Volume consigliato
La disciplina dei reati in materia di stupefacenti
Forte della consolidata esperienza degli Autori, l’opera si pone quale strumento utile al Professionista per affrontare la trattazione dei reati in materia di stupefacenti, nell’ambito dell’aula giudiziaria.Aggiornato alla recente giurisprudenza, il volume costituisce una vera e propria guida, privilegiando l’analisi degli aspetti operativi e processuali e fornendo una rassegna giurisprudenziale al termine di ogni singolo capitolo.L’opera si completa di un dettagliato indice analitico che permette un’agevole consultazione, realizzando il diretto richiamo a tutte le singole questioni trattate.Il volume include una rassegna giurisprudenziale al termine di ciascun capitolo.Santi BolognaMagistrato ordinario con funzioni di giudice distrettuale per le indagini preliminari presso il Tribunale di Caltanissetta, già Giudice del dibattimento presso la Prima sezione penale del Tribunale di Caltanissetta. Docente, ad incarico, nella materia del Diritto penale presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali costituita dall’Università degli studi di Enna Kore, negli anni accademici 2017-2021. Ha curato la redazione dei Capp. I, III, V.Alessandro BoscoMagistrato ordinario in tirocinio presso il Tribunale di Roma, già abilitato all’esercizio della professione forense. Dottore di ricerca in Diritto pubblico presso l’Università degli studi di Roma «Tor Vergata», Cultore della materia presso l’Università LUISS «Guido Carli» di Roma e l’Università degli studi di Roma «Tor Vergata». Ha curato la redazione dei Capp. XI, XII, XIII.Alfredo SpitaleriMagistrato dal 2017, è Giudice del Tribunale di Siracusa dove ha svolto fino al 2020 le funzioni di Giudice del dibattimento penale. Si è occupato di numerosi e rilevanti procedimenti in materia di Criminalità organizzata, stupefacenti e reati contro la persona. Attualmente svolge le funzioni di Giudice civile presso lo stesso Tribunale. Ha curato la redazione dei Capp. II, IV, VI, VII, VIII, IX, X.
Santi Bologna, Alessandro Bosco, Alfredo Spitaleri | 2021 Maggioli Editore
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La distinzione normativa risultante dal D.P.R. 309/90, in conseguenza delle modifiche apportate dalla L. 49/2006.
Il D.P.R. 309/90, comunemente conosciuto come Testo Unico in materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope, ha avuto un’altisonante importanza storica e la sua emanazione comportò l’apertura di un acceso (e mai sopito) dibattito pubblico avente ad oggetto, in particolare, il trattamento sanzionatorio riservato al semplice consumatore: la legge, infatti, puniva non solo lo spaccio di sostanze stupefacenti o psicotrope, ma anche la mera detenzione per uso personale. Dapprima la situazione mutò in conseguenza del referendum abrogativo del 1993, con cui si è declassato l’uso personale di suddette sostanze in illecito amministrativo. Fu poi il decreto legge 30 dicembre 2005, n. 272 – convertito in legge 21 febbraio 2006 n. 49 – ad inasprire sensibilmente le sanzioni relative alle condotte di “produzione, traffico, detenzione illecita ed uso di sostanze stupefacenti”, comportando la contestuale abolizione di qualsivoglia distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti. Si rammenta al riguardo che la Corte Costituzionale, con la famosa sentenza 32/2014 ha ridefinito le pene applicabili al reato di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti: per quanto riguarda le sole pene detentive, se il fatto riguarda le cosiddette “droghe leggere” si potrà avere l’applicazione di una pena da 2 a 6 anni di reclusione, mentre in caso di cessione di cosiddette “droghe pesanti”, la pena potrà variare tra gli 8 e i 20 anni di reclusione.
In merito a quanto anzidetto, si ricordi che l’art. 73 D.P.R. 309/90 punisce con la reclusione da sei a vent’anni e con la multa da € 26.000 a € 260.000 “chiunque coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alla tabella I prevista dall’articolo 14”.
L’art. 75 (dal 2006), invece, sottopone ad una delle sanzioni amministrative menzionate dallo stesso dettato normativo “chiunque, per farne uso personale, illecitamente importa, esporta, acquista, riceve a qualsiasi titolo o comunque detiene sostanze stupefacenti o psicotrope”. Per maggior chiarezza, le sanzioni a cui si fa riferimento sono:
- Sospensione della patente di guisa, del certificato di abilitazione personale per al guida di motoveicoli e del certificato di idoneità alla guida di ciclomotori o divieto di conseguirli per un periodo fino a tre anni;
- Sospensione della licenza di porto d’armi o divieto di conseguirla;
- Sospensione del passaporto e di ogni altro documento equipollente o divieto di conseguirli;
- Sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario.
