il tentativo fatto è stato quello di dare soluzioni fattibili nell’ambito delle coordinate offerte dall’attuale ordinamento giuridico al fine di una risposta sollecita “alle sfide del cambiamento”.
Si è cercato, in altre parole, di trovare mitigazioni e “soluzioni in positivo” alle pesanti conseguenze economiche, queste sì certe e vere, della crisi.
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Note
[1] Sia consentito ringraziare l’amico prof.Pierpaolo Forte, ordinario di diritto amministrativo presso l’Università degli Studi del Sannio, per i preziosi suggerimenti offerti durante la stesura del presente articolo.
[i] passaggio tratto da CAPRA F.– MATTEI U.“Ecologia del diritto. Scienza politica, beni comuni”, Aboca, 2017 pag. 172. Sullo stesso tema CAPRA F.– MATTEI U. ibidem, pag. 39 e ancora MATTEI U. – QUARTA A. “Punto di Svolta – Ecologia, Tecnologia e diritto privato. Dal capitale ai beni comuni”, Aboca, 2018, pag.28
[ii] Voce κρίσις in: F.MONTANARI, Vocabolario della lingua greca, Loescher editore, Torino, 2001; per l’accezione agricola si veda O.LONGO, Agricoltura nell’antica Grecia, disponibile all’indirizzo http://genweb.dsa.unipd.it/ georgofili/attivit%C3%A0/ relazione%20longo.pdf .
[iii] Cfr.,“An Inclusive Green Recovery is possible.The time to act is now”, di A.GURRIA, segretario generale dell’OECD, di cui citiamo: “Aligning the short-term emergency responses to the achievement of long-term economic, social and environmental objectives and international obligations (the Paris Agreement and the SDGs). This includes, in the short run, securing jobs while avoiding unconditional subsidies to polluting activities”.
[iv] “How the COVID-19 crisis inspired this major Italian city to transform its polluted streets – for good” di J.WOOD su WORLD ECONOMIC FORUM del 24 Aprile 2020 “Politicians are fond of talking about the new normal in a world changed by coronavirus. (…)The city’s councilor for mobility, Marco Granelli, says the Strade Aperte (Open Streets) scheme will reduce pollution and allow cyclists and pedestrians to move freely through the often choked city”.
[v] “The crisis response should consider the challenge of climate change, shifting demographic trends, and make use of new technologies” tratto da un articolo di H.YI “What can we learn from COVID-19 and past crises?”su WORLD ECONOMIC FORUM del 24 Apr 2020
[vi] “Flattening the climate curve in the post-COVID world” di P. VERKOOIJEN su World Economic Forum del 17 Apr 2020 ed ancora “How our responses to climate change and the coronavirus are linked” su WORLD ECONOMIC FORUM del 2 Apr 2020;
[vii] M.YUNUS “Non torniamo al mondo di prima”, Su Repubblica Economia e Finanza del 18 aprile 2020;
[viii] “Una minaccia enorme per il settore nell’analisi del Centro Studi Tci Coronavirus: quali le conseguenze per il turismo in Italia?” di CENTRO STUDI TOURING CLUB Italiano, 6 Aprile 2020, sito intermet. Ed ancora si veda: “Trapped tourists: how is the coronavirus affecting travel?”, di M.JOPPE, su WORLD ECONOMIC FORUM 5 febbraio 2020
[ix] E.PITZIANTI “C’è un futuro per le compagnie aeree?” su Wired (www.wired.it) del 15 maggio 2020, secondo il quale “La pandemia al momento ha reso impossibile viaggiare, e sarà difficile anche in futuro. Ma ci sono altri fattori che potrebbero affossare l’industria del trasporto aereo, tra i tanti anche l’ambientalismo”. Una delle ultime notizie più interessanti è quella relativa alla vendita da parte del finanziere internazionale Warren Buffet di tutti i pacchetti azionari di compagnie aeree americane: vedasi la notizia della BBC “Billionaire investor Warren Buffett says his company Berkshire Hathaway has sold all of its shares in the four largest US airlines”, su www.bbc.com
[x] In svedese “flygskam”. Sulla base dell’assunto della pericolosità per l’ambiente dei voli e, dunque, del disvalore etico e sociale del volo con aereo, la giovane militante ha preferito navigare lungo l’Oceano Atlantico e viaggiare in treno per l’Europa
[xi] M-P. ROUDIL “De l’obervatoire des Nations Unies deux réalités comparées: New York et Paris. L’avenir de la culture e de la creativité”in Territori della Cuultura n. 409, pag. 116-121. Interessante la nota della Roudil che le “lignes sécurisées ne facilite pas l’adoption par consensus de mesures en faveur de la paix ed du developpement, montrant combien le multilatéralisme reste fortement liée aus relations de confiance entre le personnes représentant les Etats ou Organisations”.
[xii] Il World Trade Organization (Organizzazione Mondiale del Commercio) è stato istituito con l”Accordo di Marrakech” del 15 aprile 1994 firmato alla conclusione dell’Uruguay Round, i negoziati che tra il 1986 e il 1994 hanno impegnato i paesi aderenti al GATT, ed ha sede a Ginevra (Svizzera). Obiettivo principale del WTO è la liberalizzazione del commercio e l’abolizione o riduzione delle barriere tariffarie al commercio internazionale; l’ambito di competenza del WTO è più esteso di quello del GATT e comprende non solo i beni commerciali, ma anche i servizi e le proprietà intellettuali.
[xiii] “The IMF says its forecast for the COVID-19 recession might now be too optimistic” di B.WINCK su WORLD ECONOMIC FORUM 18 aprile 2020 da cui citiamo: “A resurgence of COVID-19 in 2021 could leave economies struggling for years to come”.
[xiv] “Post-coronavirus: Kearney stima flessione del food italiano tra 1,5 e 3%. Il futuro? Essenziale, salutista e a Km zero Scenario e strategie per le aziende che operano nel campo alimentare: focus sui beni essenziali, ristrutturazione dei processi logistici (a partire dal delivery) e social distancing nei punti vendita”, di G.MARCHETTO Sole 24 Ore del 20 aprile 2020
[xv] N.KEDHI art.cit.
