SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Il problema dell’inerzia della pubblica amministrazione nella prospettiva dei principi di collaborazione e buona fede. – 3. Buona fede e giudicato amministrativo: l’accezione lata di “rapporto” tra cittadino e pubblica amministrazione. – 4. La collaborazione come parametro di legittimità dei diversi modi di amministrare. In particolare: a proposito delle leggi-provvedimento. – 5. Conclusioni.
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Introduzione.
Il D.L. 16 luglio 2020, n. 76 convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, apporta sostanziali modifiche alla disciplina del procedimento amministrativo.
Il presente scritto intende avanzare un’ipotesi ricostruttiva assumendo, come punto di partenza, l’innesto dei principi di collaborazione e buona fede nell’ottica della semplificazione dei procedimenti e dei rapporti con le pubbliche amministrazioni.
Come si evince dal novellato art. 1, l. 241/90, sotto la rubrica dei principi generali dell’attività amministrativa, “i rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai principi della collaborazione e della buona fede”.
L’espresso richiamo ai principi della collaborazione e della buona fede, intesi alla stregua di valori fondativi dei rapporti tra cittadini e pubblici poteri, si attaglia bene al proposito di fissare, in formula definitiva, quanto già riecheggia nel formante giurisprudenziale, in ordine alle prospettate ipotesi di condizionamento della sfera pubblicistica da parte di principi generali di tutt’altra derivazione: privatistica, a tutta prima, ma è ben nota l’opposta tendenza a non scindere alla radice i due rami dell’ordinamento[1].
Lo stesso novum normativo si pone, invero, a chiusura dei principi e criteri direttivi dell’azione amministrativa senza schiudere la natura dei rapporti – privatistica o pubblicistica – richiamati.
Superata l’originaria ritrosia a riconoscere l’applicazione della buona fede (recte: oggettiva) in ambito pubblicistico[2], le più recenti elaborazioni dottrinali[3] si mostrano da tempo avvezze agli interrogativi di fondo che suscita, nel diritto amministrativo, la sistematica delle clausole generali, in particolare per quel che concerne il relativo ambito di applicazione, la stessa portata dei principi, le conseguenze della loro violazione, i rapporti con gli istituti già innestati nel tessuto normativo.
Sicché, tra le interpolazioni susseguitesi nella legge n. 241/90, quella da ultimo intervenuta parrebbe rimarcare la tendenza con cui principi non scritti e clausole generali convergono, a ben vedere, verso un fondamento assiologico comune[4], attraverso un circolo virtuoso che vede i primi trovare, nelle seconde, un fermo ancoraggio, alla stregua di espedienti normativi in grado di adattarsi al mutare dei tempi e degli ordinamenti[5].
Donde il ricorso alle clausole generali in ogni ramo del diritto.
Così argomentando, può dirsi analogo l’ampio orizzonte della tecnica legislativa adoperata in sede di riforma dell’art. 21-novies[6], in occasione della quale si era prospettata una nuova visione dei rapporti tra cittadini e P.A[7].
A parità di visioni, dalla cornice di solidarietà cui promanano ex art. 2 Cost., buona fede e collaborazione permeano la generalità dell’ordinamento giuridico, enucleano una essenza valoriale che ne giustifica la trasversalità[8], sottendono valori tali da non esaurire il proprio campo di applicazione nel diritto privato, e tanto meno nelle sole ipotesi in cui la p.a. agisce iure privatorum.
In ogni caso, un punto fermo dal quale muovere, in premessa, è l’ulteriore considerazione che i principi di cui si discuterà dovrebbero comunque informare tanto i “rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione” quanto l’attività creativa dell’interprete. Creatività, da un lato, “vincolata” alla propria matrice giuspositivista[9] (art. 101 Cost.); dall’altro, ispirata da esigenze di continuità della tradizione giuridica.
Sotto quest’ultimo aspetto, la visione testè menzionata sembra guidare, ora come allora, la penna del legislatore, a rimarcare, una volta di più, il primato delle garanzie nei confronti delle potestà pubblicistiche[10].