L’interessato, inoltre, ricorrendone i presupposti, dovrà seguire un programma terapeutico e socio-riabilitativo in relazione alle proprie specifiche esigenze.
Art. 73 c. 5 D.P.R. 309/90: I fatti di lieve entità.
Il legislatore nel 2013 è intervenuto sull’articolo 73 D.P.R. 309/90, con il D.L. n. 146/2013, modificando in primis la cornice edittale di riferimento, ed in secundis riconoscendo il comma 5 del predetto articolo quale fattispecie autonoma di reato, invertendo la precedente rotta che lo concepiva quale mera circostanza attenuante. Orbene, al comma 5 è prevista la riduzione della pena (reclusione da 6 mesi a 4 anni e la multa da 1.032 a 10.329) se la condotta criminosa, per i mezzi, le modalità o le circostanze ovvero per la quantità e qualità delle sostanze, è di lieve entità. La Corte di Cassazione ha chiarito, con sentenza n. 13982/2018, i criteri di distinzione tra un fatto “lieve” ed un fatto rientrante nella fattispecie di cui all’art 73. Secondo la Suprema Corte, la valutazione dell’offensività della condotta non può essere ancorata unicamente al quantitativo spacciato o detenuto, ma occorre tener conto delle concrete capacità di azione del soggetto ed alle sue relazioni con il mercato di riferimento, avendo riguardo all’entità della droga movimentata in un particolare lasso di tempo, alla rete organizzativa, al numero di assuntori riforniti, alle modalità adottate al fine di porre in essere determinate condotte illecite al riparo da controlli delle forze dell’ordine. In parole semplici, non si può ritenere quale fatto di lieve entità quello compiuto nel quadro della gestione di una piazza di spaccio, che dunque è caratterizzata da una organizzazione di supporto, finalizzata ad assicurare uno stabile commercio di sostanze stupefacenti.
Per la Cassazione, inoltre, la lievità o meno della condotta deve essere affrontata caso per caso[1], ed il Giudicante deve determinare il trattamento sanzionatorio più adeguato alle specifiche circostanze e modalità del caso[2].
Art. 75 D.P.R. 309/90: Il procedimento davanti al prefetto.
“Accertati i fatti di cui al comma 1, gli organi di polizia procedono alla contestazione immediatamente, se possibile, e riferiscono senza ritardo e comunque entro 10 giorni, con gli esiti degli esami tossicologici sulle sostanze sequestrate effettuati presso le strutture pubbliche di cui al comma 10, al prefetto competente ai sensi del comma 13”. Il procedimento davanti al prefetto inizia a seguito dell’invio, da parte dell’autorità, del verbale di contestazione dell’illecito di uso personale di droga. Entro 90 giorni da quando viene ricevuta la segnalazione, il prefetto, qualora ritenga fondato l’accertamento, adotta un’apposita ordinanza e convoca, dinanzi a sé o ad un suo delegato, la persona colta in possesso di droga e valuta, a seguito di un colloquio con la stessa, le sanzioni amministrative più adeguate da irrogare e la loro durata, nonché formula l’invito a intraprendere un percorso di recupero.
Qualora l’interessato è un minorenne, il prefetto convoca i genitori o chi ne esercita la potestà.
Entro 50 giorni dalla ricezione degli eventuali scritti difensivi della persona trovata in possesso di sostanza stupefacente, nel caso in cui non venga emessa ordinanza motivata di archiviazione degli atti, contestualmente all’ordinanza con cui, dunque, è ritenuto fondato il motivo dell’accertamento, il prefetto convoca la persona segnalata. Qualora quest’ultima non si presenti al colloquio, troverà applicazione l’irrogazione automatica di una delle sanzioni amministrative previste dalla norma.
Avverso l’ordinanza con cui il prefetto ritiene fondati i motivi posti alla base dell’accertamento e convoca la persona segnalata, può essere proposta opposizione al giudice di pace entro 10 giorni da quando la notifica perviene all’interessato. In caso di minorenne, l’opposizione deve essere proposta al Tribunale per i minorenni.
Diversamente, contro il decreto col quale il prefetto irroga una sanzione ed eventualmente formula l’invito ad intraprendere un percorso di recupero presso una comunità, può essere fatta opposizione dinanzi al giudice di pace entro 30 giorni. Anche in tal caso, qualora si tratti di persona minorenne, l’opposizione viene proposta al Tribunale per i minorenni.
Quando risulta che l’interessato si sia sottoposto con esito positivo al programma di recupero, il prefetto revoca la sanzione irrogata, e ne da comunicazione al questore ed al giudice di pace competente.