[xvi] “Henry Paulson is Wrong About Globalization vs. Isolationism” di N.KEDHI su Inside Over del 23 aprile 2020
[xvii] CAPRA F.– MATTEI U. ibidem, pag. 203
[xviii] Come fatto dalla Commissione Rodotà del 2007 si propone una legittimazione ad agire diffusa per l’accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti connessi alla salvaguardia e fruizione dei beni comuni cfr. RODOTA’ S. “Il terribile diritto: studi sulla proprietà privata e sui beni comuni”, Il Mulino, 2013, pag.51 e ss. Mattei e Quarta propongono nuove soggettività giuridiche per l’ecologia. Ovvero prevedere una personalità giuridica al fine di proteggere la natura da attacchi conferendo ad essa la legittimazione ad agire in quanto vittima di un’attività causa di un danno ambientale. Famoso è il caso del parere dissenziente del giudice William O.Douglas che, nel 1972 nella causa Sierra vs Morton, riconobbe legittimazione ad agire alla natura a mezzo di curatori. La stessa posizione assunse il Parlamento della Nuova Zelanda che riconobbe personalità giuridica al fiume Whaganui o il tribunale Indiano che riconobbe legittimazione ad agire al fiume sacro Gange. Si veda MATTEI U. – QUARTA A. ibidem, pag.135 -137 e 207-207. La stessa cosa potrebbe essere fatta, suggeriamo, per la tutela degli interessi tanto ecologici quanto culturali (parchi archeologici, opere d’arte) dei nostri discendenti in futuro, ovvero prevedere dei curatori legittimati ad agire per essi per i danni perpetrati alle future generazioni private della fruizione dei beni comuni. Tornando all’Europa, sul principio unionale “chi inquina paga” GOISIS F.”Caratteri e rilevanza del principio comunitario chi inquina paga nell’ordinamento nazionale”, in Il Foro Amministrativo CD- 2009 pagg.2711; SICLARI D. “La bonifica dei siti inquinati tra tutela dell’ambiente e giustiziabilità delle pretese” Napoli 2017; GIULIETTI W. “Danno ambientale ed azione amministrativa”, Napoli 2012, etc..
[xix] Principio europeo il cui precipitato Italiano si trova nell’art.309 della L.152/06
[xx] il World Economic Forum (o Forum di Davos) è una fondazione senza fini di lucro con sede a Cologny, vicino a Ginevra, in Svizzera, nata nel 1971 per iniziativa dell’economista ed accademico Klaus Schwab. Per il Covid 19 il Forum di Davos ha creato un apposito gruppo di lavoro ed una specifica piattaforma di confronto con l’obiettivo di “shaping the future” ovvero di creare il nuovo mondo post Covid 19
[xxi] L’UNWTO ha creato una sezione speciale del sito dedicata all’epidemia
[xxii] A.BRUNO “Sviluppo locale di tipo partecipativo ed organismi di diritto pubblico per la gestione dei beni culturali” parte I e parte II, pubblicati rispettivamente il 8 e 9 agosto 2018 su “www.diritto.it” ISSN 1127-8579 – anche su Patrimonio sos-in difesa dei beni culturali e ambientali il 15.02.2019, pag. 5 e ss
[xxiii] Sulla programmazione negoziata come promozione di normativa pattizia (intreccio costante di reti di rapporti Capra) si veda P.PETRAROIA “la cura del patrimonio storico-culturale come leva di sviluppo del territorio. Una nuova frontiera dell’ottava legislatura” in Confronti, 3, 2005, pp 43-55, M.CAMMELLI “programmazione e gestione delle attività di valorizzazione. Forme convenzionate e modelli operativi”, in “M.MONTELLA – P.DRAGONI. La programmazione negoziata ebbe origine dalla L.662/1996 che ha normato i patti territoriali e contratti d’area, primi strumenti di programmazione negoziata in Italia,
[xxiv] Sul partenariato orizzontale si veda CASSESE S. “L’arena pubblica. Nuovi paradigmi per lo Stato”, in Rivista Trimestrale di diritto pubblico, 2001 e ARENA G. “il principio della sussidiarietà orizzontale nell’art.118, u.c della Costituzione”, in Cittadini attivi per una nuova amministrazione, 2003. L’art.118 4° comma Costituzione sancisce il principio della sussidiariarietà orizzontale cfr. CROSETTI A., FERRARA R., FRACCHIA F., OLIVETTI RASON N. “Introduzione al diritto dell’ambiente”, Laterza, 2018, pag. 27 e ss. Ancora si veda su internet ROVERSI MONACO F. “Federalismo e sussidiarietà”, www.sussidiarieta.net e ANTONINI L. “Le frontiere della democrazia: verso diritti sociali fondati sulla sussidiarietà”, in Diritto della Regione, 2005, pag.3 e ss.
[xxv] Sul tema della partecipazione rispetto alle politiche ambientali si veda MONTANARO R. “L’ambiente e i nuovi istituti di partecipazione”, in CROSETTI A., FRACCHIA F. (a cura di) Procedimento amministrativo e partecipazione. Problemi, prospettive ed esperienze”, Milano 2002, pag. 107 e ss.
[xxvi] Art. 41 par.2 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (2000/C 364/01) – Carta di Nizza, cfr. BEQIRAJ P. “The Right to Be Heard in the European Union – Case Law of the Court of Justice of the European Union”, European Journal of Multidisciplinary Studies Jan-Apr 2016 Vol.1 Nr. 1
[xxvii] Comunicazione interpretativa della Commissione sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI) (2008/C 91/02)
[xxviii] Dati ISTAT “I musei, le aree archeologiche e i monumenti in Italia, Anno 2017”
[xxix] A.L.TARASCO “Diritto e gestione del patrimonio culturale”, Laterza 2019, pag. 207
[xxx] A.L.TARASCO, “Diritto e…” ibidem pag. 209
[xxxi] Si rimanda alle note iniziali sui saggi di future shaping del World Economic Forum e allo scritto già citato di E.PITZIANTI “C’è un futuro per le compagnie aeree?” su Wired. Abbiamo già citato prima la vendita da parte del finanziere internazionale Warren Buffet di tutti i pacchetti azionari di compagnie aeree americane: vedasi la notizia della BBC “Billionaire investor Warren Buffett says his company Berkshire Hathaway has sold all of its shares in the four largest US airlines”, su www.bbc.com
[xxxii] OECD e ICOM stanno organizzando Webinar tra operatori e studiosi sul tema “Coronavirus (COVID-19) and cultural and creative sectors: impact, innovations and planning for postcrisis WEBINAR | Coronavirus (COVID-19) and museums: impact, innovations and planning for post-crisis”
[xxxiii] Il recentissimo decreto legge “rilancio” prevede 10 milioni di euro al MIBACT per realizzare – anche con Cassa Depositi e Prestiti – una piattaforma digitale per la fruizione del patrimonio culturale e degli spettacoli dal vivo online e in streaming a pagamento, chiamata dal Ministro Franceschini una “Netflix della cultura”
[xxxiv] C.BOTTI “Investire per una nuova visione della produzione e fruizione culturale”su Territori della Cultura, n. 40 – 2020, pag. 40-41
[xxxv] F.FERRIGNI “Ripartiamo! Tutto come prima!” Speriamo di no”, su Territori della Cultura, n. 40 – 2020, pag. 58 -65. Ferrigni identifica quale strumento finanziario la strategia nazionale delle aree interne (SNAI) che però, osserviamo, ha il difetto di non coinvolgere i privati (come fa, invece, il Gal) ma solo le pubbliche amministrazioni.
