Subordinazione ed autonomia nel rapporto di lavoro sportivo

Redazione 20/03/20
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Di seguito un breve disamina relativa alla natura del rapporto di lavoro sportivo e alla sua qualificazione in termini di rapporto di lavoro subordinato o autonomo.

Il presente contributo sul rapporto di lavoro sportivo è tratto da “Diritto dello Sport” (AA. VV.) a cura di Giuseppe Cassano e Antonio Catricalà.

La controversa questione della qualificazione del rapporto di lavoro dello sportivo professionista

Nel corso dei lavori preparatori della Legge 91/1981 il Parlamento dovette affrontare la controversa questione della qualificazione del rapporto di lavoro dello sportivo professionista.

Dalla lettura del D.l. 367/1978 (che esclude l’applicazione della normativa sul collocamento di cui alla Legge 29 aprile 1949, n. 264 e s.m.i.) emerge come il legislatore inizialmente avesse riconosciuto nel rapporto di lavoro dello sportivo professionista i caratteri della specialità ed autonomia. Anche il Disegno di legge n. 1838 approvato dal Senato della Repubblica il 2 luglio 1980 (che portò all’emanazione della Legge 91/1981), propose una qualificazione di tale rapporto di lavoro nell’alveo dell’autonomia, richiamando nello specifico la forma della collaborazione coordinata e continuativa.

Ciononostante, a seguito delle numerose discussioni parlamentari, venne ritenuto opportuno qualificare la prestazione dell’atleta professionista come prestazione di lavoro subordinato.

Tale scelta venne trasfusa nell’art. 3 della Legge 91/1981.

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La “presunzione di subordinazione” nel rapporto di lavoro sportivo

La norma in questione pone in essere una “presunzione di legge” volta ad individuare la natura del rapporto di lavoro intercorrente tra atleta e società sportiva professionistica. In particolare, in base alla norma, la prestazione dell’atleta professionista costituisce tout court oggetto di contratto di lavoro subordinato, regolato dalle norme della medesima Legge 91/1981.

La “presunzione di subordinazione” dell’atleta trova un limite nel comma secondo dell’articolo 3 in parola, che individua tre ipotesi di lavoro sportivo professionistico autonomo, determinate in funzione delle modalità di esecuzione della prestazione.

La prestazione dell’atleta professionista dovrà, infatti, essere considerata come di lavoro autonomo nel caso in cui:
a) l’attività sia svolta nell’ambito di una singola manifestazione sportiva o di più manifestazioni tra loro collegate in un breve periodo di tempo;

  1. b) l’atleta non sia contrattualmente vincolato per ciò che riguarda la frequenza a sedute di preparazione od allenamento;
  2. c) la prestazione che è oggetto del contratto, pur avendo carattere continuativo, non superi otto ore settimanali oppure cinque giorni ogni mese ovvero trenta giorni ogni anno.

Quanto al primo requisito, non sussistono particolari difficoltà interpretative: difatti, la partecipazione ad una singola manifestazione o a più manifestazioni concentrate in un breve lasso di tempo non presenta i requisiti dell’inserimento stabile nella struttura aziendale o dell’etero-direzione dell’attività che, secondo giurisprudenza e dottrina, costituisce il discrimen nella qualificazione di un rapporto di lavoro subordinato. In effetti, anche in mancanza di un’espressa previsione normativa, l’impegno assunto in tali casi non avrebbe concretamente reso possibile una connotazione subordinata del rapporto di lavoro (Spadafora).

L’assenza di vincoli contrattuali relativi all’obbligatoria partecipazione a sedute di allenamento e preparazione, secondo requisito posto dall’articolo 3, risulta di fatto essere la fattispecie più conferente al lavoro autonomo. In questa ipotesi, a determinare le modalità di svolgimento dell’attività sportiva sarebbe l’atleta stesso, il quale gestirebbe le tempistiche, sceglierebbe le attività di allenamento e preparazione atletica da svolgere e, paradossalmente, avrebbe la facoltà di omettere ogni eventuale controllo e verifica in merito allo stato della propria preparazione fisica e atletica. Peraltro, appare evidente come una siffatta modalità di svolgimento dell’attività sportiva sarebbe maggiormente adatta agli sport individuali.

In riferimento alla citata ipotesi prevista dall’art. 3, comma 2, lett. c), della Legge 91/1981, è stato evidenziato come il legislatore abbia voluto aprioristicamente escludere l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato a quei rapporti che si caratterizzano per una breve durata della prestazione, negando valore giuridico al requisito della continuità che, seppur imperfetta, li caratterizzerebbe (Cantamessa, Riccio, Sciancalepore).

