1. La vicenda oggetto della pronuncia della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza oggetto del presente commento, torna a pronunciarsi sulla inammissibilità del riesame delle risultanze probatorie nell’ambito del giudizio di legittimità. La vicenda posta al vaglio della Corte di Cassazione riguarda un lavoratore il quale, svolgendo contemporaneamente le due funzioni di “ispettorato” e di “ufficio estero”, ricoprendo quindi sia la figura di controllato sia quella di controllore, effettuava operazioni finanziarie sui cambi con pregiudizio del datore di lavoro, in violazione dell’obbligo di diligenza e fedeltà, previsti ai sensi degli artt. 2104 e 2105 c.c. . Il giudizio di primo grado si era concluso con la condanna del lavoratore, essendo stata riconosciuta la responsabilità contrattuale del lavoratore per violazione dei doveri di diligenza e di fedeltà connessi al rapporto di lavoro. La Corte di Appello, in seguito al riesame della controversia, ha riconosciuto la riduzione della quantificazione del risarcimento decisa nel precedente grado di giudizio. La questione è quindi pervenuta all’esame della Corte Suprema. La Corte di Cassazione ha rilevato in primo luogo che il ricorso è inammissibile poiché non sono stati proposti i quesiti di diritto da parte dell’interessato. Ciò, infatti, si pone in evidente contrasto con quanto disposto dall’art. 366 bis c.p.c., applicato a pena di inammissibilità a tutti i ricorsi avverso sentenze depositate dopo il 2 marzo 2006, come disposto dall’art. 27 comma 2 del d.lgs. n. 40/2006. Si ricordi che il citato art. 366 bis. è stato abrogato dall’art. 47 della legge n. 69/2009, ma senza effetto retroattivo, motivo per cui è rimasto in vigore per i ricorsi per cassazione presentati avverso sentenze pubblicate prima del 4 luglio 2009. Per quanto concerne i quesiti di diritto, di cui all’art. 366 bis c.p.c., essi devono accompagnare i motivi di un ricorso presentato innanzi alla Corte di Cassazione. La formulazione del quesito di diritto, comporta che la parte, dopo avere riassunto il fatto rilevante ed indicato il modo in cui il giudice lo ha risolto, deve indicare anche la diversa regola di diritto sulla cui base il punto doveva essere deciso ( in questo senso si è pronunciata, di recente, anche la Corte di Cassazione sez. III, ordinanza 04.02.2008 n. 2652).
2. Riesame delle risultanze probatorie in sede di legittimità.
Nella vicenda oggetto della ordinanza che si commenta, il ricorrente ha sollevato il vizio di motivazione della pronuncia del giudice dell’appello per errata valutazione delle prove in ordine alla sussistenza dell’inadempimento contrattuale. Sul punto in questione la Corte di Cassazione, nel caso de quo, ritiene che rilevare il vizio di motivazione per erronea valutazione delle prove significa prospettare una diversa analisi del merito della causa e tanto è inammissibile in sede di legittimità. In tale modo il ricorrente contrasterebbe infatti il risultato dell’attività svolta dal giudice di appello in ordine alla valutazione ed all’apprezzamento dei fatti e delle risultante probatorie, attività il cui espletamento costituisce prerogativa del giudice del merito. Spetta infatti solo al giudice del merito individuare la fonte del proprio convincimento e valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dar prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova. Il sindacato di legittimità è limitato, invece, al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esauriente motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nella ordinanza impugnata. La doglianza del ricorrente non merita accoglimento, secondo la Corte, poiché si sostanzia nella richiesta di una lettura delle risultanze probatorie diversa da quella data dal giudice del gravame e in un sostanziale riesame di merito del materiale probatorio, inammissibile in sede di legittimità. La pronuncia della Corte di Cassazione che si commenta si pone dunque in linea con la costante giurisprudenza della Suprema Corte secondo cui la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito; risulta infatti del tutto estranea all’ambito del vizio di motivazione ogni possibilità per la Corte di Cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa. Si ricordi che la Corte di Cassazione, a più riprese, ha confermato tale principio stabilendo che le censure concernenti vizi di motivazione, per meritare accoglimento, devono indicare quali siano i vizi logici che rendono del tutto irrazionale il ragionamento decisorio e non possono risolversi in una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito (cfr. tra le tante Cass. n. 8718 del 2005, Cass. n. 15693 del 2004, Cass. n. 2357 del 2004, Cass. 12467 del 2003, Cass. n. 16063 del 2003, Cass. n. 3163 del 2002). Il preteso vizio di motivazione, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero quando esiste insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione. Nella caso analizzato, secondo la Corte di Cassazione le valutazioni che il giudice di appello ha fatto delle risultanze istruttorie risultano congruamente motivate e sono immuni da contraddizioni e vizi logici. Dette valutazioni, in sostanza, si risolvono in una opzione interpretativa del materiale probatorio che si presenta del tutto ragionevole.
