Sulla configurabilità dell’art. 624 bis c.p. e la nozione di “privata dimora”

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La Corte di Appello di Ancona confermava la sentenza emessa il 23 ottobre 2007 dal Tribunale di Macerata con la quale l’imputato veniva condannato alla pena di anni uno di reclusione e 400 euro di multa per i reati di cui agli artt. 624 bis e 625 primo comma c.p, perché infrangendo la finestra di un esercizio commerciale vi si introduceva ed esportava euro 200 ed una macchina fotografica. L’imputato proponeva pertanto ricorso per cassazione denunciando l’erronea applicazione dell’art 624 bis c.p. nonché l’omessa e manifesta illogicità della motivazione, ritenendo che “perché un luogo possa considerarsi privata dimora è necessario che in concreto vi si svolgano, anche se in modo transitorio e contingente atti della vita privata”, mentre nella specie si trattava di un ristorante.

La decisione

Con l’ordinanza n. 652/2017 la Quinta Sezione Penale ha rimesso alle Sezioni unite della Cassazione la controversa questione «se sia configurabile il reato di cui all’ art. 624 bis c.p. quando l’azione delittuosa venga posta in essere in essere in esercizi commerciali, studi professionali, stabilimenti industriali e, in generale, in luoghi di lavoro, segnatamente qualora la condotta si ivi posta in essere in orario di chiusura al pubblico della sede lavorativa e, in particolare, nell’ipotesi di assenza di persone dedite ad una qualche attività o mansione all’interno di tali luoghi in detti orari.»

Sul punto la Giurisprudenza non è unanime.

Secondo l’orientamento prevalente, per privata dimora deve intendersi qualsiasi luogo che serva all’esplicazione di atti della vita privata, compresi attività lavorative, professionali, culturali, politiche. Invece, secondo altro orientamento, esulano da tale nozione quei luoghi che consentono comunque l’accesso al pubblico, tranne i locali annessi o accessori in cui l’ingresso è inibito senza autorizzazione del titolare dell’esercizio. E’ chiaro che, per i primi, la nozione di privata dimora è più ampia di quella di abitazione, estendendosi a tutti i luoghi , non pubblici, nei quali le persone si trattengano per compiere, anche in modo transitorio e contingente, atti della vita privata. Si è così ritenuto configurabile il delitto previsto dall’art. 624 bis in ordine al furto commesso all’interno di un ristorante o di un tabacchi in orario di chiusura, in uno studio odontoiatrico, all’interno di un ripostiglio di un esercizio commerciale, etc.,sull’assunto che occorre pur sempre che “il luogo nel quale è perpetrato il furto abbia per sua struttura o per l’uso che ne è fatto in concreto una destinazione legata e riservata alla esplicazione di attività proprie della vita privata della persona offesa, ancorché non necessariamente coincidenti con quelle propriamente domestiche o familiari ma identificabili anche con attività produttiva, professionale, culturale, politica. Deve cioè trattarsi di luoghi deputati allo svolgimento di attività che richiedano una qualche apprezzabile permanenza, ancorché transitoria e contingente, della persona offesa, per taluna delle finalità predette” ( Cassazione (IV sezione penale) con sentenza n. 33413 del 29 luglio 2014). Tuttavia, a parere delle Sezioni Unite, tale orientamento si pone in contrasto con la lettera e la ratio della norma in esame. Infatti l’espressione “privata dimora” , anzitutto, è preceduta dalle parole “in un edificio o in altro luogo destinato in tutto o in parte …”: quindi deve trattarsi di un luogo destinato a privato a dimora. Inoltre la stessa rubrica dell’art. 624 bis è intitolata Furto in abitazione, in perfetta aderenza al significato sopra evidenziato.Ne consegue che in tale nozione vanno ricompresi i luoghi che, ancorché non destinati allo svolgimento della vita familiare o domestica, abbiano comunque le caratteristiche dell’abitazione ovvero della riservatezza e della non accessibilità da parte di terzi senza il consenso dell’avente diritto. Non rientrano, pertanto, nella nozione di privata dimora i luoghi di lavoro nonostante al loro interno un soggetto compia atti di vita privata. Questo perché, spiega la Corte, “sono generalmente accessibili a una pluralità di soggetti, anche senza il preventivo consenso dell’avente diritto. Non può pertanto parlarsi di riservatezza o di necessità di tutela della sfera privata dell’individuo”. La disciplina dettata dall’art. 624 bis c.p. è, quindi, estensibile ai luoghi di lavoro soltanto se essi abbiano le caratteristiche proprie dell’abitazione. Un accertamento, questo, riservato ai giudici di merito, caso per caso.

Pertanto le Sezioni Unite affermano il seguente principio di diritto:

Ai fini della configurabilità del delitto previsto dall’art. 624 bis c.p., i luoghi di lavoro non rientrano nella nozione di privata dimora, salvo che il fatto sia avvenuto all’interno di un’area riservata alla sfera privata della persona offesa. Rientrano nella nozione di privata dimora di cui all’art. 624 bis c.p. esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare”.

 

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Avv. Fornaro Pasquale

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