Abstract
Sicuramente, una delle novità introdotte dal nuovo codice della strada, non attiene tanto alla pubblicità stradale in se stessa considerata (già normata dal previgente art. 11 del d.P.R. 393/59 e relative norme di esecuzione e di attuazione), quanto, piuttosto, ai numerosi interventi dei giudici – sia di legittimità, come di merito – inerenti l’esercizio della pubblicità sulle strade.
Uno di questi, attiene proprio alla natura giuridica dell’ordinanza-ingiunzione costituente il titolo esecutivo per il recupero delle spese sostenute dagli Enti proprietari delle strade, per la rimozione degli impianti pubblicitari e della idoneità della stessa ad essere considerato provvedimento funzionalmente collegato a quello impositivo della sanzione e non anche, mero provvedimento esecutivo impugnabile dinanzi al solo giudice dell’esecuzione (cfr. Cass. Civ. , Sez. II, 9 maggio 2007, n. 10650). Interessante, non solo perché aiuta a meglio comprendere quale che sia il giudice competente a decidere sulle controversie relative ai provvedimenti emessi in conseguenza dell’accertamento di un illecito amministrativo (peraltro, già discusso in precedenti giurisprudenziali citati nella medesima sentenza, quali quelli di cui alle Sezz. Un. Del 13 luglio 2000, n. 491 e 10 agosto 2000, n. 562) ma, non da meno, perché chiarisce i maniera palese la natura stessa del provvedimento con il quale si ordina e si ingiunge il pagamento delle spese sostenute dall’Ente proprietario della strada sul quale insiste il manufatto pubblicitario abusivo rimosso.
Altro, riguarda, invece, la corretta procedura di rimozione degli impianti pubblicitari abusivi, ancorché non preceduta dalla comunicazione di inizio del procedimento amministrativo, in quanto ritenuta misura idonea a tutelare la pubblica incolumità (cfr. Cass. Civ., Sez, II, 15 maggio 2007, n. 11115)(
[1]).
BREVE EXCURSUS STORICO DELL’ART. 23 DEL D. LGS. N. 285 DEL 1992
È ben evidente a tutti, come il nuovo codice della strada, in molti casi, a fronte dell’applicazione di una sanzione amministrativa principale (solitamente corrispondente al pagamento di una somma di denaro), prevede una sanzione amministrativa accessoria: la prima, di ordine affittivo-retributivo, la seconda, di mero ordine ripristinatorio, preventivo o di recupero del credito vantato dalla P.A. Questo valeva anche per l’art. 23 del nuovo codice della strada.
Infatti, mentre ai commi 11 e 12 del precitato articolo venivano indicate le sanzioni principali previste per l’installazione abusiva o non conforme di mezzi pubblicitari e la collocazione dei medesimi impianti in maniera difforme da quanto autorizzato, al successivo comma 13, venivano indicate le conseguenti misure accessorie necessarie a ripristinare lo stato dei luoghi e delle cose, quale appunto la rimozione delle opere abusive: questo, in conformità a quanto previsto dal Capo I, Sezione II, del Titolo VI del precitato codice e, più specificatamente, all’art. 211 del codice citato.
All’atto pratico, tale procedura non pareva idonea a contrastare il fenomeno dell’abusivismo pubblicitario e, ciò che più conta, non privava di efficacia il manufatto propagandistico, se non con tempi lunghissimi, comunque tali da garantire l’esercizio della pubblicità nel rispetto degli accordi contrattuali di natura privata.
Ne conseguì un evidente inasprimento delle sanzioni amministrative pecuniarie – peraltro tuttoggi irrisorie, tanto da potersi qualificare come una sorta di “tassazione accettabile” e peraltro non sempre applicata – ed il trasferimento della funzione ripristinatoria di cui sopra, dall’Ufficio Territoriale del Governo, all’Ufficio Locale dell’Ente proprietario della strada. Infatti, con l’art. 30 della legge n. 472 del 1999 è stato modificato il comma 13 dell’art. 23 nei termini anzidetti e con ciò, sono stati aggiunti i commi 13-bis (che consente l’intervento diretto dell’ente proprietario della strada, previa diffida) ed il 13-ter e 13-quater (che consente l’intervento urgente del medesimo ente, nel caso di collocazione dell’impianto in ambiti di particolare pregio e tutela o direttamente sul suolo demaniale).
Per completezza di informazione, si ricorda, infine, che con l’art. 1, coma 2-bis del d.L. 151/2003, al richiamato comma 13-bis dell’art. 23 più sopra citato, è stato aggiunto l’inciso che determina la misura pecuniaria prevista per l’inottemperanza alla rimozione dell’impianto abusivo e la possibilità di applicare analoga misura direttamente al soggetto che utilizza di fatto gli spazi pubblicitari privi di autorizzazione, allorquando non sia identificabile l’autore della violazione.
