I padri naturali che hanno avuto figli nati fuori dal matrimonio hanno sempre il diritto a riconoscere, anche con molti anni di ritardo dalla nascita, il proprio figlio. La procedura di riconoscimento ha inizio con la presentazione di un istanza da parte del genitore che chiede il riconoscimento. La possibilità di riconoscere il figlio naturale minore di anni sedici, già riconosciuto da un genitore, costituisce un diritto soggettivo primario dell’altro genitore garantito dall’art. 30 della Costituzione, nei limiti dall’art. 250 c.c., ne consegue che il diritto al riconoscimento è solo comprimibile nell’ipotesi di una forte probabilità che lo sviluppo del minore venga compromesso per effetto del riconoscimento. (Cass. 11 febbraio 2005, n. 2878). Specificamente il secondo riconoscimento, ove vi sia opposizione da parte dell’altro genitore che per primo abbia proceduto al riconoscimento, può essere sacrificato solo in presenza di motivi gravi ed irreversibili, tali da ravvisare la probabilità di una forte compromissione dello sviluppo psico-fisico del minore. (Cass. 22 ottobre 2002, n. 14894). Diversamente, con il compimento del sedicesimo anno di età il minore diviene titolare di un autonomo potere in ordine al consenso sul riconoscimento medesimo, configurando il suo assenso quale elemento costitutivo della efficacia del riconoscimento stesso. Ne deriva che il raggiungimento da parte del minore del sedicesimo anno di età determina il venir meno della necessità del consenso del primo genitore al riconoscimento da parte dell’altro genitore. Qualora il minore non abbia compiuto il sedicesimo anno di età, il giudice potrà disporre, anche d’ufficio, l’audizione del minore per accertare se il rifiuto del consenso dell’altro genitore, che per primo abbia proceduto al riconoscimento, risponda all’interesse del figlio. Per quanto concerne la forma del riconoscimento l’art. 254 del c.c. dispone “Il riconoscimento del figlio naturale è fatto nell’atto di nascita, oppure con una apposita dichiarazione, posteriore alla nascita o al concepimento, davanti ad un ufficiale dello stato civile [o davanti al giudice tutelare] o in un atto pubblico o in un testamento , qualunque sia la forma di questo. La domanda di legittimazione di un figlio naturale presentata al giudice o la dichiarazione della volontà di legittimarlo espressa dal genitore in un atto pubblico o in un testamento importa riconoscimento, anche se la legittimazione non abbia luogo.”
Sui rapporti patrimoniali
V’è da precisare che con riferimento agli effetti del riconoscimento questo comporta, da parte del genitore che ha riconosciuto, l’assunzione di tutti i doveri e di tutti i diritti che egli ha nei confronti dei figli legittimi (art. 261 c.c.). Ne consegue che dal punto di vista strettamente patrimoniale nell’ipotesi in cui il figlio al momento della nascita venga riconosciuto da uno solo dei genitori, tenuto per l’intero a provvedere per il suo mantenimento, non viene meno l’obbligo dell’altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia di dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, essendo sorto fin dalla nascita il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato da parte di entrambi i genitori. Ne deriva, sostanzialmente, che il genitore naturale, dichiarato tale con provvedimento del giudice, non può sottrarsi alla obbligazione nei confronti del figlio per la quota posta a suo carico, ma è tenuto a provvedere, sin dal momento della nascita, e per altro verso, che il genitore il quale ha provveduto in via esclusiva al mantenimento del figlio ha azione nei confronti dell’altro per ottenere il rimborso dell’altro pro quota delle spese sostenute dalla nascita. (Cass., sez. I, 22 novembre 2009, n. 15063). Pertanto il riconoscimento del figlio naturale implica per il genitore, ai sensi dell’art. 261 c.c., l’assunzione di tutti i doveri propri della procreazione legittima, incluso quello del mantenimento ex art. 148 c.c., Infatti, con la sentenza dichiarativa di paternità, il figlio acquisisce un differente status, comprensivo del diritto al mantenimento con efficacia retroattiva fin dalla nascita. Per concludere, appare chiaro che ogni genitore deve provvedere al soddisfacimento dei bisogni dei figli in misura proporzionale al proprio reddito.
Sul cognome del figlio
L’attuale quadro normativo (artt. 143 bis, 236, 237 comma 2, 266, 299 comma 3 c.c.; 33 e 34 d.P.R. n. 396 del 2000), prevede l’attribuzione automatica del cognome paterno al figlio legittimo, ciò costituisce di certo un retaggio derivante da una concezione patriarcale della famiglia non conforme con le fonti sopranazionali, che impongono agli Stati membri dell’ Unione Europea l’adozione di misure idonee alla eliminazione delle discriminazioni di trattamento nei confronti della donna, ovviamente la concreta attuazione delle direttive comunitarie spetta al legislatore nazionale, quindi allo stato attuale non può trovare accoglimento la domanda dei genitori di attribuzione al figlio del cognome materno. (Cass., sez. I, 14 luglio 2006, n. 16093). L’art. 262 del c.c. prevede che “Il figlio naturale assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio naturale assume il cognome del padre. Se la filiazione nei confronti del padre è stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio naturale può assumere il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre. Nel caso di minore età del figlio, il giudice decide circa l’assunzione del cognome del padre”. Quando la filiazione naturale nei confronti del padre sia stata accertata successivamente al riconoscimento da parte della madre, al fine di decidere se attribuire al figlio il cognome del padre, aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre, il giudice dovrà valutare l’esclusivo interesse del minore, tenendo conto, oltre all’appartenenza del minore ad una determinata famiglia, il suo diritto all’identità personale, maturata nell’ambiente in cui egli è vissuto fino a quel momento. In assenza di detti pregiudizi dovrà ritenersi legittima l’attribuzione al minore del cognome del padre in aggiunta quello della madre. Nell’ipotesi in cui il figlio abbia raggiunto la maggiore età, la cui filiazione sia stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento della madre, potrà a sua scelta assumere il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre, senza che nessuno dei genitori possa opporsi alla sua scelta. Invece, qualora il figlio sia minorenne, l’ultimo comma dell’art. 262, demanda al giudice la decisione sulla modalità di assunzione del cognome paterno, tenendo conto dell’esclusivo interesse del minore. Per concludere, è possibile l’aggiunta del cognome paterno anche dopo alcuni anni dalla nascita, ai fini della conservazione della memoria delle proprie radici, fermo restando la tutela prioritaria dell’interesse del minore. (Cass., sez. I, 6 giugno 2008, n. 15087).
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