Il commento alla normativa seguirà un approccio olistico alle problematiche trattate, nel senso di una prima, globale riflessione sui possibili punti di contatto con i principi in oggetto. Ciò seguendo una logica top-down che dai principi muove verso alcuni tra gli istituti fondamentali della legge sul procedimento amministrativo, anch’essi investiti dalla riforma.
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Il problema dell’inerzia della pubblica amministrazione nella prospettiva dei principi di collaborazione e buona fede
Non vi è motivo per dubitare che l’osservanza dei principi di cui si discute sia resa esigibile da ambo le parti del rapporto amministrativo[11], data l’intrinseca valenza commutativa da riconoscersi sì alla buona fede ma anche, e soprattutto, alla collaborazione nella sua geometrica polarità, talché un soggetto collabora con l’altro e questi fa altrettanto.
A conferma di ciò, la disciplina generale sul procedimento offre argomenti normativi e sistematici: fra tutte, può dirsi a tal fine eloquente l’analogia con il nesso di reciprocità fra il potere, spettante al responsabile del procedimento, di ottenere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete ex art. 6, comma I, lett. b), l. 241/90, e il dovere del privato di collaborare all’evasione della richiesta delle informazioni[12] necessarie alla prosecuzione del procedimento.
Crocevia, in ambito pubblicistico, delle questioni legate alla collaborazione tra privati e pubbliche amministrazioni, è il problema del cortocircuito informativo, quale può aversi in conseguenza di omissioni imputabili all’una o all’altra delle parti del rapporto.
Sbrogliando il coacervo di rapporti intersoggettivi sotto la lente garantista, la giurisprudenza e la dottrina si sono dedicate, con acribia, all’inerzia dei soggetti pubblici[13], rapportandone le conseguenze in tema di responsabilità al problema della gestione dei flussi documentali e, più in generale, degli obblighi informativi[14].
Ciò nella maturata consapevolezza che la collaborazione, ancor più dal lato pubblicistico del rapporto, si lega alla certezza[15] dei rapporti e delle azioni, all’agire in modo informato, con tutti i crismi e le cautele di una fuga dal diritto privato[16] di categorie tipicamente regimentate altrove[17].
E’ significativo che l’acquisizione di informazioni rientri tra le ipotesi legittimanti la sospensione dell’iter procedimentale[18] e che fuori da queste si parli di meri atti cc.dd soprassessori[19], fattispecie in cui l’arresto di ogni attività pregiudica l’interesse del privato alla conclusione del procedimento, senza sapere se e quando l’amministrazione lo informerà in merito. Com’è evidente, entra in gioco il fattore tempo.
Per tale via, occorre prendere abbrivio dal nuovo art. 21 octies, l. 241/90, come modificato dal decreto semplificazioni[20] in relazione all’art. 10 bis l. cit. La novella rende, da ultimo, annullabile il provvedimento finale adottato in assenza della previa instaurazione del contraddittorio sui motivi di rigetto, come garantita dal relativo preavviso, escludendo la prova liberatoria della P.A. circa il contenuto comunque ineluttabile del provvedimento finale.
Sul punto, si può allora avanzare l’ipotesi che la discovery anticipata sui motivi di rigetto, di per sè funzionale alla partecipazione difensiva del privato, assuma portata più estesa se raffrontata alla dimensione temporale del principio di collaborazione. Rileva, ancora una volta, la gestione dei tempi del procedimento: e così, non sospendere il termine di conclusione dove, per contro, l’art. 10 bis impone di sospendere, varrebbe quale esempio di condotta espressiva di una collaborazione mancata col privato, in tanto pretermesso dal confronto con la P.A. in quanto non informato, per tempo, sull’esito negativo del procedimento. Collaborazione, qui, funzionale, se si consente, ad esigenze di deflazione del contenzioso, laddove per contro l’attuale art. 21-octies circostanzia i motivi di impugnazione, come si è visto, sulla base dell’ipotesi inversa di omessa comunicazione del preavviso di rigetto.
Sempre la dimensione temporale della (mancanza di) collaborazione consente di tenere in debita considerazione l’inerzia della P.A. in tutti i casi collimanti con il consolidamento di situazioni potenzialmente illegittime.
