La fattispecie riguardante lo svolgimento di incarichi da parte dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni, con specifico riferimento ai dipendenti con rapporto di lavoro a tempo pieno, trova la sua fondamentale regolamentazione nelle disposizioni di cui agli artt.1, comma 60, della legge 662/96, 58 del d.lgs. 29/93 così come modificato dagli artt. 26 del d.lgs. 80/98 e 16 del d.lgs. 387/98, nonché dall’art. 53 del d.lgs. 165/2001.
L’art. 1, comma 60, della legge 662/96, per i dipendenti pubblici con rapporto di lavoro a tempo pieno o a tempo parziale con prestazione lavorativa superiore al 50% di quella a tempo pieno, stabilisce il divieto di “svolgere qualsiasi altra attività di lavoro subordinato o autonomo tranne che la legge o altra fonte normativa ne prevedano l’autorizzazione rilasciata dall’amministrazione di appartenenza e l’autorizzazione sia stata concessa”.
Sullo stesso tenore della suddetta disposizione l’art. 58 del d.lgs. 29/93, come modificato dall’art. 26 del d.lgs. 80/98 e successivamente dall’art. 53 del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, nel dettare la disciplina specifica relativa alle modalità di conferimento e autorizzazione degli incarichi, esclude per le PP.AA. la possibilità di conferire ai dipendenti di cui sopra incarichi “non compresi nei compiti e doveri di ufficio, che non siano espressamente previsti o disciplinati da legge o altre fonti normative, o che non siano espressamente autorizzati”.
Tale divieto, come precisato dal comma 6 dello stesso articolo 53, riguarda “tutti gli incarichi, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso”.
Alle due richiamate disposizioni normative si aggiungono, nell’ambito della disciplina generale relativa al regime degli incarichi dei dipendenti delle PP.AA., sia le previsioni dell’art. 60 del D.P.R. del 10.1.1957 n. 3, riguardante i casi di incompatibilità assoluta, sia lo stesso citato art. 53, riguardante gli eventuali incarichi per i quali è esclusa ogni situazione di incompatibilità.
La ratio e l’interpretazione più attenta della richiamata normativa esprime chiaramente l’intenzione del legislatore di imporre limiti assai rigorosi allo svolgimento di incarichi esterni da parte del dipendente pubblico che presta attività lavorativa a tempo pieno, e ciò al fine di impegnare in via esclusiva il pubblico dipendente a favore della P.A. per la quale lavora, a fronte di una maggiore concentrazione e auspicata valorizzazione delle risorse umane e per il conseguente raggiungimento di una migliore efficienza dei servizi erogati dall’Amministrazione medesima.
L’interpretazione rigorosa della disciplina delle incompatibilità e dei divieti allo svolgimento di incarichi esterni risulta ancora più evidente e necessaria in conseguenza delle disposizioni in materia di part-time dei pubblici dipendenti introdotte dalla l. n. 662/1996, e successive integrazioni, e sempre dallo stesso art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, che hanno escluso l’applicazione delle disposizioni sopra indicate e il divieto dello svolgimento di attività professionali per i dipendenti delle PP.AA. con rapporto di lavoro a tempo parziale e con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno, per i docenti universitari a tempo definito, e per quelle categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero-professionali.
Tale disciplina comporta dunque per il pubblico dipendente la possibilità di evitare di dover sottostare al regime dei divieti riguardanti il conferimento degli incarichi esterni, operando una scelta a favore del rapporto di lavoro part-time con prestazione lavorativa sino al 50% di quella a tempo pieno.
Avuto riguardo a quanto sopra rilevato, il rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti che prestano attività lavorativa a tempo pieno ovvero a tempo parziale con prestazione lavorativa superiore al 50% di quella a tempo pieno deve ritenersi incompatibile con l’esercizio dell’attività professionale e con lo svolgimento di ogni attività di carattere continuativo e non occasionale (con esclusione degli incarichi retribuiti riguardanti le attività espressamente indicate dall’art. 53, comma 6, del d.lgs. 29/93), in quanto tali attività, per la loro natura e per le modalità di svolgimento, certamente si pongono in contrasto con il dovere di esclusività, che è proprio del rapporto di lavoro con orario maggiore al 50% di quello a tempo pieno, la cui generale efficacia è stata confermata e rafforzata dalla richiamata disciplina relativa al part-time.
La correttezza e la conformità di una tale interpretazione alla ratio e alla lettera della normativa in questione trovano ulteriore conferma nella circolare n. 3/97 emanata in data 19 febbraio 1997 dal Dipartimento della Funzione Pubblica.