[xxxvi] F.FERRIGNI ibidem, pag. 58
[xxxvii] P.FORTE “Perchè pensare già alla “fase 4” nel segno della cultura” sul Mattino del 20 aprile 2020 e P.FORTE “Emergenze, Persone, Scienze”, Territori della Cultura, n. 40 – 2020, pag.66
[xxxviii] Si consenta rimandare a BRUNO A. in “P.P.P. e beni culturali : ragioni di un cambio di rotta legislativo e conseguenze sull’impianto ordinamentale” in www.ildirittoamministrativo.it, 4 dicembre 2017, pag.17. Si veda ancora “L’imprenditore del mecenatismo stakeholder uso sociale dei beni culturali: gestire e non subire” di GRASSO D., in “Del patrimonio culturale” di F.A.La Rocca, 2009, pag. 161-187
[xxxix] ai sensi dell’art.3 ter del D.Lsg 152/06
[xl] Il principio europeo di prevenzione (TFUE all’art.130 R, par. 2), è principio fondamentale dell’azione comunitaria in posizione prevalente sui principi di correzione e di “chi inquina paga”, che risultano essere secondari e subordinati. A rafforzare questo principio intervengono il principio di precauzione, il principio della gradualità nel determinare obiettivi, fasi e tempi per una adeguata ponderazione dei vari interessi coinvolti, alla “informazione ambientale”corretta.
[xli] Convenzione di Faro Consiglio d’Europa – Convenzione quadro del Consiglio d’Europa sul valore del patrimonio culturale per la Società (CETS no. 199) 18/03/08 Faro, 27.X.2005
[xlii] L’articolo 144 2 comma prevede che le regioni dovranno disciplinare mediante apposite norme di legge i procedimenti di pianificazione paesaggistica, anche in riferimento ad ulteriori forme di partecipazione, informazione e comunicazione, cfr. AMOROSINO S., Commento agli artt. 135, 143 – 144 e 145 in AA. VV. Il codice dei beni culturali e del paesaggio ,a cura di CAMMELLI M., IIa ed., Bologna 2007 “Il Paesaggio Report Annuale – 2011” – Italia (Ottobre 2011) SCIULLO G. su ius-publicum.com pag.6
[xliii] UNESCO, (2005), Operational Guidelines for the Implementation of the World Heritage Convention, WHC. 05/2, 2 February, Paris, World Heritage Centre. Al paragrafo 108 delle Guidelines, si afferma che “each nominated property should have an appropriate management plan or other documented management system which must specify how the outstanding universal value of a property should be preserved, preferably through participatory means”. Tra gli elementi chiave del management plan indicati al paragrafo 111: d) “the involvement of partners and stakeholders”. Cfr. SIBILIO PARRI B. “Uno strumento di gestione del patrimonio culturale: il caso dei siti UNESCO”, in Economia e diritto del terziario, 2011, v.23, n.2, pp.307-333, PETTENATI G. “Uno sguardo geografico sulla World Heritage List. La territorializzazione della candidatura”, in Annali del turismo, 2012, n.1, pp.165-179 e GARZIA G. “Tutela e valorizzazione dei beni culturali nel sistema dei piani di gestione dei siti UNESCO”, 2014, Aedon, n.2 <http://www.rivisteweb.it/download/article/10.7390/78028. Un caso di gestione partecipata del sito è quella del Centro Storico di Firenze ove è stata attuata una multi-stakeholder strategy, si veda FRANCINI C. “La Maratona dell’Ascolto per il Centro Storico di Firenze Patrimonio Mondiale UNESCO”, in Siti, rivista dell’Associazione beni italiani patrimonio mondiale UNESCO, n.10, 2017
[xliv] Estensivamente sul tema dei rischi e delle posizioni Eurostat si veda V.VECCHI – V.LEONE “Partnership pubblico privato”, Bocconi , 2016 e ancora di recente in “Partenariato pubblico-privato e project finance” di M.NICOLAI e W.TORTORELLA, Maggioli, 2017 il saggio “La contabilizzazione dei partenariati pubblico-privati nei bilanci pubblici”, di L.BISIO e D.VALERIO, da pag. 217 a pag. 268
[xlv] CARPENTIERI P., “Il Partenariato pubblico-privato nel campo dei beni culturali”, in Impresa e Cultura 13° rapporto annuale Federculture, Gangemi 2017, pag. 99
[xlvi] BRUNO A.“Public private partnership e indicazioni soft-law di Eurostat” su www.diritto.it del 10 ottobre 2017 pag.41-77
[xlvii] Articoli 89 comma 17 e 71 comma 3 del Dlgs 117/17. Cfr. BRUNO A. in “P.P.P. e beni culturali : ragioni di un cambio di rotta legislativo e conseguenze sull’impianto ordinamentale” in www.ildirittoamministrativo.it, 4 dicembre 2017, pag.16
[xlviii] Si veda BRUNO A.“Confutazioni e soluzioni per l’applicazione del dlgs 228/11 al settore dei beni culturali: messa a sistema dei servizi pubblici culturali quali livelli essenziali delle prestazioni”, in www.diritto.it, 27/06/2018, pag. 20 e ss.
[xlix] S.CAVALIERE “i livelli essenziali delle prestazioni e i nuovi “diritti culturali” in Rivista AIC Associazione Italiana Costituzionalisti n.3/2017
[l] BRUNO A.“Confutazioni…”, ibidem pag.34 e ss.
[li] Sono stati previsti dalla legge 28 giugno 2016, n. 132 che istituisce il Sistema Nazionale a rete che attua i livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali. (LEPTA). I LEPTA, nell’intento di raggiungere alti livelli di efficienza e di avanguardia a livello nazionale, costituiscono i parametri funzionali, operativi, programmatici, strutturali, quantitativi e qualitativi delle prestazioni delle agenzie. I relativi aspetti organizzativi, gestionali e finanziari, riferibili a costi standard per tipologia di prestazione, sono definiti tramite l’adozione di un Catalogo nazionale dei servizi (articolo 9 comma 2)
[lii] Sul tema della gestione dei beni comuni si veda ARENA G, IAIONE C. (a cura di) L’età della condivisione. La collaborazione tra cittadini e amministrazione per i beni comuni” Carocci 2015; BOMBARDELLI M. (a cura di) “Prendersi cura dei beni comuni per uscire dalla crisi . Nuove risorse e nuovi modelli di amministrazione”, Editoriale Scientifica 2016; AA.VV. “La cooperazione di comunità. Azioni politiche per consolidare le pratiche e sbloccare il potenziale di imprenditoria comunitaria”, Trento, Libro Bianco a cura di EURICSE, www.euricse.eu
[liii] La recente guida Icom sulla cultura e lo sviluppo locale elenca alcuni esempi di positiva attivazione delle comunità nello sviluppo locale integrato con le esigenze della conservazione tutela dei beni museali: OECD ICOM (2019), Culture and Local Development: Maximising the Impact, Guide for Local Governments, Communities and Museums, OECD Publishing, Paris. Sull’approccio territoriale allo sviluppo e CLLD si veda Orientamenti sullo sviluppo locale di tipo partecipativo per gli attori locali, 2014, Commissione Europea, ÖIR –Managementdienste GmbH 2003, Ex-post evaluation of the Community Initiative Leader I ed ancora BARCA F., An agenda for a reformed cohesion policy. A place-based approach to meeting European Union challenges and expectations e BARCA F., Towards a place-based social agenda for the EU, Report Working Paper, 2009. Più specificamente sul tema delle possibili applicazioni dei CLLD nel settore della valorizzazione culturale si veda ancora BRUNO A.”Sviluppo locale di tipo partecipativo ed organismi di diritto pubblico per la gestione dei beni culturali” parte I e parte II, pubblicati il 8 e 9 agosto 2018 su “www.diritto.it” ISSN 1127-8579 ed ancora dell’autore ultimo citato “Natura giuridica dei gruppi di azione locale (CLLD) e prospettive future”, pubblicato il 4 febbraio 2019, su”www.ildirittoamministrativo.it”, ISSN 2039 – 69371
[liv] Tra le pratiche eco-giuridiche Capra e Mattei pongono l’esperienza del Teatro Valle “bene comune” a Roma, quale esempio di gestione comunitaria ed innovativa di un bene culturale vedi CAPRA, MATTEI, ibidem, pag. 197 e 227
[lv] Si veda in particolare, A.L.TARASCO, “Diritto e…” ibidem pag. 262 e ss.
