Sentenza del 23 febbraio 2016
La Corte d’Appello di Caltanissetta, confermava la pronuncia emessa dal medesimo Tribunale in composizione monocratica, e condannava S. P., medico in servizio presso il reparto psichiatrico dell’ospedale Raimondi di San Cataldo, alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre al risarcimento dei danni nei confronti delle parti civili costituite, per il reato di omicidio colposo commesso in danno della paziente L. R., suicidatasi il 2 settembre 2009.
La donna, che era affetta da schizofrenia paranoide cronica con episodi psicotici acuti, aveva subito 13 ricoveri ospedalieri, nell’ultimo dei quali, avvenuto un mese prima, era stata seguita dal medico ricorrente che le aveva somministrato cure farmacologiche da eseguire a casa. La mattina del 2 settembre 2009, la donna, accompagnata dal convivente, si presentava presso il Servizio Psichiatrico, per ingestione di un intero flacone di Serenase. Il medico, tuttavia, dopo aver constatato che la paziente si presentava “tranquilla e con gli occhi aperti, senza manifestare i sintomi tipici di una massiccia assunzione di quel farmaco di tipologia aloperidolo”, li aveva congedati.
Tornata a casa si addormentava e dopo poco, uscito il convivente, si buttava dalla finestra.
Il giudizio di appello
Contro la sentenza della Corte di Appello ricorreva il medico assumendo violazione di legge e vizio di illogicità e contraddittorietà della motivazione, oltre che travisamento della prova: la Corte territoriale avrebbe cioè, omesso l’indagine causale tra la condotta omessa e il suicidio. A tal riguardo, La Corte fa buon governo delle indicazioni che provengono dalla nota giurisprudenza delle Sezioni unite
(S.U.Franzese) del 11.09.2002 n. 30328, con particolare riferimento alla categoria dei reati omissivi impropri e allo specifico settore della attività medico-chirurgico, pervenendo ad un giudizio sull’evitabilità dell’evento basato sulle più significative acquisizioni fattuali e scientifiche afferenti al caso concreto, ampiamente
argomentato nella prospettiva dell’attuazione di tutte le misure appropriate.
Facendo applicazione di tali incontrastati principi, gli Ermellini, hanno confermato la posizione di “garanzia” del medico che si estrinseca nell’obbligo di controllo del paziente rispetto al quale il garante ha il dovere di neutralizzare gli effetti lesivi verso terzi e verso sé stessi.
Il medico psichiatra è, quindi, titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente, anche se questi non sia sottoposto a ricovero coatto, ed ha, pertanto, l’obbligo – quando sussista il concreto rischio di condotte autolesive, anche suicidiarie – di apprestare specifiche cautele (Sez. 4, n.48292 del 2008, Rv.266831, Sez. 4, n. 33609 del 14/06/2016 Rv. 267446). L’imputato d’altronde, proprio perché medico
psichiatra che aveva in cura la vittima già da mesi, di cui aveva contribuito a stilare ben 13 cartelle cliniche, non poteva ignorare né lo stato anamnestico della paziente, né la circostanza che il farmaco ingerito, essendo del tipo “aloperidolo” avrebbe sviluppato i suoi effetti dalle due alle sei ore dopo l’assunzione.
Ed ancora: la condotta negligente del medico, consistita nel non avere prospettato neppure una possibilità di ricovero, nel non aver tenuto la paziente sotto osservazione per un tempo minimo ragionevole ovvero tenere la paziente sotto controllo, anche ricorrendo a un ASO (accertamento sanitario obbligatorio), e, infine, di non aver neppure imposto al marito di attuare sulla moglie una vigilanza costante, hanno sicuramente avuto piena incidenza causale sulla condotta della vittima, ben potendo detti comportamenti, ove attuati, scongiurare l’evento concretamente verificatosi con probabilità prossima alla certezza.
Si tratta, afferma la Corte, di apprezzamento immune da censure e conforme ai principi sia in tema di causalità che di colpa.
In altre parole l’imputato, chiamato a governare il rischio nella gestione della paziente, non ha posto in essere le condotte adeguate a scongiurare il rischio suicidario, e ciò anche tenuto conto del parametro del rischio consentito, atteso il significativo grado di disattenzione manifestata in ordine alla allarmante informazione ricevuta (ingestione massiccia di farmaco), la sottovalutazione delle regole tecniche
riguardanti gli effetti del farmaco e la grave negligenza mostrata allorquando, informato di un comportamento manifestamente rivelatore di un rischio suicidario, aveva consentito che la paziente rientrasse a casa senza attivare alcun trattamento terapeutico e alcun meccanismo di controllo, così violando gli obblighi di protezione imposti al medico psichiatra.
Dalla decisione in commento emergono tre profili di particolare interesse -il fondamento dell’obbligo di garanzia in forza del quale il sanitario assume l’obbligo di curare nel modo migliore il paziente e la cui violazione rappresenta la conditio sine qua non della responsabilità a titolo di colpa; la prevedibilità di un evento potenzialmente dannoso per il paziente, impone al sanitario di mettere in atto qualsiasi attività al fine di evitare il suo verificarsi; la regola di condotta che deve guidare la valutazione del giudicante sull’accertamento del nesso causale tra la condotta omissiva del sanitario e l’evento dannoso.
Risponde, quindi, di omicidio colposo lo Psichiatra che omette adeguate misure di protezione nei confronti di paziente con chiari istinti suicida.
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