Tale circolare ribadisce preliminarmente che l’autorizzazione allo svolgimento di incarichi esterni a favore dei dipendenti pubblici con orario di part-time superiore al 50% “continuerà ad essere rilasciata nei limiti e alle condizioni ricavabili dalla consolidata prassi applicativa della disciplina generale (risalente all’art. 60 del D.P.R. n. 3/57 e confermata anche dall’art. 58 del D.Lgs. n. 29/93), ovvero da quella speciale esistente per particolari categorie (per esempio, il personale medico e il personale docente)”.
La circolare poi espressamente sottolinea, al successivo punto 6 comma 8, in risposta alle richieste di chiarimenti avanzate da numerose amministrazioni, che “le attività extra istituzionali sono da considerarsi incompatibili quando: 1) oltrepassano i limiti della saltuarietà e occasionalità; 2) si riferiscono allo svolgimento di libere professioni”.
Tale precisazione è importante e significativa perché esprime, in relazione all’individuazione dei criteri e delle attività riguardanti la compatibilità del rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti con il conferimento di incarichi esterni, una posizione chiara e precisa che può consentire una più semplice e univoca interpretazione del dettato normativo, in perfetta linea, peraltro, con l’esigenza, sottolineata dal comma 5 del richiamato art. 53, di eventualmente consentire l’autorizzazione all’esercizio di incarichi secondo “criteri oggettivi e predeterminati” che tengano conto della specifica professionalità e siano tali da escludere casi di incompatibilità, sia di diritto che di fatto, nell’interesse del buon andamento della pubblica amministrazione.
A conferma del dovere di esclusività del rapporto di lavoro di cui sopra, la circolare del Dipartimento della Funzione Pubblica sottolinea ulteriormente che “le attività consentite sono, comunque, un’eccezione rispetto al prevalente e generale principio di incompatibilità. Per questo, il potere di autorizzazione delle amministrazioni deve essere esercitato secondo criteri oggettivi e idonei a verificare la compatibilità dell’attività extra istituzionale in base alla natura della stessa, alle modalità di svolgimento e all’impegno richiesto”.
Al riguardo, e a titolo esemplificativo di applicazione specifica dei criteri da ultimo indicati, si segnala la determinazione della Giunta Regionale della Regione Lombardia assunta con propria deliberazione n. 6693 del 22 dicembre 1995, la quale ha stabilito che “L’Amministrazione – ai fini della concessione dell’autorizzazione – valuta: a) il tempo e l’impegno; b) gli incarichi eventualmente già autorizzati; c) il compenso e le indennità che saranno corrisposte”.
L’Amministrazione regionale in oggetto ha imposto a se stessa l’obbligo di valutare concretamente se “il tempo e l’impegno necessari per lo svolgimento dell’incarico o della carica possono consentire al dipendente un completo, tempestivo e puntuale assolvimento dei compiti e doveri d’ufficio o comunque non influenzare negativamente il loro svolgimento”, e di evitare, in un arco temporale preventivamente definito, che lo stesso dipendente possa essere impegnato nello svolgimento di un numero eccessivo di incarichi.
In ordine, infine, alla valutazione del compenso quale criterio indicativo dell’entità dell’incarico, viene opportunamente fissato un parametro preciso da assumere orientativamente come limite annuo, riferito all’entità complessiva degli incarichi svolti, corrispondente “al 40% dello stipendio annuo netto della qualifica di appartenenza del dipendente”.
L’opportunità per le Amministrazioni Pubbliche di predisporre appositi regolamenti alle cui disposizioni, ispirate a criteri oggettivi e predeterminati, subordinare l’eventuale rilascio dell’autorizzazione all’esercizio di incarichi esterni, appare del tutto evidente.
D’altra parte lo stesso art. 53 del d.lgs. 165/2001, al comma 3, prevede espressamente, per i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari e per gli avvocati e procuratori dello Stato, che si provveda all’individuazione degli incarichi consentiti e di quelli vietati attraverso l’emanazione di specifici regolamenti.
In assenza di una regolamentazione esplicativa dei principi generali fissati dal legislatore, e dunque di una puntuale determinazione di specifici ed oggettivi criteri operativi da parte dell’Amministrazione, la valutazione dell’autorizzabilità o meno di ogni incarico esterno diventa spesso difficile e incerta, con il rischio di non adottare soluzioni uniformi e non garantire ai dipendenti un trattamento univoco ed imparziale.
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