A tale stregua, il principio di collaborazione, assieme a quello di buona fede, intercettano l’acclarata prospettiva d’oltralpe della c.d. “behordliche Duldung”, della “deliberata mancanza di intervento da parte della autorità competente rispetto ad una condotta o una situazione illegittima”[21].
Ipotesi, questa, non dissimile, sul piano della collaborazione, dall’intervento non tempestivo, che sopraggiunga a notevole distanza di tempo rispetto ai termini legalmente previsti.
Paradigmatica, in proposito, è la spendita del potere di autotutela “tardivo”[22]. E’ invalso l’orientamento giurisprudenziale che, nella ricognizione dei relativi presupposti, ha ammesso il ricorso all’annullamento d’ufficio oltre i termini di legge nelle more del giudizio di responsabilità per il reato di falso, al ricorrere di false o comunque erronee rappresentazioni dei privati[23].
I principi impressi nel novum normativo inducono, in tali situazioni, interpretazioni maggiormente aderenti alla lettera della legge, se non ispirate da esigenze di equità. Ciò che consentirebbe di non “isolare” le valutazioni sul coefficente soggettivo del privato e di arginare facili automatismi, sul presupposto che anche l’inerzia dell’amministrazione seppur “non idonea…a far divenire legittimo ciò che è sin dall’origine illegittimo[24]”può, invero, disvelare un concorso di colpa tra le due parti del rapporto[25]. E, con esso, l’esigenza di equidistribuire i rispettivi doveri di informazione.
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Buona fede e giudicato amministrativo: l’accezione lata di “rapporto” tra cittadino e pubblica amministrazione.
Già si è detto supra come tra le modifiche apportate dal decreto semplificazioni risalti un notevole restyling della figura del c.d. preavviso di rigetto[26].
Senza qui indugiare ulteriormente sugli inediti profili di invalidità dell’istituto[27], di particolare rilievo, ai fini che qui interessano, è la parte in cui l’art. 10 bis, l.241/90 dispone che “in caso di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato, nell’esercitare nuovamente il suo potere l’amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall’istruttoria del provvedimento annullato”.
Per comprendere il senso del richiamo alla disposizione testè citata, nell’economia della disamina dei principi generali, all’indomani del nuovo art. 1, comma 2 bis, l. 241/90, è sufficiente mettere in correlazione buona fede e giudicato amministrativo, avendo come contesto di riferimento la fase di riesercizio del potere[28].
Sul presupposto che un tale accostamento non è affatto alieno alla giurisprudenza del Consiglio di Stato[29], emerge come il concetto di ottemperanza al giudicato appaia modulabile proprio attraverso il dovere di diligenza enucleabile dal principio di collaborazione e dalla buona fede.
In special modo la norma, lì dove positivizza una preclusione rispetto a profili rilevabili in sede di riedizione, pare presuppore l’obbligo dell’Amministrazione di sollevare, nelle fasi pregresse alla rinnovazione del procedimento, ogni questione che ritenga dirimente ai fini dell’assolvimento dell’obbligo motivazionale, senza possibilità di fondare altro diniego sulla base di rilievi già deducibili, benché mai addotti in precedenza.
Nell’ipotesi in cui la pubblica amministrazione riproduca, per la prima volta, quei motivi ostativi già emergenti dall’istruttoria del provvedimento annullato, potrebbe così configurarsi non solo una violazione del dovere di diligenza – fatto discendere dai principi generali di solidarietà e buona fede – ma anche stridente rispetto al principio già elaborato, in via pretoria, del c.d. “one shot temperato[30]”, al quale la novella sembra, invero, potersi riallacciare.
Il ricorso al suddetto principio è atto a impedire, com’è noto, che la rinnovazione del provvedimento annullato possa sgorgare da motivazioni sempre cangianti[31], attraverso una gestione del potere potenzialmente elusiva del giudicato ovvero non pienamente in linea con gli effetti conformativi della sentenza.
Non appare, perciò, peregrina l’ipotesi qui formulabile ossia che per effetto del nuovo art. 1 comma 2 bis, l. 241/90, farebbe il suo ingresso una nozione lata di “rapporto” tra cittadini e pubblica amministrazione, posta l’omissione di indici spazio-temporali, per nulla specificati dalla norma.