3. Sul concorso di colpa del danneggiato
Quanto poi, al merito della controversia, appare, poi, principio pressoché pacifico ed incontrovertibile quello secondo cui – in linea generale – le azioni del lavoratore devono essere improntate a diligenza e fedeltà. La violazione degli obblighi di fedeltà e diligenza da parte di un dipendente comporta, oltre all’applicabilità di sanzioni disciplinari, anche l’insorgere di un diritto al risarcimento dei danni e ciò tanto più nel caso in cui il medesimo, quale dirigente di un istituto di credito in rapporto di collaborazione fiduciaria con il datore di lavoro, occupi una posizione di particolare responsabilità; ne consegue che, ove il dipendente effettui operazioni finanziarie sui cambi con notevole pregiudizio della cassa, senza avvisare i superiori ed approfittando della sua posizione di controllato e controllore, si realizza una violazione dell’obbligo di diligenza, con il diritto al risarcimento del danno pari alla perdita subita dalla cassa stessa, anche se vi sia stata una carenza organizzativa e di controllo. Nella specie, la S.C., nel rigettare anche questo motivo di ricorso, ha rilevato che, con motivazione adeguata, il giudice di merito ha ritenuto la piena responsabilità del lavoratore che aveva violato le norme contrattuali effettuando da solo, senza alcuna comunicazione ai superiori, le operazioni finanziarie sui cambi con notevole pregiudizio per la parte datoriale, svolgendo contemporaneamente le due funzioni di “ispettorato” e di “ufficio estero”, indipendentemente dalle asserite carenze organizzative e del sistema dei controlli in vigore presso la cassa. Tali circostanze avrebbero determinato un concorso di colpa ai sensi dell’art. 1227 c.c., solo in seguito alla conoscenza del pregiudizio delle suddette operazioni da parte dei superiori: conoscenza, che si sarebbe determinata solo se il lavoratore avesse comunicato le operazioni a rischio da lui poste in essere. La comunicazione invece è stata del tutto omessa dal lavoratore, facendo cosi venire meno qualsiasi ipotesi di corresponsabilità della parte datoriale. Per tali ragioni, la Corte di Cassazione ha confermato la sentenza della Corte di Appello che ha dichiarato la responsabilità contrattuale del lavoratore.
Giuseppe Carella
Avvocato del Foro di Bari
Cass. 9 novembre 2009, n. 23726
Processo del lavoro – Vizio di motivazione per errata valutazione delle prove – Inammissibilità – Mancata predisposizione dei sistemi di controllo – concorso di colpa del datore di lavoro – Insussistenza
La Corte di Cassazione non può riesaminare le risultanze probatorie della vicenda processuale ma solo verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione del giudice dell’appello. Il concorso di colpa del datore di lavoro non sussiste in caso di carenza di sistemi di controllo, in mancanza della conoscenza del fatto pregiudizievole da parte del danneggiato.
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