[lvi] Artt. 31 comma 2, 33 e 34 del D.Lgs 42/04 e smi
[lvii]“Al museo archeologico di Caltanissetta troviamo 21 custodi in servizio che sono costati alla Regione 630.000 euro nel 2010 mentre l’incasso è stato di appena 1437 euro. Per no dire di quello di Marianopoli che ha incassato 201 euro ma ne ha spesi 402.000 per 14 custodi”, si veda STELLA G.A. – RIZZO S.“Licenziare i padroni: l’Italia tradita dalla casta”, Rizzoli, 2011
[lviii] Sul tema si veda BRUNO A., Beni Culturali e Paesaggistici: dalla Programmazione 2000- 2006 a quella 2007-2013, 2008.
[lix] Si veda MOTRIS Mappatura dell’offerta turistica in Sicilia ARCES 2006
[lx] Autorevole dottrina vede un’occasione (mancata) di applicazione del principio della sussidiarietà orizzontale nei commi 303-305, art.1 della Legge 30 dicembre 2004, n. 311 prevedente una sorta di project finance nel settore dei beni culturali. Tale legge ha avuto parziale (solo per il MIBACT) e controversa applicazione (previsione di un piano economico finanziario per le imprese no profit diventate uniche beneficiarie) a mezzo del DM 6 ottobre 2015. Si veda A.L.TARASCO, “Diritto e…”, ibidem pag. 216-217.
[lxi] Il federalismo demaniale è disciplinato dal d.lgs. 28 maggio 2010, n. 85, e rientra nel più vasto processo del federalismo fiscale. Quest’ultimo è previsto in Italia dall’articolo 119 della Costituzione ed è in corso di attuazione ad opera della legge 5 maggio 2009, n. 42. Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e l’Agenzia del Demanio, nell’ambito delle rispettive competenze, hanno definito a livello nazionale le procedure operative (Circolare 6 e 18 del 2011) a cui gli organi periferici di devono attenere nell’attuazione delle previsioni di cui all’articolo 5, comma 5, del decreto legislativo 28 maggio 2010, n. 85, in materia di trasferimento agli Enti territoriali di beni immobili appartenenti al patrimonio culturale dello Stato, tramite specifici accordi di valorizzazione e dei conseguenti programmi e piani strategici di sviluppo culturale. Occorre raggiungere, però, un consenso sull’accordo di valorizzazione. Su un totale di 4.997 trasferimenti di immobili demaniali, soltanto 142 sono stati trasferiti agli enti locali (dati da sito istituzionale dell’Agenzia Demanio www.agenziademanio.it). Tale circostanza fa osservare a Tarasco che manca un’autorità terza in grado di raffrontare la gestione attuale con il progetto presentato dall’amministrazione comunale A.L.TARASCO, “Diritto e…” ibidem pag. 214.
[lxii] Il gruppo (generalmente una società consortile senza scopo di lucro, una fondazione in partecipazione o un’associazione) è composto da soggetti pubblici e privati allo scopo di favorire lo sviluppo locale ed ecosostenibile di un’area rurale.
[lxiii] LEADER ovvero “Liaison entre actions de développement de l’économie rurale”. Sul metodo Leader vedi “The LEADER Approach”, su enrd.ec.europa.eu., Presentazione Commissione europea- CLLD, 2014, Guida Commissione europea al CLLD, 2014 e ancora Guida UE a LEADER. Commissione europea, 2006, Corte dei conti europea, 2010, p. 11
[lxiv] CLLD ovvero Community Led Local Development. Dal sito della rete europea la seguente spiegazione: “In 2013 the LEADER approach, which had developed in a rural context, was extended to apply to urban and coastal areas under the title of Community-Led Local Development (CLLD). The LEADER method has been extended to cover not only rural but also coastal (FARNET) and urban areas under the banner of Community-led Local Development (CLLD)” da http://www.elard.eu.
[lxv] F.BARCA, An agenda for a reformed cohesion policy. A place-based approach to meeting European Union challenges and expectations, Independent Report, https://ec.europa.eu/migrant-integration/librarydoc/an- agenda-for-a-reformed-cohesion-policy-a-place-based-approach-to- meeting-european-union-challenges-and-expectations-barca-report e BARCA F., Towards a place-based social agenda for the EU, Report Working Paper, 2009, http://ec.europa.eu/regional_policy/archive/policy/future/ pdf/10_barca_final_formatted.pdf.