In tal senso, il generico rimando ai “rapporti tra cittadini e pubblica amministrazione” ben potrebbe spiegarsi dalla necessità, invero già perorata dalla giurisprudenza, di ricomprendervi estensivamente anche i rapporti successivi alla sentenza di annullamento, sì da accedere ad una efficacia precettiva del comma 2 bis tale da coprire anche la fase dell’esecuzione.
Possibili violazioni del nuovo art. 10 bis si prestano ad esemplificare tale avventura interpretativa, lasciando peraltro scoperto l’interrogativo se, al ricorrente che lamenti il vizio di motivazione sotto il profilo della duplicazione di motivi già enucleati nell’istruttoria pregressa, sia possibile dedurre, già dinanzi al giudice per l’ottemperanza, la violazione dei principi di buona fede e collaborazione, con rilievo assorbente rispetto alla questione della natura (discrezionale ovvero puntuale e concreta) del provvedimento rinnovato dalla P.A. Laddove, per contro, è ben nota la soluzione per cui l’assenza di margini di discrezionalità, dettata dalla natura puntuale e concreta del provvedimento controverso, segna, in giurisprudenza, la summa divisio tra processo di ottemperanza (sede dei provvedimenti non discrezionali) e di cognizione[32].
E’ sì vero che, riportando la violazione de principio di buona fede sotto la fattispecie della violazione di legge (recte: dell’art. 1, comma 2 bis, l. 241/90), laddove comunque residuino margini di discrezionalità, si avrebbe pur sempre a che fare con un vizio di legittimità, rilevabile fuori dei casi di ottemperanza[33].
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La collaborazione come parametro di legittimità dei diversi modi di amministrare. In particolare: a proposito delle leggi-provvedimento.
Volendo ora sciogliere l’endiadi alla quale, a termini del nuovo comma 2 bis, risultano avvinte buona fede e collaborazione, nel tentativo di una primissima lettura del secondo fra i due concetti, si riconosce d’acchito un parallelismo con il significato di partecipazione[34].
In quest’ottica e, segnatamente, in quella della partecipazione procedimentale, la collaborazione, quale sinonimo di apporto conoscitivo, scambio informativo, confronto dialogico, può essere letta e interpretata sotto la lente deflattiva dell’istruttoria procedimentale[35].
Così opinando, ed assumendo che quella del procedimento amministrativo sia l’unica area ad esaurire l’ambito della collaborazione, incombe certo il rischio di incorrere nel duplicato di un principio generale dell’ordinamento, già correlato con i canoni di imparzialità e buon andamento[36].
Peraltro, l’indeterminatezza intenzionale[37] della clausola in esame è ciò che consente di rapportarla al problema, di portata più ampia e generale, delle istanze collaborative dei cittadini in ciacuna delle modalità di produzione normativa e provvedimentale ammesse dall’ordinamento: ça va sans dire, verrebbe da dire che il principio di collaborazione, emancipandosi dalla l. 241/90, dovrebbe assicurare la più estesa copertura garantista proprio in ragione dell’apertura pluralistica della dizione “rapporti”, sino a ricomprendere i molteplici modi di amministrare.
Di guisa che la norma aprirebbe ad un’interpretazione a contrario in grado di vagliare, anche sotto il profilo della collaborazione, quel modo di provvedere che, sovente, si estrinseca legiferando.
La ragione che induce qui ad alludere al fenomeno delle leggi-provvedimento[38] è nell’accennato parallelismo con le garanzie partecipative il quale, se nulla aggiunge alla nozione procedimentale di collaborazione, al contrario offre spunti di riflessione se inquadrato nel “trittico istituzionale” legislatore-amministrazione-cittadini.
Per inciso, le leggi-provvedimento rispondono ai requisiti formali delle leggi ordinarie ma al contempo mirano a disciplinare singoli casi concreti alla stregua di un provvedimento amministrativo, scontando così la perdita dell’astrattezza e della generalità proprie dell’atto legislativo[39].
Parimenti, il recepimento, a livello legislativo, di una discplina già oggetto di provvedimenti a contenuto particolare e concreto, presta il fianco a possibili compressioni del diritto dei cittadini di contribuire alla costruzione delle decisioni amministrative.