Autonomia e “occasionalità” della prestazione

In definitiva, sembrerebbe che l’elemento che accomuna le tre ipotesi di autonomia del rapporto di lavoro dell’atleta previste dalla Legge 91/1981 sia rinvenibile nell’“occasionalità” della prestazione derivante dalla breve, se non brevissima, durata della prestazione.

Ad ogni buon conto, appare evidente come quelle previste dal più volte citato articolo 3 siano ipotesi residuali rimaste sostanzialmente prive di attuazione.

Proseguendo con l’analisi del tema di che trattasi, si evidenzia, innanzitutto, un’incompatibilità tra gratuità della prestazione dell’atleta e lavoro sportivo subordinato e, in secondo luogo, che la scelta del legislatore di applicare la “presunzione di subordinazione” è stata riferita solamente alla figura professionale dell’atleta e non alle altre previste dall’articolo 2 della Legge in esame (confronta gli articoli 2 e 3 della Legge 91/1981).

Ne consegue che per i tecnici, direttori sportivi e i preparatori atletici professionisti, la qualificazione del rapporto dovrà essere effettuata sulla base dei criteri discretivi ordinari di diritto del lavoro, come individuati dalla giurisprudenza e dalla dottrina. Tali criteri saranno illustrati nel paragrafo relativo al rapporto di lavoro dei dilettanti; giova qui sottolineare che per le figure di sportivi professionisti diversi dall’atleta, ciò che rileva ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato sono esclusivamente le concrete modalità di esecuzione del rapporto (Cass. civ., sez. lav., 1 agosto 2011, n. 16849, in CED Cassazione; così anche Cass. civ., 8 settembre 2006, n. 19275, in Mass. Giur. It., 2006, p. 1617).

È interessante evidenziare che, mentre gli accordi collettivi sottoscritti dalle associazioni di categoria rappresentative degli sportivi professionisti, generalmente, disciplinano i rapporti inquadrandoli come di lavoro subordinato, gli accordi collettivi sottoscritti dall’A.Di.Se. (Associazione Italiana Direttori Sportivi) Lega Pro e FIGC prevedono la facoltà per le parti di adottare il modello dell’autonomia o della subordinazione (anche part-time), scegliendo il relativo “contratto tipo” a tal fine predisposto.

Il presente contributo sul rapporto di lavoro sportivo è tratto da “Diritto dello Sport” (A.A. V.V.) a cura di Giuseppe Cassano e Antonio Catricalà. Per approfondire il tema della formazione del contratto di lavoro sportivo, sia autonomo che subordinato, leggi le pagine 139 ss.

Diritto dello Sport

Aggiornata alle recenti determinazioni del CONI, l’opera affronta a tutto tondo il diritto sportivo, ponendosi come strumento utile al Professionista che debba affrontare questioni relative alla contrattualistica, al regime di responsabilità dei soggetti coinvolti, nonché alla tutela dei diritti derivanti dai rapporti con le società sportive, sia a livello nazionale che europeo.Le tematiche principali trattate sono: – La disciplina delle società sportive;- Il contratto di lavoro sportivo e i contratti di sponsorizzazione, licensing e merchandising;- La condizione giuridica degli sportivi stranieri;- I diritti televisivi;- La responsabilità civile e l’illecito sportivo;- La giustizia sportiva.L’organicità dell’opera permette di avere chiaro il quadro complessivo del diritto sportivo, prestando particolare attenzione ai diritti e ai doveri dei protagonisti del settore.Stefano BastianonInsegna Diritto Europeo dello Sport nell’Università degli Studi di Bergamo.Angela BusaccaInsegna Diritto Sportivo nell’Università degli Studi di Reggio Calabria.Maria CimminoInsegna Diritto dello Sport nell’Università degli Studi di Napoli Parthenope.Massimo Rubino De RitisInsegna Diritto ed economia delle imprese sportive nell’Università degli Studi della Campania Luigi Vanviltelli.Alessandro IzarInsegna Diritto del Lavoro Sportivo nell’Università degli Studi di Milano Bicocca.Roberta LombardiInsegna Diritto dello Sport nell’Università degli Studi del Piemonte Orientale.Marcello PieriniInsegna Diritto dell’Unione Europea Sport e Comunicazione nell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo.Maria Pia PignalosaInsegna Diritto Privato dello Sport, Legislazione Sportiva e Illecito Sportivo nell’Università degli Studi di Roma Foro Italico.Maria Francesca SerraInsegna Diritto Sportivo nell’Università degli Studi di Roma Niccolò Cusano.Francesco Paolo TraisciInsegna Diritto dello Sport nell’Università degli Studi del Molise.

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