[lxvi] BRUNO A. in “Place-Based. Sviluppo Locale e Programmazione 2014-2020” con ANGELINI A.(co-autore) ISBN 9788891742971 Prefazione di G.PUGLISI, pag. 220 – Franco Angeli Editore – 2016
[lxvii] Reg.2052/88 – Guida Generale Commissione Europea al Leader, 2006
[lxviii] Già prima delle sentenze della CGUE sul tema (Cassis de Dijon del 1978, etc) la Commissione Europea aveva emanato programmi quinquennali di azione per l’ambiente (PAA del 1973). Con l’Atto Unico Europee del 1986 la CEE estende le sue competenze anche all’ambiente (articoli 130R, 130S e 130T del Trattato di Roma). Il Trattato di Amsterdam (1997) inserisce la politica ambientale tra gli obblighi politici fondamentali dell’Europa. Il Trattato di Lisbona del 2007 dedica un intero titolo dei Trattati all’ambiente, il Titolo XX del TFUE, e recepisce ed include in esso la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (Carta di Nizza) con il suo Capo IV. Oggi il più importante fronte aperto è quello delle politiche sui cambiamenti climatici. In attuazione dell’art.191 TFUE è stato adottato nel 2008 il Pacchetto clima energia 20-20-20 oggi diventato Quadro 40-27-2, cfr. CROSETTI A., FERRARA R., FRACCHIA F., OLIVETTI RASON N. “Introduzione al diritto dell’ambiente”, Laterza, 2018, pag.14-24
[lxix] Tra le pratiche eco-giuridiche Capra e Mattei pongono le esperienze del Teatro Valle a Roma e quelle delle aziende idriche di Napoli e Parigi, CAPRA, MATTEI, ibidem, pag. 227
[lxx] Le azioni di contrasto ai cambiamenti climatici sono misure trasversali comuni a tutti gli interventi. In particolare vi sono anche azioni specifiche relative ad Azioni di prevenzione (sottomisura 5.1) che contribuiscono direttamente alla FA 3b all’obiettivo trasversale ambiente e cambiamenti climatici ed azioni di ripristino (sottomisura 5.2) che contribuiscono direttamente alla FA 3b all’obiettivo trasversale ambiente e cambiamenti climatici (Italy – Rural Development Programme (Regional) – Sicilia Version 1.4., pag. 367)
[lxxi] Tra i progetti segnaliamo il “DES Distretto di Economia Solidale”, per gruppi di acquisto solidale e mense sociali, realizzato dalla rete dei Gal della Lombardia (GardaValsabbia, Oltrepo Mantovano – Capofila, Oglio PO terre d’acqua, Valtellina, Lomellina, Golem, Colline Moreniche del Garda), e poi condiviso in rete di Cooperazione Transnazionale Leader 2007-2013 anche a livello europeo ( http://www.laterratraiduelaghi.it/book/export/html/5) e quello del Gal Ogliastra “Ogliastra di gusto: filiera corta eco-sostenibile” finanziato dal Ministero dell’Ambiente Italiano (www.galogliastra.it/newsletter-dicembre-2012/329-finalmente-filiera-corta), del Gal piemontese del Gialoro (www.regione.piemonte.it/montagna/montagna/rurale/…/GAL/01_PSL_GIAROLO.pdf. Sul tema dei Gruppi Acquisto Solidale vedi MATTEI U. – QUARTA A. ibidem, pag.180)
[lxxii] Si veda, “Assetto dei Gal: aspetti giuridico-amministrativi e fiscali” di Rete Nazionale per lo Sviluppo Rurale, 2007, ATI INEA – AGRICONSULTING
[lxxiii] Sul tema specifico si veda, G. MORBIDELLI, Le fondazioni per la gestione dei beni culturali, Atti del Convegno del 13 maggio 2005, in Fondazioni e attività amministrativa, a cura di S. Raimondi E R. Ursi, Torino, 2005, p. 91 ss. e “Le fondazioni come autonomie amministrative sociali”, in G. PALMA, P. FORTE (a cura di), Fondazioni. Tra problematiche pubblicistiche e tematiche privatistiche, Torino, 2008, ed ancora P. FORTE “Fondazioni, privatizzazione, concorrenza nella lirica: un cammino ancora in corso”, in Aedon, 1/2009
[lxxiv] La situazione attuale in merito alle forme associative consentite al MIBACT è definita “surreale” da M.CAMMELLI in “Cooperazione” su “Diritto del Patrimonio Culturale”, di C.Barbati, M. Cammelli, L.Casini, G.Piperata, G. Sciullo, 2017, pag. 296 – 297. La norma, l’articolo 10 del DLGS 20 ottobre 1998, n.368, su cui si incardina il regolamento è stata infatti abrogata. Il regolamento in sostanza ha configurato le fondazioni di cui tratta come fondazioni di partecipazione connotate da una assoluta preponderanza del ministero, che si esplica in penetranti poteri di vigilanza, quali il potere di approvazione delle modifiche statutarie, l’adozione di atti di indirizzo generale, lo svolgimento di ispezioni, et cetera, che possono condurre anche alla sospensione o allo scioglimento degli organi della fondazione e al suo commissariamento. Non a caso la dottrina per lo più ritiene che qui ci si trovi di fronte a veri e propri enti pubblici .Si veda G. MANFREDI, I modelli organizzativi nell’amministrazione dei beni culturali tra mito e realtà, in F. Astone, M. Caldarera, F. Manganaro, F. Saitta, N. Saitta, A. Tigano (a cura di), Studi in memoria di Antonio Romano Tassone, Napoli, 2017, pp. 1647 ss. Circa la problematica dell’affidamento a soggetti misti della gestione delle attività di valorizzazione dei beni culturali, per motivi di brevità, si rinvia a G. SCIULLO, “Novità sul partenariato pubblico-privato nella valorizzazione dei beni culturali”, in Aedon, 2/2009, per il quale la sentenza della Corte di giustizia Acoset consente una lettura dell’art. 115 che permette l’affidamento diretto della gestione dei beni a organismi misti previa gara per la scelta del partner privato e, in senso contrario, a F. LIGUORI, “I servizi culturali come servizi pubblici”, in Federalismi.it, 1/2018.
[lxxv] “L’Assessorato regionale dei beni culturali ed ambientali e della pubblica istruzione ai fini della valorizzazione dei beni culturali ed ambientali nonché per la realizzazione di antiquaria, di musei locali e di servizi aggiuntivi può: stipulare accordi con amministrazioni pubbliche o con soggetti privati; costituire o partecipare ad associazioni, fondazioni o società secondo modalità e criteri già definiti per il Ministero per i beni e le attività culturali ai sensi dell’articolo 10 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368; affidare all’esterno i servizi per la fruizione pubblica dei beni culturali con le modalità di cui all’articolo 33 della legge 28 dicembre 2001, n. 448 e successive norme attuative”.
[lxxvi] D.PERROTTI su APPALTI PUBBLICI a cura di M.A. CABIDDU – Beni culturale, 2018, IlSole24Ore Kindle
[lxxvii] A differenza del recente istituto delle B-Corp o società benefit che comunque sono soggetti giuridici con scopo di lucro sebbene armonizzato con il perseguimento di utilità collettive quali la valorizzazione culturale. Le Società Benefit sono una nuova forma giuridica di impresa, introdotta in Italia con la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (commi 376-383 e allegati 4 – 5 ) ed entrata in vigore dal primo Gennaio 2016. Si veda per approfondimenti il DDL Senato della Repubblica n.1882 della XVII Legislatura.
[lxxviii] L’istituto è di recente sperimentazione. Non essendoci letteratura giuridica si rimanda al sito internet https://italianonprofit.it e al sito della Fondazione Cariplo
[lxxix] Il Dpcm 28 dicembre 2011 all’articolo 21, definisce enti strumentali le aziende o gli enti, pubblici o privati, nel quale la regioni o enti locali: hanno il possesso, diretto o indiretto, della maggioranza dei voti esercitabili negli enti o nelle aziende; hanno il potere assegnato da legge, statuto o convenzione di nominare o rimuovere la maggioranza dei componenti degli organi decisionali; esercitano, direttamente o indirettamente, la maggioranza dei diritti di voto; hanno l’obbligo di ripianare i disavanzi per percentuali superiori alla propria quota di partecipazione; esercitano un’influenza dominante in virtù di contratti o clausole statutarie. Tali requisiti sono cumulativi. Diversamente da tale previsione, le Fondazioni di Comunità dovrebbero essere non strumentali poichè partecipate dal pubblico in quota minoritaria ancorchè finanziate in quota prevalente dalle parti pubbliche. Diversamente si pronuncia D.PERROTTI su APPALTI PUBBLICI a cura di M.A. CABIDDU – Beni culturali 2018 IlSole24Ore Kindle, pos.3047: secondo l’autore occorrerebbe che siano integrate tanto tutti i requisiti di cui agli organismi di diritto pubblico, sia tutti quelli di cui al Dpcm 28 dicembre 2011 all’articolo 21
[lxxx] Analogicamente come nelle società controllate dagli enti pubblici. Citiamo: “… la società per azioni con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché il Comune ne possegga, in tutto o in parte, le azioni: il rapporto tra società ed ente locale è di assoluta autonomia, al Comune non essendo consentito incidere unilateralmente sullo svolgimento del rapporto medesimo e sull’attività della società per azioni mediante l’esercizio di poteri autoritativi o discrezionali, ma solo avvalendosi degli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri di nomina comunale presenti negli organi della società …” (Cassazione, Sezioni Unite, 15 aprile 2005, n. 7799).