Proprio quell’interferenza tra poteri, pur non escludendo, in astratto, la frammentarietà dei modi di produrre diritto[40], renderebbe, peraltro, operante la norma sul principio di collaborazione ogniqualvolta il richiamato principio interagisca con il sindacato di ragionevolezza e non arbitrarietà[41].
Di qui il mancato superamento del giudizio di legittimità costituzionale da parte di leggi viziate per il loro deficit di partecipazione, ad onta della particolare natura degli interessi coinvolti[42].
Ne deriva che la norma oggi recante il principio di collaborazione, attagliandosi ad un modello di democrazia partecipativa[43], si presterebbe ad una lettura estensiva delle garanzie procedimentali e finache alla stregua di parametro di legittimità dei diversi modi di amministrare, in prossimità dei doveri sanciti dalla Costituzione[44].
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Conclusioni.
La selezione delle questioni trattate, nell’ordine dei suesposti paragrafi, è certamente parziale ed esemplificativa.
Essa vorrebbe, al più, confermare come buona fede e collaborazione, scalando la gerarchia delle fonti scritte del diritto amministrativo, ben si prestino ad avere portata trasversale e uniformante, in due direzioni: in primo luogo, nel senso di contribuire a preservare l’idea di un’Amministrazione quale parte attiva del rapporto con gli amministrati, non avulsa dal substrato valoriale che fa da cornice, come si è detto supra, ad una democrazia partecipativa; in seconda battuta, nel restituire un’immagine più ampia dei rapporti stessi, che sia lo specchio di un ordine istituzionale dove conoscere le leggi non consista solo nel “tenerne a mente le parole, ma impossessarsi anche dello spirito e della forza che le sostanzia”.
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Note
[1]G. Tarello, L’interpretazione della legge, Milano, 1980, p. 401; G. Napolitano, Pubblico e privato nel diritto amministrativo, Milano, 2003; G. Taccogna, Applicabilità dei principi del diritto privato al procedimento amministrativo?; M. Trimarchi, Dalle lezioni di Salvatore Pugliatti. Diritto civile e diritto amministrativo, 2017; F. Rinaldi, Contributo allo studio della buona fede eterointegrativa e rimediale: da fenomeno pregiuridico a regola, pubblica e privata, di validazione degli atti?, in dirittifondamentali.it, Fasc. 1/2019.
[2]F. Merusi, Il principio di buona fede nel diritto amministrativo, in Scritti per Mario Nigro, II, Milano, 1991, p. 117.
[3]F. Manganaro, Principio di buona fede e attività della amministrazioni pubbliche, Napoli, 1995.
[4]G. Alpa, I principi generali. Una lettura giusrealistica, in giustizia civile, riv. trim., n. 4/2014.
[5]“Vale a dire disposizioni di limitato contenuto, che richiedono di essere concretizzate dall’interprete tramite valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica” così Cass. Civ., sez. lav., 26 marzo 2018, n. 7426 in merito alla portata delle clausole generali.
[6]Vedasi le modifiche introdotte dalla c.d. riforma Madia del 2015.
[7]“Una visione nuova dei rapporti tra cittadini e poteri pubblici, che sembra valorizzare maggiormente quella che viene definita la “seconda anima” del diritto amministrativo, quella legata alla garanzia nei confronti del potere, rispetto alla “prima anima”, legata all’imperium”. Così Carbone, La riforma dell’autotutela come nuovo paradigma dei rapporti tra cittadino e amministrazione pubblica, in www.giustizia amministrativa.it, 3 giugno 2017.
[8]A proposito della portata “valoriale” dei principi, quali “regole di secondo grado giuridicamente vincolanti che…inglobano anche valori”, ancora Alpa, I principi cit.
[9]F. Roselli, clausole generali e nomofilachia, in www.cortedicassazione.it
[10]Scongiurando, quantomeno in tal senso, il rischio paventato da J.H. Von Kirchmann, Die Wertlosigkeit der Jurisprudenz als Wissenschaft, Stuttgart, 1848, che “poche parole nuove del legislatore spezzino la continuità della tradizione giuridica”.