Inoltre, dopo la riforma del 2005, la durata delle sanzioni è stata riformata in base alla fondamentale distinzione tra “droghe pesanti” (per cui la sanzione può durare per un periodo da 2 mesi ad 1 anno) e “droghe leggere” (per cui la sanzione può durare da 1 a 3 mesi).
Ai sensi del c. 14 dell’art. 75, in conclusione, nel caso di prima segnalazione e di particolare tenuità della violazione, tale per cui ricorrano elementi utili a far presumere che la persona interessata si asterrà, in futuro, dal commetterli nuovamente, il prefetto può definire il procedimento con il formale invito a non fare più uso di sostanze stupefacenti (c.d. ammonizione del prefetto), in luogo delle suddette sanzioni.
La difficoltà oggettiva a distinguere, nei casi specifici, l’uso personale dallo spaccio.
Ma come può, l’autorità giudiziaria, accertare che la sostanza stupefacente rinvenuta in possesso di un soggetto sia destinata ad uso personale anziché allo spaccio?
Ebbene, per comprendere quando la detenzione di droga sia posseduta a fini di spaccio anziché a fini di consumo personale, occorre considerare il quantitativo e la modalità del possesso.
Ai sensi del decreto del Ministero della Salute pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 95 il 24 aprile scorso, son stabiliti come limiti massimi:
- 250 milligrammi di principio attivo per l’eroina, corrispondenti a circa 1,7 grammi di sostanza lorda e a 10 dosi
- 750 milligrammi di principio attivo per la cocaina, circa 1,6 grammi lordi e 5 dosi;
- 500 milligrammi di principio attivo per la cannabis, marijuana, hashish che corrispondono a 5 grammi lordi e a 15-20 “spinelli”;
- 750 milligrammi (5 compresse) di principio attivo per MDMA (l’ecstasy);
- 500 milligrammi (5 compresse) di principio attivo per l’anfetamina;
- 0,150 milligrammi di principio attivo, cioè 3 “francobolli” per Lsd.
In breve, colui che viene colto in possesso di tali sostanze stupefacenti entro i suddetti limiti quantitativi, si presume utilizzi la droga a fini di uso personale; la conseguenza è l’impossibilità di essere indagati per violazione dell’art. 73 D.P.R. 309/90, bensì si potrà integrare la violazione della fattispecie di cui all’art. 75 D.P.R. 309/90 che, come abbiamo detto precedentemente, è stato derubricato ad illecito amministrativo.
Ma il “quantitativo” non è l’unico parametro da cui può desumersi con certezza se il soggetto in possesso di droga sia intenzionato a spacciarla o a consumarla personalmente. “Il superamento del limite quantitativo fissato rappresenta solo uno dei parametri normativi rilevanti ai fini della sussistenza del reato, e l’esclusione della destinazione della droga ad un uso strettamente personale ben può essere ritenuta dal giudice anche in forza di ulteriori circostanze”[3]. Orbene, possono essere plurime le ulteriori “circostanza dell’azione” da tenere in considerazione a tal fine, come la modalità di presentazione della sostanza, la divisione della stessa in dosi preconfezionate o il ritrovamento di denaro contante nelle tasche di colui che deteneva la droga. Oggigiorno, la maggior parte della Giurisprudenza ritiene che la condotta del tossicodipendente che detenga sostanza stupefacente in presenza di altre circostanze aggiuntive (come, appunto, la suddivisione della sostanza in dosi preconfezionate, il ritrovamento di denaro contante etc.), possa far ragionevolmente ritenere una detenzione finalizzata allo spaccio[4]. Inoltre, seppur a fronte di una modica quantità rinvenuta e suddivisa in dosi, è necessaria la valutazione circa le modalità comportamentali del soggetto che le detiene, astrattamente idonee a giustificare una destinazione ad uso esclusivamente personale[5].
In conclusione, occorre sottolineare come non spetti all’imputato o alla sua difesa la dimostrazione dell’uso personale della droga detenuta ma, al fine di ritenere un soggetto responsabile del reato di spaccio, è l’accusa a dover dimostrare la detenzione della droga per uso diverso da quello personale.
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Note
[1] Cass. Pen., Sez VI, Sent. n. 46495/2017.
[2] Cass. Pen., Sez. VI, Sent. n. 39374/2017.
[3] Cass. Pen. Sent. n. 7578/2019.
[4] Cass. Pen., Sez. IV, Sent. n. 29648/2016; Cass. Pen. Sez. IV, Sent. n. 37037/2008.
[5] Cass. Pen. Sent. n. 352574/2018.
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