COMMENTO ALLA SENTENZA 10650/2007
Nella sentenza di cui adesso si discute – la 10650/2007, appunto – il Giudice dei Giudici entra nel merito del giudicato del Giudice di Pace di Tivoli, che ritiene di non dover accogliere l’opposizione del titolare di un mezzo pubblicitario, poi rimosso, al provvedimento del prefetto con il quale gli si ordina e gli si ingiunge di pagare le spese sostenute dall’ente proprietario della strada, per la rimozione del manufatto medesimo.
Il Giudice di Pace, infatti, ritiene che l’ordinanza-ingiunzione è titolo esecutivo per la riscossione della somma prevista e, come tale, è impugnabile dinanzi al giudice dell’esecuzione, ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c.
Diversamente, i giudici della Cassazione Civile, richiamando i precedenti legislativi dell’art. 23 del nuovo codice della strada e con particolare riferimento alla relativa parte sanzionatoria, ritengono che tali modificazioni non hanno affatto svilito la funzione risarcitoria e ripristinatoria dell’art. 211 del citato codice, esplicitamente richiamato nel testo originale dell’art. 23: anzi, chiariscono bene che sia la disposizione contenuta nel comma 13-bis, come quella contenuta nel comma 13-quater del d. Lgs. 285/92 sono evidentemente da ricondurre alla disposizione generale del nuovo codice della strada, di cui all’art. 211, più sopra citato.
Più chiaramente, ci troviamo oggi dinanzi ad un contesto normativo ben più ampio di quello che si evince dal dato meramente letterale contenuto nell’art. 23 più volte citato, tanto che, come bene sottolinea la Suprema Corte, con identità di forma (ordinanza-ingiunzione), è stato convertito il provvedimento impositivo di un
facere non coercibile (che già scaturiva dal combinato disposto di cui agli artt. 23 e 211 già citati), in un provvedimento impositivo di un
dare coercibile (art. 23 cit. nella forma attuale), attuando così la pretesa sanzionatoria della P.A. Ne consegue, che tale ultimo provvedimento, è anch’esso opponibile nelle forme previste dagli artt. 22 e 23 della legge n. 689 del 1981, in quanto richiamata dal codice stradale, con riguardo alle sanzioni amministrative pecuniarie (art. 205 cod. cit.) ed alle sanzioni accessorie dell’obbligo del ripristino dello stato dei luoghi o di rimozione delle opere abusive (art. 211 cod. str.), tra cui si annoverano, giustappunto, quelle di rimozione dei mezzi pubblicitari, illecitamente installati, con pregiudizio della sicurezza della circolazione stradale: ciò non impedendo in sé l’introduzione di una controversia sulla pretesa dell’amministrazione, nelle forme previste proprio dagli artt. 22 e 23 su citati (
[2]).
COMMENTO ALLA SENTENZA 11115/2007
In altra sentenza – la n. 11115 del 15 maggio 2007 – con una interessantissima motivazione, la suprema Corte di Cassazione entra nel merito del potere che il legislatore ha definitivamente riconosciuto all’ente proprietario della strada, allorquando questi agisca nell’interesse generale e quindi, a tutela della sicurezza della circolazione stradale (ex art. 23, comma 13-quater cod. cit.). Cioè, quando il mezzo pubblicitario:
– è realizzato su suolo demaniale ovvero rientrante nel patrimonio dell’ente proprietario della strada;
– è ubicato lungo la strada e le sue fasce di pertinenza, costituisca pericolo per la circolazione, in quanto in contrasto con le disposizioni contenute nel regolamento.
Intanto, sul drastico provvedimento di rimozione che, per scelta del legislatore, deve avvenire senza indugio, viene chiarito che l’assenza di ogni comunicazione preventiva a riguardo è evidentemente giustificata dalla necessità di adottare un provvedimento diretto, per l’appunto, a tutelare la pubblica incolumità. Del resto, un eventuale intervento differito rischierebbe di mettere a rischio l’interesse generale protetto dalla norma. Ciò, senza togliere al proprietario del manufatto rimosso, la possibilità di proporre le proprie difese, ancorché successivamente alla intervenuta rimozione. Del resto, tale misura non ha effetto ablatorio e dunque, non determina l’acquisizione del bene da parte della P.A., ma costituisce idonea misura cautelare adottata in presenza di un fatto illecito.