[11]In proposito, si richiama l’ambito di indagine proposto da M. Protto, Il rapporto amministrativo, Milano, 2008.
[12]Dovere che, commutativamente, viene addossato, quando richiesti, anche ai soggetti pubblici, “inteso nella specifica accezione della necessaria cooperazione tra amministratori e amministrati, nonché del principio di buona fede”, così in tema di soccorso istruttorio Santise, Coordinate ermeneutiche di diritto amministrativo, Torino, 2017, p. 214 con ampi riferimenti alla giurisprudenza.
[13]F. Merusi, La certezza dell’azione amministrativa fra tempo e spazio, in Tempo, spazio e certezza dell’azione amministrativa, Atti del XLVIII Convegno di studi di Scienza dell’Amministrazione, Varenna, settembre 2002, Milano, Giuffrè, 2003; S. Cimini, Buona fede e responsabilità da attività provvedimentale della P.A., in uniurb.it, ove ampi richiami alla giurisprudenza.
[14]Rispetto ai quali esigenze di collaborazione si intrecciano con esigenze di imparzialità: cfr, ad esempio, il dovere di segnalare, ex art. 6-bis, l. 241/90, situazioni di conflitti di interesse oppure il dovere di pubblicare, ex art. 12, l. 241/90, criteri e modalità cui la P.A. deve attenersi nell’adozione di provvedimenti attributivi di vantaggi economici.
[15]F. Merusi, Sentieri interrotti della legalità. La decostruzione del diritto amministrativo, Bologna, Il Mulino, 2007, p. 39; S. Cimini, Buona fede cit.
[16]La formula “fuga dal diritto privato” è di origine germanica, per come utilizzata da S. Cassese, Diritto privato/diritto pubblico: tradizione, mito o realtà?, in Dialoghi con Guido Alpa, un volume offerto in occasione del suo LXXI compleanno, a cura di G. Conte, A. Fusaro, A. Somma, V. Zeno-Zencovich, Roma, 2018.
[17]Donde immediato è il riferimento alle dinamiche negoziali ovvero alla governance corrente tra gli amministratori e i soci di una società per azioni. Sul tema, G.M.Zamperetti, Il dovere di informazione degli amministratori nella governance della società per azioni, Milano, 2005.
[18]Art. 2, comma 7, l. 241/90.
[19]Cons. St. n. 1211 del 17 luglio 2020.
[20]Art. 21 octies: “(…) Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. La disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell’articolo 10-bis.”
[21]Doveroso il richiamo alle considerazioni fatte da Rotolo, Riconoscibilità del precetto penale e modelli innovativi di tutela. Analisi critica del diritto penale dell’ambiente, Torino, 2018, ove ampi richiami alla dottrina tedesca in tema rilevante.
[22]v. art. 21-nonies, comma 2 bis, l. 241/90.
[23]P. Cerbo, Brevi note sul potere di autotutela tardivo, in Giur. it., 2020, n. 3; V. T.A.R. Calabria, Reggio Calabria, 12 marzo 2019, n. 155, che richiama sul punto TAR Calabria, Catanzaro, Sez. II, 25 settembre 2018, n. 1604, secondo cui ‘‘allorquando una concessione edilizia in sanatoria sia stata ottenuta in base ad una falsa, o comunque erronea, rappresentazione della realta` materiale, e` consentito alla P.A. esercitare il proprio potere di autotutela, ritirando l’atto, senza necessita` di esternare alcuna particolare ragione di pubblico interesse che, in tale ipotesi, deve ritenersi sussistente in re ipsa’’ (in senso conforme si veda anche T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 7 novembre 2016, n. 5141).
[24]Cons. St., Ad. Plen. n. 9 del 21 giugno – 7 ottobre 2017, a proposito dell’ordine di demolizione sopravvenuto a distanza di svariati anni da un abuso edilizio.
[25]In senso concorde, P. Cerbo, Brevi note cit.
[26]Per un commento alla riforma dell’art. 10 bis, v. D. Profili, Decreto semplificazioni e procedimento amministrativo – il nuovo preavviso di rigetto, in ildirittoamministrativo.it.