[lxxxi] Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione sentenza n.5161/2009
[lxxxii] TAR Abruzzo, L’Aquila, 17 febbraio 2004, n. 140, TAR Basilicata, 975/2000, TAR Sardegna, 07 Febbraio 2005, n. 145, Tar Sardegna 880 del 18 giugno 2015, Tar Sardegna 616 del 15 luglio 2016. Nello stesso senso Garofoli-Auletta “Codice Amministrativo Ragionato”, 2017 pag. 237
[lxxxiii] Il Tar Sardegna con la sentenza n. 616 del 15 luglio 2016 si è così espresso sul tema: “Questo T.a.r. ha già avuto modo di affermare che la natura giuridica dell’ente resistente non implica, di per sé, l’impossibilità di qualificare i relativi atti come provvedimenti amministrativi; pertanto, gli atti con i quali i gruppi di Azione Locale (cosiddetti Gal), incaricati di gestire sovvenzioni pubbliche da concedere ai destinatari finali del finanziamento, procedono, attraverso un procedimento di evidenza pubblica, all’individuazione delle proposte progettuali più vantaggiose, costituiscono esercizio di funzioni oggettivamente pubblicistiche, per cui sono soggetti alla giurisdizione del g.a.. E’ del tutto pacifico, quindi, che indipendentemente dalla natura giuridica dell’ente concedente, la giurisdizione sugli atti del procedimento qui esaminato appartenga al giudice amministrativo (…). Ed ancora, Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 7 luglio 2011, n. 14958.
[lxxxiv] Sul tema della configurazione giuridica si veda “Un interessante modello di partecipazione consortile nel diritto amministrativo Italiano: i gruppi di azione locale. Brevi note sul tema”, GIORGIO G. www.ildirittoamministrativo.it
[lxxxv] Consiglio di Stato (Sezione V, 66/2013) “… Tale scelta era espressione della tendenza, da tempo emersa nella prassi legislativa, a una spiccata eterogeneità dei moduli organizzativi e di azione della Pubblica Amministrazione, che in dottrina e giurisprudenza ha persino dato vita a una nuova e aperta nozione di “ente pubblico”, capace di comprendere anche figure soggettive formalmente privatistiche. A tale “eterogeneità organizzativa” corrisponde, in perfetta simmetria, una fisiologica promiscuità della disciplina normativa inerente l’azione dei nuovi soggetti; la creazione di strutture “di confine” tra il pubblico e privato (come le società miste per la gestione di servizi pubblici locali) non è, infatti, fine a sé stessa, ma costituisce il presupposto per la creazione di regimi giuridici “di diritto speciale”, solitamente connotati sia da aspetti pubblicistici che da profili privatistici, in relazione ai quali la maggiore difficoltà interpretativa è quella di coordinare disposizioni (in alcuni casi) potenzialmente configgenti, nonché di colmare eventuali lacune normative. A molteplici previsioni di “tenore” pubblicistico si affiancano disposizioni che consentono ai nuovi enti gestori di operare mediante veri e propri moduli privatistici
[lxxxvi] i requisiti, che si vedranno in prosieguo, devono essere tutti presenti: si veda CORTE GIUSTIZIA EUROPEA 15.1.1998, CDS sez IV n. 1478/98; CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA 22-5-2003 C-18/01, CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA 16-10-2003 C-283/2000; CDS sez.VI, ord. n. 167/2004
[lxxxvii] secondo consolidata giurisprudenza sia europea sia interna (Cassazione, Sezioni Unite, 7 aprile 2010, n. 8225) per aversi un organismo di diritto pubblico devono ricorrere cumulativamente tutti e tre i suddetti requisiti
[lxxxviii] Sulla definizione di organismo di diritto pubblico vedi DELPINO L. – DEL GIUDICE F.Manuale di diritto amministrativo 2017 pag.112 e 113
[lxxxix] Cassazione, Sezioni Unite, 7 aprile 2010 , n. 8225)
[xc] Cfr., Corte di giustizia Europea 2 ottobre 2000, C-380/98 The Queen e H.M. Tresaury/The University of Cambridge), «… se da un lato la forma di finanziamento di un dato organismo può essere rivelatrice di una stretta dipendenza di quest’ultimo rispetto a un’altra amministrazione aggiudicatrice, dall’altro bisogna però constatare come tale criterio non abbia valore assoluto. Non tutti i finanziamenti erogati da una amministrazione aggiudicatrice hanno per effetto di creare e rafforzare uno specifico legame di subordinazione o dipendenza. Soltanto le prestazioni che, mediante un aiuto finanziario versato senza specifica controprestazione finanzino o sostengano le attività dell’ente interessato possono essere qualificate come finanziamento pubblico … e … l’espressione –in modo maggioritario – deve essere interpretata in senso quantitativo e fa riferimento a un finanziamento pubblico superiore al cinquanta per cento …».
[xci] CDS, sez. VI, 10 dicembre 2015, n. 5617
[xcii] TAR. Sardegna, Cagliari, sez. I, 7 febbraio 2005 n. 145
[xciii] CDS, sez. V, 30.01.2013, n. 570 “purchè non suscettibili di essere soddisfatti mediante la produzione di beni ovvero fornendo direttamente servizi in un regime di concorrenza con altri operatori commerciali”. Ancora si veda CDS, sez. V, 26 luglio 2016, n.3345 “ con metodo economico, ovvero senza rischio d’impresa” ed ancora CDS, sez. VI, 10 dicembre 2015, n. 5617 (fondazione arena di Verona), CDS, sez. IV, a febbraio 2015, n. 552 (Società Expo 2015), CDS, sez. V, 22 gennaio 2015, n. 286 (concessionari autostradali e aeroportuali)
[xciv] sezione VI del CONSIGLIO DI STATO Sentenza n. 1574 del 20 marzo 2012
[xcv] Un’esperienza emblematica di efficienza ed efficacia è descritta nello studio del Ministero Economia e Finanze e del Ministero Attivita` Produttive “La Lezione dei Patti Territoriali per la Progettazione Integrata Territoriale nel Mezzogiorno” “Il Patto Simeto Etna, pag. 530-557: con una sola risorsa umana (un dirigente) un agenzia sviluppo ha progettato e gestito ingenti risorse finanziarie fino ad essere indicata nel DPEF 2001 quale Patto Territoriale d’eccellenza in Italia, cfr. Dpef 2001 Governo Amato pag. 53.