Altra questione attiene alla identificazione dell’autore materiale della violazione che, in questo caso – ma come in ogni altra ipotesi di illecito amministrativo – non appare necessaria per dare seguito all’ordinanza-ingiunzione emessa nei confronti del c.d. soggetto solidalmente obbligato nella violazione (art. 6 L. 689/81), posto che “la
ratio della norma non è quella di far fronte a situazioni di insolvenza del trasgressore, bensì di evitare che l’illecito resti impunito, quando sia impossibile identificare tale ultimo soggetto e sia, invece, facilmente identificabile uno di quelli solidalmente obbligati (
[3]quater più volte citato.), tra cui il proprietario della cosa che servì a commettere la violazione: al di là di tale rapporto, ma in quanto proprietario del mezzo rimosso, tale soggetto è anche il diretto destinatario del provvedimento di rimozione conseguente all’illecito e delle spese sostenute dall’Amministrazione ai sensi dell’art. 23, comma 13-
Su altro punto fondamentale si sofferma il Giudice dei Giudici e cioè sulla idoneità del verbale di “contestazione differita” (c.d. notificazione) di produrre effetti, sia dal punto di vista squisitamente di diritto sanzionatoria, sia dal punto di vista della correttezza del procedimento amministrativo connesso. Infatti, se da un lato il verbale notificato successivamente all’atto di rilievo, contiene comunque l’accertamento e la contestazione dell’illecito addebitato, per altro verso, inserendosi questo nel contesto di una normazione speciale, che prevale su quella generale (la legge n. 689 del 1981, rispetto alla legge n. 241 del 1990), assicura comunque garanzie non inferiori al minimum prescritto dalla legge generale stessa, in quanto prevede non solo che il trasgressore sia immediatamente informato dell’inizio del procedimento con la contestazione o la notificazione, ma anche che possa esercitare nel modo più ampio il proprio diritto di difesa, prima dell’emanazione dell’eventuale ordinanza – ingiunzione da parte dell’autorità competente (Cass. Civ., Sez. lav., 27 marzo 2003, n. 4670).
CONCLUSIONI
Ovviamente, conclude il Giudice dei Giudici e con questi noi concludiamo, che l’opposizione all’ordinanza-ingiunzione (ex artt. 22 s. L. 689/81) di rimborso delle spese sostenute per la rimozione di impianti pubblicitari abusivamente installati, potrà coinvolgere profili formali e sostanziali di questa stessa ordinanza-ingiunzione; non anche quelli relativi alla sanzione di rimozione degli impianti abusivi o alla diffida a rimuoverli, che siano state date con precedente ed opponibile provvedimento, non opposto nei termini previsti allo scopo.
Di talché, a seguito dell’accertamento della violazione dell’art. 23 del nuovo codice della strada, regolarmente comunicato all’ente proprietario della strada, la mancata opposizione all’atto di accertamento e, successivamente, al conseguente provvedimento di diffida e conseguente ordinanza di rimozione, comporta il diritto dell’amministrazione di provvedere d’ufficio, con recupero delle spese sostenute, la cui ordinanza-ingiunzione va a costituire titolo esecutivo opponibile esclusivamente dinanzi al giudice dell’esecuzione.
A maggior ragione, allor quando esista un pericolo grave ed imminente che non consenta di rinviare al provvedimento della rimozione immediata, rispetto al quale, giustamente, l’ente proprietario della strada è tenuto ad agire “senza indugio”.
[1] Le sentenze in commento, sono state tutte tratte dal periodico on-line “Polnes” del Gruppo Maggioli, mentre quelle citate, sono state massimate nell’opera di Giuffré, Juris Data.
[2] In tal caso, come precisa la suprema Corte nella sentenza in commento, l’opposizione nelle forme anzidette potrà sì, coinvolgere profili formali e sostanziali del provvedimento opposto, ma non anche quelli relativi alla sola sanzione di rimozione degli impianti abusivi e la diffida a rimuoverli, che siano state date con precedente ed opponibile provvedimento, non opposto nei termini previsti allo scopo; giacché in materia di sanzioni amministrative pecuniarie rientra nella giurisdizione del giudice ordinario la cognizione delle controversie in merito alla pretesa sanzionatoria proposte sia prima della formazione del titolo esecutivo, sia successivamente, per vizi della fase precedente ed anche la cognizione per le controversie in merito all’incidenza dei fatti sopravvenuti alla rituale formazione del titolo esecutivo e in merito ai vizi di forma del procedimento di esecuzione esattoriale, controversie queste integranti opposizioni all’esecuzione e agli atti esecutivi ex artt. 615 e 617 c.p.c., per cui trovano applicazione la competenza e il rito previsti dal citato codice e, specificatamente, per l’opposizione all’esecuzione proposta prima dell’esecuzione per far valere fatti estintivi intervenuti successivamente alla formazione del titolo esecutivo, la competenza per materia stabilita dalla legge per le opposizioni ex art. 22 L. 689/81 (Cass. Civ., Sezz. Un., 13 luglio 2000, n. 491)
[3] Non a caso, la medesima Corte, con riferimento alla affissione di manifesti pubblicitari in violazione delle relative prescrizioni, nella specie derivanti da regolamento comunale, aveva chiamato a risponderne la società proprietaria o il titolare del potere di direzione nei confronti del soggetto che pone in essere la condotta vietata, a nulla rilevando che quest’ultimo fosse stato identificato (cfr. Cass. Civ., Sez. I, 16 dicembre 2005, n. 27796).
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