[27]Si è già osservato come il nuovo art. 21 octies, l. 241/90 renderebbe, invero, annullabile il provvedimento finale adottato in assenza della previa instaurazione del contraddittorio sui motivi di rigetto, come garantita dal relativo preavviso, escludendo la prova liberatoria della P.A. sul contenuto comunque ineluttabile del provvedimento finale.
[28]Per ampi approfondimenti sulla tematica richiamata, v. G. Mari, Ottemperanza e riesercizio del potere, in Libro dell’anno del diritto, 2014.
[29]v. ex multis, Ad. Plen. 15 gennaio 2013, n. 2, con il commento di G. Mari, Ottemperanza cit.
[30]Cons. Stato, III, 14 febbraio 2017, n. 660.
[31]Cons. Stato, IV, 54 marzo 2011, n. 1415.
[32]Cons. Stato, IV, 28 maggio 2013, n. 2899.
[33]Così, espressamente, Cons. Stato, IV, 28 maggio 2013, n. 2899.
[34]Casetta, Manuale di diritto amministrativo, 2014, p. 426 e ss.
[35]Tracce evidenti di una simile equazione si rinvengono, invero, già nei contributi dedicati all’istituto della partecipazione, cfr. ad esempio Cassese, La partecipazione dei privati alle decisioni pubbliche. Saggio di diritto comparato, in Riv. Trim. Dir. Pubbl., 13; M. De Benedetto, voce Partecipazione, in Diritto on line, 2015.
[36]Così a proposito della partecipazione procedimentale Cons. St. sez. IV, 25 settembre 1998, n. 569 e Cons. St. sez. V, 22 settembre 2001, n. 2823.
[37]S. Rodotà, Il tempo delle clausole generali, in Riv. Crit. Dir. Priv., 1987, 728 e ss.; F. Rinaldi, Contributo cit.
[38]Per un’ampia rassegna delle annesse questioni, con precipuo riguardo al dialogo tra Corti cfr. F. Zammartino, Le leggi provvedimento nelle giurisprudenze delle Corti nazionali ed europee tra formalismo interpretativo e tutela dei diritti, in rivistaaic.it, n. 4/2017.
[39]Donde il problematico rapporto con le garanzie procedimentali: non ne sarebbe assistito il provvedimento che “nasce” come fosse una legge, con conseguente lesione delle più elementari garanzie (contraddittorio, partecipazione, motivazione, impugnabilità dinanzi al giudice amministrativo…). Ancora sulle leggi-provvedimento, G. Rescigno, Leggi provvedimento costituzionalmente ammesse e leggi provvedimento costituzionalmente illegittime, Relazione esposta al 53° convegno di studi amministrativi di Varenna – 22 settembre 2007.
[40]Dovendosi al più parlare di “riserva di procedimento amministrativo”, che rimette alla PA la ponderazione degli interessi in gioco, cfr. Morbidelli, Note sulla riserva di procedimento amministrativo, in Studi in memoria di Franco Piga. I. Diritto costituzionale e amministrativo, Milano, 1992, p. 673; Casetta, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2014, p. 68.
[41]Così, da ultimo, Corte Cost. sent. n. 116 del 25 giugno 2020, ad avviso della quale la legittimità delle leggi-provvedimento “deve essere valutata in relazione al loro specifico contenuto, essenzialmente sotto i profili della non arbitrarietà e della non irragionevolezza della scelta del legislatore”.
[42]Sempre Corte Cost. cit. ha rilevato l’irragionevolezza della scelta di legificare, ai sensi dell’art. 34 bis, D.L. 24 aprile 2017, n. 50, conv. nella l. 21 giugno 2017, n. 96, il contenuto di un atto generale di pianificazione in materia sanitaria. La natura degli interessi coinvolti avrebbe richiesto l’attivazione dei meccanismi – in ispecie, partecipativi – funzionali al perseguimento del miglior risultato (la tutela della salute dei cittadini), attraverso l’integrazione delle conoscenze dell’Amministrazione.
[43]Lombardi, Contributo allo studio dei doveri costituzionali, Milano, 1967.; M.V. Ferroni, Le forme di collaborazione per la rigenerazione di beni e spazi urbani, in leattualitàdeldiritto.it.
[44]Cfr. artt. 2 e 3 Cost.
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