La struttura sanitaria non risponde dell’ictus anche se il medico ha sospeso la cardiospirina per eseguire un intervento. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Indice
1. I fatti: la sospensione della medicina e l’ictus
Un paziente affetto da ipertensione arteriosa si era sottoposto ad un esame presso una struttura sanitaria locale da cui era emerso che aveva un edema maculare all’occhio sinistro e il sanitario gli aveva suggerito di sottoporsi ad un intervento chirurgico al corpo citrale di detto occhio (precisamente di eseguire una iniezione di tramcinolo intravitreale).
Il paziente aveva acconsentito all’esecuzione del predetto intervento ed era stata fissata la data per la sua esecuzione in day hospital.
In ragione delle condizioni di ipertensione arteriosa in cui versava il paziente e della conseguente assunzione di cardioaspirina per contenere i possibili effetti negativi di detta patologia, i chirurghi oftalmici che avrebbero dovuto eseguire l’intervento, secondo quanto riferito dall’attore, gli avevano dato indicazioni di sospendere l’assunzione della cardioaspirina 5 giorni prima dell’esecuzione dell’intervento.
L’attore sosteneva inoltre di aver effettivamente sospeso l’assunzione del predetto farmaco nei tempi indicati.
Il giorno dopo l’esecuzione dell’intervento, il paziente veniva colpito da ictus ischemico, con esiti invalidanti.
Il paziente agiva quindi giudizialmente nei confronti della struttura sanitaria ritenendo che l’evento ischemico fosse riconducibile alla sospensione della cardioaspirina e che detta indicazione data dai sanitari fosse stata errata nonché ritenendo di non essere stato adeguatamente informato circa i rischi di natura trombotica cui sarebbe stato esposto in caso di sospensione dell’assunzione del farmaco.
La struttura sanitaria si costituiva in giudizio chiedendo il rigetto della domanda risarcitoria dell’attore, in quanto l’ictus cerebrale che aveva colpito il paziente aveva avuto genesi cardio-embolica e trombo-embolica e quindi la cardioaspirina non avrebbe comunque impedito l’evento nonché in quanto al paziente era stato fornito un adeguato e completo consenso informato sulla natura dell’intervento e sui possibili rischi. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
Giuseppe Cassano | Maggioli Editore 2024
58.90 €
2. Le valutazioni del Tribunale sulla responsabilità della struttura
Preliminarmente, il giudice ha passato in rassegna alcuni principi base della responsabilità della struttura sanitaria in caso di eventi di malpractice medica.
In particolare, il giudice ha ricordato che il rapporto che si instaura tra il paziente e la struttura sanitaria ha fonte in un atipico contratto a prestazioni corrispettive, con effetti protettivi nei confronti del terzo: il contratto di spedalità, da cui derivano a carico della struttura sanitaria obblighi di tipo latu sensu alberghieri e obblighi di messa a disposizione del personale medico ausiliario, del personale paramedico e dell’apprestamento di tutte le attrezzature necessarie.
Avendo fonte il rapporto in un contratto tra le parti, la responsabilità della struttura sanitaria ha carattere contrattuale.
Essa può discendere dall’inadempimento delle obbligazioni che incombono direttamente sulla struttura sanitaria, sia dall’inadempimento della prestazione medico professionale svolta dai sanitari di cui la struttura si avvale (anche se gli stessi non sono legati da un rapporto di lavoro subordinato).
Le conseguenze sul piano probatorio che derivano dal carattere contrattuale della responsabilità della struttura sanitaria sono ormai pacifiche in giurisprudenza.
Sul paziente che agisce per il risarcimento del danno, grava l’onere di provare la relazione causale che intercorre tra l’evento di danno lamentato (cioè l’aggravamento della patologia ovvero l’insorgenza di una nuova patologia) e l’azione o l’omissione della struttura e/o del sanitario di cui la stessa si è avvalsa per eseguire la prestazione.