[xcvi] Si veda l’analisi svolta in BRUNO A. in “Place-Based. Sviluppo Locale e Programmazione 2014-2020” con ANGELINI A.(co-autore) ISBN 9788891742971 Prefazione di G.PUGLISI, pag. 220 – Franco Angeli Editore – 2016 , pag. 12 e pag. 51 e ss.
[xcvii] Sull’imprenditoria culturale si veda P.PIETRAIOLA – D.LA MARCA “per un imprenditoria qualificata nella gestione di beni e servizi culturali” pag. 67-79 Impresa Cultura 13 rapporto annuale Federculture, Gangemi, 2017
[xcviii] Non dunque le B-Coorp
[xcix] Uno studio interessante è quello svolto da MANNINO F. “Imprese non profit e partecipazione culturale. In Italia ci cittadini prendono parte così”, pag. 131 Impresa Cultura 13 rapporto annuale Federculture, Gangemi, 2017
[c] A norma dell’art. 89 comma 17 del Dlgs 117/17, in attuazione dell’articolo 115 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 per la valorizzazione a gestione indiretta dei luoghi della cultura, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, le regioni, gli enti locali e gli altri enti pubblici possono attivare forme speciali di partenariato con enti del Terzo settore che svolgono dette attività. Tali enti del terzo settore sono individuati attraverso le procedure semplificate dei contratti di sponsorizzazione. Ancora l’art. 71 comma 3 dello stesso Decreto Delegato prevede che i beni culturali immobili di proprietà dello Stato, delle regioni, degli enti locali e degli altri enti pubblici, per l’uso dei quali attualmente non é corrisposto alcun canone e che richiedono interventi di restauro, possono essere dati in concessione a enti del terzo settore, con pagamento di un canone agevolato, determinato dalle amministrazioni interessate, ai fini della riqualificazione e riconversione dei medesimi beni tramite interventi di recupero, restauro, ristrutturazione a spese del concessionario, anche con l’introduzione di nuove destinazioni d’uso finalizzate allo svolgimento delle attività culturali.
[ci] Si veda la nota Sentenza della Corte di Giustizia CE 15/10/2009 C-196/08 (ACOSET SPA) relativa ad un bando di gara per la selezione dell’imprenditore, socio privato di minoranza.
[cii] Ai sensi degli articoli 112 e 115 del Codice, tali fondazioni, ove partecipanti ai soggetti giuridici cui sono affidati l’elaborazione e lo sviluppo dei piani strategici, non potranno contemporaneamente essere concessionarie delle attività di valorizzazione. Altrimenti possono partecipare ai bandi per la concessione di esse. Salvo che come nel caso delle fondazioni comunitarie ad esse partecipino enti pubblici con le condizioni di cui agli organismi di diritto pubblico.
[ciii] Una piccola nota a margine: atteso il fatto che le comunità come i GAL, come vedremo, possono fungere da “organismo intermedio”, oltre che da beneficiari diretti, preposti alla gestione ed assegnazione a privati ed enti pubblici di risorse finanziare per la cultura, l’ambiente, etc., al di là degli accordi di valorizzazione con le comunità, non si giustifica il ruolo ultroneo che ricoprono le Regioni. Ruolo che anche a livello europeo comincia ad essere sempre meno riconosciuto in favore di politiche “place-based”. Si veda A.BRUNO “Confutazioni e soluzioni…” ibidem pag. 20 e ss.
[civ] Ancorché la Costituzione preveda all’art.117 terzo comma la competenza per la valorizzazione dei beni culturali in capo alle Regioni. Sul tema della confusione tra obblighi di tutela e obblighi di fruzione/valorizzazione trattata dall’autore in “Confutazioni e soluzioni per l’applicazione del dlgs 228/11 al settore dei beni culturali: messa a sistema dei servizi pubblici culturali quali livelli essenziali delle prestazioni”, in www.diritto.it, 27/06/2018, pag.20 e ss., si veda anche M. DUGATO, Fruizione e valorizzazione dei beni culturali come servizio pubblico e servizio privato di utilità pubblica, in www.aedon.ilmulino.it, n. 1/2007, par. 4., C. CARMOSINO, Le modalità e i luoghi della fruizione, in L. CASINI (a cura di), La globalizzazione dei beni culturali, Bologna, 2010, 207 e 208, L. DEGRASSI, La “fruizione” dei beni culturali nell’ordinamento italiano e comunitario in EA (a cura di), Cultura e Istituzioni. La valorizzazione dei beni culturali negli ordinamenti giuridici, Milano, 2008, 146, ss., P. CARPENTIERI in “Fruizione, valorizzazione, gestione dei beni culturali Relazione tenuta al convegno “Il nuovo codice dei beni culturali e del paesaggio. Prospettive applicative” su AvvocatiAmministrativisti.it e A.ACCADIA, L.ALFIDI, G.PANASSIDI I beni culturali e paesaggistici 2006 Sole 24 Ore, pag. 43
[cv] “By active cultural participation, we mean a situation in which individuals do not limit themselves to absorb passively cultural stimuli, but are motivated to make use of their skills to contribute to the process: Not simply hearing music, but playing; not simply reading texts, but writing, and so on. By doing so, individuals challenge themselves to expand their capacity of expression, to re-negotiate their expectations and beliefs, to reshape their own social identity” in “Culture 3.0. Cultural participation as a source of new forms of economic and social value creation: A European perspective P. L.SACCO, G. FERILLI, G. TAVANO BLESSI, pag. 29
[cvi] Cfr., Corte di Conti, Sezione di controllo Lombardia, delibera 64/2017
[cvii] Per come suggerito da A.L.TARASCO “ in “Il patrimonio culturale modelli di gestione e finanza pubblica”, 2017, pag. 199 e ss, e pag.278
[cviii] A.BRUNO, R.P.DAVID in “Appunti sul recupero alla fruizione di beni marginalizzati, imprese culturali ed aiuti di stato” su Territori della Cultura , n.38, 2018 pag. 102-116
[cix] A.L. TARASCO “Diritto e gestione del patrimonio culturale”, Laterza, 2019, pag. 219
[cx] Sempre Tarasco sottolinea che la disciplina giuridica dei diversi istituti e luoghi della cultura non può che essere la risultante della peculiarità di ciascuno dei 570 siti statali, incluse la redditività economica e l’attrattività turistica. Conseguentemente alcuni siti potranno essere riguardati come aziende culturali, mentre altri come aziende non-profit. Da qui il “fallimento del modello attuale che prevede l’identica gestione pubblica e l’identica modalità di apertura al pubblico di tutti i 570 siti” (A.L.TARASCO, “Diritto e…”, ibidem, pag. 222-223).
