È onere della struttura sanitaria informare il paziente dell’esito negativo di un esame istologico. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Indice
1. I fatti: la responsabilità della struttura sanitaria
I tre fratelli e la madre di un paziente adivano il tribunale campano per chiedere il risarcimento dei danni dai medesimi subiti, per perdita del rapporto parentale, a seguito della morte del proprio congiunto che gli stessi addebitavano alla condotta negligente di un ospedale locale.
In particolare, gli attori sostenevano che il proprio congiunto era stato ricoverato nel 2003 presso il nosocomio per un intervento di asportazione di un leioma nodulare al gomito sinistro e nello stesso giorno un campione del materiale asportato era stato inviato per l’esame istologico. Tuttavia, l’ospedale negli anni successivi non aveva mai provveduto alla consegna del referto istologico al paziente e quindi egli non aveva mai saputo nulla circa il suo esito.
A distanza di sette anni, il paziente era stato ricoverato d’urgenza presso un ospedale toscano e da un esame radiografico ai polmoni era emerso un focolaio morboso. Sottoposto quindi a un nuovo prelievo del materiale rinvenuto, il successivo referto accertava la presenza di un sarcoma. Il paziente aveva soltanto a quel punto richiesto all’ospedale campano il referto dell’esame istologico di 7 anni prima e all’esito del suo esame l’oncologo lo aveva sottoposto a vari cicli di chemioterapia che avevano portato al degrado psico-fisico il paziente con abbandono del lavoro e grave danno affettivo per la famiglia. Infine, il paziente era morto 4 anni dopo a causa del tumore.
La struttura sanitaria convenuta negava ogni addebito mosso dai familiari del paziente, sostenendo che quest’ultimo non aveva mai provveduto né al ritiro del referto del 2003, né ad informarsi sull’esito dello stesso, nonostante fosse stato informato che la prassi dell’ospedale prevedeva che il paziente dovesse preoccuparsi del ritiro. In secondo luogo, la struttura sanitaria sosteneva che la cartella clinica del paziente conteneva anche la copia dell’esame istologico in questione (insieme agli altri referti ed indagini di laboratorio) e che l’ospedale aveva diligentemente provveduto alla sua conservazione ed a fornire immediatamente la documentazione ivi contenuta non appena era stata richiesta dal paziente, il quale invece per anni non l’aveva mai richiesta. Per approfondire questa materia, consigliamo il volume Manuale pratico operativo della responsabilità medica
Manuale pratico operativo della responsabilità medica
La quarta edizione del volume esamina la materia della responsabilità medica alla luce dei recenti apporti regolamentari rappresentati, in particolare, dalla Tabella Unica Nazionale per il risarcimento del danno non patrimoniale in conseguenza di macrolesioni e dal decreto attuativo dell’art. 10 della Legge Gelli – Bianco, che determina i requisiti minimi delle polizze assicurative per strutture sanitarie e medici. Il tutto avuto riguardo all’apporto che, nel corso di questi ultimi anni, la giurisprudenza ha offerto nella quotidianità delle questioni trattate nelle aule di giustizia. L’opera vuole offrire uno strumento indispensabile per orientarsi tra le numerose tematiche giuridiche che il sottosistema della malpractice medica pone in ragione sia della specificità di molti casi pratici, che della necessità di applicare, volta per volta, un complesso normativo di non facile interpretazione. Nei singoli capitoli che compongono il volume si affrontano i temi dell’autodeterminazione del paziente, del nesso di causalità, della perdita di chances, dei danni risarcibili, della prova e degli aspetti processuali, della mediazione e del tentativo obbligatorio di conciliazione, fino ai profili penali e alla responsabilità dello specializzando. A chiusura dell’Opera, un interessante capitolo è dedicato al danno erariale nel comparto sanitario. Giuseppe Cassano, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche della European School of Economics di Roma e Milano, ha insegnato Istituzioni di Diritto Privato presso l’Università Luiss di Roma. Avvocato cassazionista, studioso dei diritti della persona, del diritto di famiglia, della responsabilità civile e del diritto di Internet, ha pubblicato numerosissimi contributi in tema, fra volumi, trattati, voci enciclopediche, note e saggi.
