Suicidio di una minore legato ai social: la storica sentenza in UK

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Accade in Gran Bretagna, appena pochi giorni l’approvazione del Manifesto di Pietrarsa all’iniziativa lanciata dal Garante della Privacy, State of Privacy ’22, che un coroner, ossia l’equivalente del nostro medico legale, chiamato dal Giudice come consulente tecnico d’ufficio, scriva nero su bianco quella che potrebbe diventare una consulenza storica ed un precedente clamoroso: i social network, ed in particolare in questo caso Pinterest e Instagram, sarebbero direttamente responsabili per l’istigazione al suicidio di una ragazza di soli 14 anni.

>>>Sul Manifesto di Pietrarsa leggi l’articolo: Il manifesto di Pietrarsa 2022: minori tra privacy e tecnologia<<<

     Indice

  1. La vicenda
  2. Social e minori
  3. La mancanza di consapevolezza e la necessità di una normativa più stringente

1. La vicenda

Nel 2017 Molly Russel, all’epoca appena 14 anni, si tolse la vita dopo un periodo di grande depressione. E’ risultato, durante le indagini per accertare l’accaduto, che la ragazzina, nei sei mesi precedenti, aveva consultato oltre 2000 contenuti social riguardanti suicidio, depressione ed atti di autolesionismo, cosa che, secondo il medico legale, ha avuto una correlazione diretta con il suicidio messo in atto poco dopo dalla ragazza.

I social sono anche stati ritenuti responsabili di non aver adeguatamente verificato l’età della ragazza, che all’epoca dell’iscrizione alle piattaforme aveva 12 anni: Meta prevede per l’iscrizione sui propri social l’età di 13 anni, il Regolamento Europeo per la protezione dei dati personali (che comunque non si applica in UK) alza l’età minima a 16 anni, mentre in Italia la soglia è 14.

La perizia del coroner è stata fatta propria dal Tribunale di High Barnet, nord di Londra, che l’ha confermata integralmente.

2. Social e minori

Abbiamo già parlato in diversi articoli, ed in particolare in questo sul Manifesto di Pietrarsa e sull’impegno posto dal Garante e dalle Istituzioni collegate nella tutela dei minori, quanto sia importante la salvaguardia dei minori che si affacciano al mondo social.

Il suicidio della giovane Molly non è purtroppo il primo caso e tristemente non sarà l’ultimo, ma al momento risulta giuridicamente rilevante, perché per la prima volta un Tribunale ha ufficialmente stabilito una connessione diretta tra l’algoritmo dei social, che propone contenuti targettizzati secondo le preferenze manifestate da ognuno, e una conseguenza (drammatica, in questo caso) nella vita reale.

In Gran Bretagna, il nuovo Governo Truss sta per pubblicare l’Online Safety Bill, ovvero il disegno di legge per una regolamentazione dei contenuti dei Big Tech online, prevedendo multe pesantissime per i social media che non facciano filtro preventivo a contenuti pericolosi per i bambini.

In Italia e nel resto di Europa vige la legislazione in ambito protezione minori e dati personali, eppure non passa giorno in cui bambini ben al di sotto dell’età consentita sbarcano sui diversi social, attivamente, ovvero con contenuti propri, o passivamente, ossia sbandierati ai quattro venti dai genitori.

L’Autorità francese per la protezione dei dati personali (CNIL) ha condotto uno studio sull’utilizzo dei servizi digitali da parte di utenti minori di età: ne è risultato che i minori svolgono attività digitali in modo ricorrente e che la navigazione online senza il controllo da parte di un adulto è estremamente diffusa (l’82% dei minori di età compresa tra i 10 e i 14 anni ha dichiarato di svolgere attività sul web in assenza di supervisione, percentuale che aumenta fino al 95% per i ragazzi tra i 15 e i 17 anni).

L’età media di prima iscrizione ad un social è di otto anni e mezzo, mentre i genitori non sono in grado di esercitare alcun controllo o protezione sui propri figli, e paiono non avere percezione dei pericoli e dei rischi del web.

3. La mancanza di consapevolezza e la necessità di una normativa più stringente

A gran voce si richiede da più parti un intervento legislativo armonizzante che fissi regole standard e severe per arginare il problema.

Ma nessuna regola potrà mai sostituire il ruolo cruciale dei genitori e della scuola che dovrebbero congiuntamente impegnarsi in una seria opera di educazione e consapevolezza digitale.

Non è solo un problema di adescamento di minori o di contenuti sessualmente espliciti o di rischio di fare incontri pericolosi nella vita reale.

Il tema della salute psicologia e dell’algoritmo che ti propone di continuo contenuti nocivi analoghi a quelli oggetto della tua ricerca è altrettanto grave ed urgente, ed è forse dalla sua regolamentazione che bisognerebbe partire, per evitare che si ripetano episodi come quello tragico che ha colpito la famiglia Russel.

Avv. Luisa Di Giacomo

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