[cxi] Estratto da A.L. TARASCO “Diritto e gestione del patrimonio culturale”, Laterza, 2019, pag. 274. Tra le misure per la redditività economica della gestione l’autore suggerisce l’accorpamento delle collezioni museali, librarie e archivistiche presso istituti più visitati. Per quanto condivisibile sul piano logico, la misura contrasta con le attuali emergenze climatiche e risulta non coerente con gli odierni imperativi contro la congestione e favorevoli al distanziamento sociale. L’attuazione della sussidiarietà verticale ed orizzontale per coinvolgere le comunità locali nella gestione non può non prevedere il decentramento delle risorse sui territori di origine dei reperti archeologici o dei beni artistici. Se serve integrare l’offerta culturale sul territorio con l’offerta ambientale, alimentare, artigianale e turistica, la prima non può essere solo immateriale ma anche relativa ai beni materiali originati da quelle culture manifestatesi sul territorio.
[cxii] Come da esperienze dell’ Agence du Patrimoine Immatériel de l’Etat (APIE) francese e del Non-Departmental Public Body (NDPB) inglese e della similare società in house “Difesa Servizi Spa”, prevista dall’art.535 del Codice Ordinamento Militare di cui al D.Lgs 15 marzo 2010 n. 66, che si occupa di alcune delle mansioni sopra elencate. Cfr., A.L. TARASCO, “Diritto e…”, ibidem , pag. 282.284. Sono numerose le analisi dottrinarie sull’istituto agenziale: per sintesi si rimanda alla nota 27 pag. 280-281 dell’autore ult.cit, a L.CASINI, E..CHITI “L’organizzazione” in G.NAPOLITANO (a cura di) Diritto amministrativo Comparato, Giuffrè, Milano, 2007, pag.61 e ss. e a S.CINCIMINO “Le determinanti del buon governo nelle esperienze delle agenzie di sviluppo locale”, Aracne Roma 2012.
[cxiii] A.L. TARASCO, “Diritto e…” ibidem , pag. 279
[cxiv] Council of the European Union, Brussels, 13 December 2019 (OR. en) 14958/19
[cxv] Proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio recante le disposizioni comuni applicabili al Fondo europeo di sviluppo regionale, al Fondo sociale europeo Plus, al Fondo di coesione, al Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca e le regole finanziarie applicabili a tali fondi e al Fondo Asilo emigrazione, al Fondo per la Sicurezza interna e allo Strumento per la gestione delle frontiere e i visti – Strasburgo, 29.5.2018COM(2018) 375 final2018/0196 (COD)
[cxvi] relativo ad “un’Europa più vicina ai cittadini attraverso la promozione dello sviluppo sostenibile e integrato delle zone urbane, (rurali e costiere) e di tutte le altre zone, delle iniziative locali” (“OS 5”)
[cxvii] Commissione Europea, Bruxelles, 14.1.2020 COM(2020) 23 final 2018/0196 (COD)
[cxviii] A.BRUNO, R.P. DAVID “Dalla Convenzione di Faro alla programmazione europea 2021-2027: nuove sfide e suggestioni” in Territori della Cultura 2019, n. 38 pag.36-45
[cxix] Gli Obiettivi Specifici sono definiti all’articolo 2 della Proposta di regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio relativo al Fondo europeo di sviluppo regionale e al Fondo di coesione {SEC(2018)268final} Strasburgo, 29.5.2018COM(2018) 372 final2018/0197 (COD)
[cxx] Cfr, documenti della Commissione UE per il Recovery Plan: Communication: The EU budget powering the recovery plan for Europe, 2020 Adjusted Commission Work Programme
[cxxi] Presidenza del Consiglio dei Ministri DPCOE Programmazione della politica di coesione 2021-2027 Tavolo 5 “Un’Europa più vicina ai cittadini” Sintesi degli esiti del confronto partenariale, pag. 7-8
[cxxii] Presidenza del Consiglio dei Ministri DPCOE Programmazione della politica di coesione 2021-2027 Tavolo 5 “Un’Europa più vicina ai cittadini” Sintesi degli esiti del confronto partenariale, pag. 9
[cxxiii] DPCOE Programmazione, etc., idem pag. 12
[cxxiv] CONSIGLIO DI STATO, Sez.Cons.Atti normativi, 5 aprile 2004
[cxxv] Sul tema si esprime molto chiaramente CARLA BARBATI “Il Mibact si conferma pertanto privo di sedi organizzative capaci di assicurare un efficace raccordo con le autonomie, specie dopo la soppressione decisa con l’art.6 comma 1 del D.Lgs 256/2006 delle Commissioni Regionali per i beni e le attività culturali”, “soppressione che fu giudicata meritevole di ripensamento da parte del Consiglio di Stato” per come riportato nel testo. Si veda C.BARBATI in “Organizzazione e soggetti” in “Diritto del Patrimonio Culturale”, di C.Barbati, M. Cammelli, L.Casini, G.Piperata, G. Sciullo, 2017, pag. 138. A tale tesi della Barbati si rifà la presente proposta di modifica normativa.
[cxxvi] Con legge ordinaria il Parlamento può attribuire alle regioni “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia” sulla base di un’intesa fra lo Stato e la regione interessata. Tale facoltà è prevista dall’articolo 116, terzo comma, Cost., introdotto con la riforma costituzionale del 2001, ma fino ad oggi mai attuato. Nella parte conclusiva della XVII legislatura si è registrato l’avvio dei negoziati con il Governo su iniziativa delle regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto. Il 28 febbraio 2018 si è giunti alla definizione di tre distinti accordi “preliminari”, ciascuno sottoscritto dal rappresentante del Governo e dal Presidente della regione interessata, con cui le parti hanno inteso dare rilievo al percorso intrapreso e alla convergenza su principi generali, metodologia e un (primo) elenco di materie in vista della definizione dell’intesa per l’attribuzione dell’autonomia differenziata. L’attenzione all’istituto del regionalismo differenziato si è registrata solo nella parte conclusiva della legislatura in concomitanza con l’esito del referendum popolare con cui non è stata confermata la riforma costituzionale (A.S. n.1429-D). Si veda, Servizio Studi del Senato “XVIII legislatura Il processo di attuazione del regionalismo differenziato”, Dossier n. 104, febbraio 2019, pag. 7.
[cxxvii] Il MIBACT ha costituito e partecipa alla “Fondazione Museo Egizio” e nonostante ciò finanzia le attività proposte dalla Fondazione.
[cxxviii] Si veda, “Assetto dei Gal: aspetti giuridico-amministrativi e fiscali” di Rete Nazionale per lo Sviluppo Rurale, 2007, ATI INEA – AGRICONSULTING
[cxxix] Per l’autopoiesi applicata alle comunità e sistemi sociali si veda Fritjof Capra “La rete della vita”, BUR, 1996, pagg.232-236 e 328
[cxxx] Immagine usata da M.CAMMELLI nell’introduzione di “Diritto del Patrimonio Culturale”, di C.Barbati, M. Cammelli, L.Casini, G.Piperata, G. Sciullo, 2017.
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