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2. Le valutazioni del Tribunale
Preliminarmente, il giudice ha evidenziato come nel caso di danni da perdita del rapporto parentale che vengono invocati iure proprio dai congiunti di un paziente deceduto, la responsabilità della struttura sanitaria è qualificabile come extracontrattuale. Ciò in quanto il rapporto contrattuale sussiste soltanto tra il paziente e la struttura sanitaria e i congiunti del primo non sono qualificabili come “terzi protetti dal contratto” anzidetto.
Infatti, l’efficacia protettiva nei confronti dei terzi del contratto di spedalità concluso tra paziente e struttura sanitaria si verifica soltanto se l’interesse di cui detti terzi sono portatori è strettamente connesso all’interesse protetto dal contratto.
In considerazione del regime di responsabilità extracontrattuale, grava sui congiunti del paziente deceduto l’onere di provare l’illeicità della condotta posta in essere dal sanitario e il suo nesso di causalità con la morte del congiunto.
In applicazione del predetto principio, quindi, gli attori nel caso di specie avrebbero dovuto dimostrare, da un lato, che la mancata comunicazione al paziente del referto istologico fosse addebitabile ai sanitari della struttura sanitaria e quindi che non fosse un onere del paziente acquisire detto referto.
Dall’altro lato, che qualora vi fosse stata una comunicazione tempestiva dei risultati del referto, si sarebbe potuto evitare la degenerazione in tumore della malattia del paziente e quindi la morte di quest’ultimo.
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3. La decisione del Tribunale
Il giudice ha ritenuto condivisibile la valutazione compiuta dai CTU, secondo cui nell’esecuzione dell’escissione chirurgica del tessuto neoplastico, compiuta nel 2003 dai sanitari della struttura sanitaria, era stato commesso un errore tecnico da parte dei medici. Infatti, i sanitari non avevano asportato completamente la neoplasia sul gomito sinistro del paziente.
In considerazione di ciò, all’esito dell’esame istologico, i sanitari avrebbero dovuto convocare urgentemente il paziente per comunicargli che l’intervento di asportazione non era stato correttamente eseguito e che sarebbe stato necessario eseguire un nuovo intervento chirurgico al fine di asportare completamente il lemiosarcoma.
Secondo il CTU la mancata tempestiva comunicazione del referto ha avuto una rilevanza determinante nella morte del paziente perché dal referto emergeva che l’intervento praticato non era stato compiuto in maniera corretta da un punto di vista tecnico, in quanto il sarcoma non era stato rimosso integralmente, e che pertanto il paziente avrebbe dovuto sottoporsi ad un altro intervento per la rimozione delle parti di sarcoma ancora rimaste nel suo corpo.
Quindi il giudice – facendo proprie le conclusioni del CTU – ha ritenuto che la mancata informazione del paziente sui risultati dell’esame istologico insieme all’errore tecnico compiuto in occasione dell’asportazione del tessuto neoplasico, sono stati la causa dell’evoluzione negativa della patologia neoplasica che aveva il paziente e che l’ha portato al tumore e quindi alla morte. Invece, se detta patologia fosse stata trattata in maniera adeguata in tempi utili, con grande probabilità non avrebbe condotto alle metastasi dieci anni dopo e quindi alla morte del paziente.
In conclusione, il giudice ha ritenuto che comunque gli obblighi di garanzia connessi all’esercizio della professione sanitaria e la salvaguardia del bene primario della salute pongono a carico del medico una responsabilità non derogabile.
Pertanto, una prassi – tra l’altro neanche provata in giudizio – della struttura sanitaria, in forza della quale era il paziente che doveva informarsi sull’esito dell’esame e non invece il medico ad informarlo, non può essere idonea a superare i predetti obblighi di garanzia.
In ogni caso, secondo il giudice, nel caso di specie non sarebbe stato neanche sufficiente per la struttura sanitaria comunicare al paziente il referto, per andare esente da responsabilità. In quanto sarebbe stato necessario informarlo della gravità della situazione e della necessità di effettuare un ulteriore intervento chirurgico per asportare integralmente il sarcoma (posto che il primo intervento non era stato eseguito correttamente).
In considerazione di quanto sopra, il giudice ha concluso per la responsabilità della struttura sanitaria, alla quale ha ritenuto addebitabile la suddetta condotta omissiva colposa dei sanitari, anche se non è stato individuato il medico a cui incombeva l’obbligo di effettuare la comunicazione del referto al paziente.
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