Sulla struttura sanitaria grava l’onere di provare la non imputabilità dell’azione o dell’omissione suddetta, fornendo la prova che il mancato o inesatto adempimento è stato determinato da un evento imprevedibile ed inevitabile secondo l’ordinaria diligenza.
Per quanto riguarda, invece, l’accertamento del nesso di causalità, si può ritenere che una condotta umana si pone come causa dell’evento nella catena degli antecedenti che hanno concorso a produrlo se, eliminata mentalmente la condotta (nel caso di condotta attiva) o introdotta nella catena causale la condotta omessa (nel caso di condotta omissiva), l’evento dannoso non si sarebbe in concreto verificato.
Tale accertamento, inoltre, viene compiuto – in ambito civilistico – applicando il criterio del “più probabile che non”.
In secondo luogo, dopo l’accertamento del nesso di causalità tra condotta ed evento, dovrà essere accertata la sussistenza dell’elemento soggettivo in capo ai sanitari: cioè il dolo o la colpa.
Per quanto riguarda la colpa, si deve considerare che gli esercenti le professioni sanitarie, nell’esecuzione delle prestazioni sanitarie si attengono, salve le specificità del caso concreto, alle linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.
Potrebbero interessarti anche:
3. La decisione del Tribunale
Nel caso di specie, il giudice ha ritenuto che l’attore non abbia fornito la prova del nesso di causalità, in quanto dall’istruttoria svolta in giudizio è emerso che la condotta dei sanitari della struttura sanitaria non abbiano avuto alcuna incidenza causale sullo sviluppo dell’ictus ischemico avuto dall’attore, né sulla sua durata, né tanto meno sulla qualità di vita dell’attore. Inoltre, la condotta posta in essere dai sanitari non è risultata connotata da negligenza p imperizia, quanto piuttosto adeguata e conforme alle linee guida e alle buone prassi del settore di riferimento.
In particolare, i periti nominati d’ufficio nel giudizio hanno ritenuto che vo, non è possibile affermare con ragionevole grado di certezza che sia stata proprio la sospensione della cardioaspirina nei cinque giorni precedenti l’intervento a causare l’ictus cerebrale ischemico che ha colpito l’attore ed anzi, alla luce dell’eziopaziogenesi di detto evento, si può ritenere che l’ictus abbia avuto una eziopatogenesi cardioembolica, sulla quale la sospensione della cardioaspirina risulta ininfluente. Inoltre, i periti nominati d’ufficio hanno altresì accertato che il tipo di intervento cui doveva essere sottoposto il paziente (cioè l’iniezione intravitreale) presentava un rischio emorragico e quindi il suggerimento di sospendere la terapia (qualora fosse stato fornito dai sanitari) era comunque da ritenersi opportuno.
Conseguentemente, il giudice ha ritenuto di dover escludere che l’evento dannoso subito dall’attore potesse essere ritenuto come conseguenza causale della condotta posta in essere dai sanitari lamentata dall’attore.
Infine, per quanto riguarda la lesione del diritto al consenso informato lamentata dall’attore, il giudice ha ritenuto che il paziente aveva ricevuto una corretta informazione e che non era stato leso il suo diritto ad un’informazione completa funzionale ad un pieno esercizio del diritto costituzionale alla salute.
In particolare, dall’istruttoria svolta in giudizio è emerso che al paziente era stata consegnata la scheda informativa per il trattamento delle maculopatie e ivi erano indicati i rischi del relativo intervento (che poi egli ha eseguito), con particolare indicazione anche del fatto che la sospensione di terapia antiaggreganti e anticoagulanti aumenta il rischio di complicanze tromboemboliche.
In ogni caso, il giudice ha rilevato che la lesione del diritto all’autodeterminazione non vi è comunque stata in quanto l’attore non ha fornito alcuna prova dell’eventuale diversa scelta, cui si sarebbe determinato, nel caso in cui egli avesse ricevuto delle inforrmazioni diverse o più accurate sui rischi connessi all’intervento che ha eseguito.
In considerazione di tutto quanto sopra, il giudice ha rigettato tutte le domande formulate da parte attrice.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento