Massima |
Nel caso in cui il datore di lavoro voglia adottare una sanzione disciplinare nei confronti del prestatore di lavoro, non può omettere l’audizione dello stesso che ne abbia fatto espressa richiesta. |
1. Premessa
Nella decisione in commento del 21 giugno 2012 n. 10337 i giudici di legittimità sono tornati sull’annosa questione del c.d. licenziamento disciplinare, massima sanzione prevista dalla legge n. 300/1970 (1).
Come già precisato da altra precedente giurisprudenza (2) in tema di procedimento disciplinare l’articolo 7 dello statuto dei lavoratori, ovvero la legge n. 300/1970, nello specifico all’articolo 7, deve essere interpretato nel senso che il prestatore di lavoro è libero di discolparsi nelle forme dallo stesso scelte, oralmente oppure per iscritto, con l’assistenza o no di un rappresentante sindacale.
Da ciò ne consegue che nel caso in cui il dipendente eserciti il diritto espressamente previsto dalla citata norma, ovvero di essere sentito a difesa, nel termine di cui allo stesso articolo 7 L. 300/1970, il datore di lavoro ha l’obbligo della sua audizione.
La scelta del prestatore di lavoro e la relativa istanza (3) non è sindacabile dal datore di lavoro in riferimento alla effettiva idoneità difensiva, rispondendo tale esito all’esigenza di consentire la rispondenza, in modo pieno e totale, del giudizio – procedimento disciplinare al principio, generale, del contraddittorio tra le parti.
2. La vicenda
Nella fattispecie esaminata dalla Corte di Cassazione un lavoratore di una azienda, con qualifica di capo reparto, in seguito a numerose e svariate infrazioni, continuava a mantenere un atteggiamento – comportamento non idoneo con i propri superiori.
Il datore di lavoro, pertanto, provvedeva ad avviare un procedimento disciplinare nei confronti del proprio dipendente.
L’esito di tale procedimento ex articolo 8 L. n. 300/1970: licenziamento per giusta causa, quindi, senza preavviso, con effetto immediato.
Avverso tale decisione il prestatore di lavoro decide di proporre impugnativa del licenziamento, sostenendo, tra le altre cose, che nella azienda non era stato affisso il codice disciplinare (all’interno del luogo di lavoro), così come previsto dalla normativa vigente in materia.
La questione si sposta dinanzi l’attenzione della Corte di Cassazione.
3. Il procedimento disciplinare
Il potere del datore di lavoro, nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato, ha quale precipuo scopo quello di tutelare l’organizzazione aziendale ed il rispetto degli obblighi contrattuali da parte del dipendente.
Tale potere si “traduce” nella comminazione di sanzioni disciplinari nei confronti, appunto, del prestatore di lavoro.
Il procedimento disciplinare, così come previsto dall’articolo 7 della sopra menzionata legge n. 300 del 20 maggio 1970, si articola nelle seguenti fasi, ovvero:
– contestazione dell’addebito;
– formulazione delle giustificazioni da parte del lavoratore;
– comminazione della sanzione disciplinare;
– impugnazione della sanzione da parte del dipendente (4).
Secondo quanto precisato dal citato articolo 7, nonché dalla giurisprudenza e dalla dottrina sul tema, e anche dalla contrattazione collettiva, requisiti essenziali di tale procedimento, sono:
– obbligo di pubblicità della normativa disciplinare;
– necessità della preventiva contestazione e tempestività della stessa;
– specificità della contestazione ed immodificabilità del contenuto della stessa;
– necessità della forma scritta della contestazione e rispetto del criterio di proporzionalità rispetto alla sanzione adottata.
3.1. Il codice disciplinare
Il già citato articolo 7 dello statuto dei lavoratori prevede l’obbligo di affissione, in luogo accessibile a tutti i lavoratori, del codice disciplinare contenente le norme disciplinari, le infrazioni in relazione alle quali le norme possono, poi, essere applicate e le procedure di contestazione.
L’assenza del codice disciplinare può comportare, secondo parte della giurisprudenza sul tema, la nullità del comportamento adottato (5).
Il codice disciplinare deve essere affisso, come evidenziato, in un luogo accessibile a tutti, e nella ipotesi in cui vi siano aziende con più sedi il citato codice deve essere affisso in ogni singola unità produttiva; lo stesso deve, inoltre, essere affisso in maniera permanente e deve sussistere al momento della infrazione commessa dal dipendente (6).
4. Conclusioni
La Corte di Cassazione, con la sentenza del 21 giugno 2012 n. 10337 ha ritenuto legittimo il licenziamento in tronco operato nei confronti del prestatore di lavoro che dopo svariate infrazioni ha continuato a perpetrare nei propri comportamenti non idonei nei riguardi dei superiori.
I giudici di legittimità hanno ritenuto, con la decisione in commento, che ove venga meno la fiducia del datore di lavoro nei confronti del proprio dipendente, non è più possibile alcuna prosecuzione del rapporto di lavoro.
Quindi, può essere legittimo il licenziamento sic et simpliciter.
I giudici di piazza Cavour hanno, quindi, respinto il ricorso presentato dal prestatore di lavoro ed hanno, altresì, ritenuto inutile la doglianza dello stesso, con riguardo alla lamentela della mancata affissione del codice disciplinare all’interno del luogo di lavoro.
Ciò in quanto tale circostanza è stata completamente smentita con l’espletamento delle prove testimoniali che, al contrario, hanno evidenziato la presenza del codice all’interno dell’azienda.
I giudici della Corte, inoltre, precisano che la sanzione disciplinare (7) irrogata nei confronti del prestatore di lavoro è risultata essere proporzionata alla gravità del fatto commesso.
Ciò poiché i comportamenti adottati dallo stesso lavoratore sono risultati, nel corso del processo, irrispettosi delle direttive impartite dai superiori, nonché poco collaborativi al punto da produrre anche effetti negativi sullo svolgimento dell’attività lavorativa svolta.
5. Rassegna giurisprudenziale licenziamento disciplinare
In tema di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità tra addebito e recesso, rileva ogni condotta che, per la sua gravità, possa scuotere la fiducia del datore di lavoro e far ritenere la continuazione del rapporto pregiudizievole agli scopi aziendali, essendo determinante, in tal senso, la potenziale influenza del comportamento del lavoratore, suscettibile, per le concrete modalità e il contesto di riferimento, di porre in dubbio la futura correttezza dell’adempimento, denotando scarsa inclinazione all’attuazione degli obblighi in conformità a diligenza, buona fede e correttezza; spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva, non sulla base di una valutazione astratta dell’addebito, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto del fatto, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico della sua gravità, rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro, assegnandosi rilievo alla configurazione delle mancanze operata dalla contrattazione collettiva, all’intensità dell’elemento intenzionale, al grado di affidamento richiesto dalle mansioni, alle precedenti modalità di attuazione del rapporto, alla durata dello stesso, all’assenza di pregresse sanzioni, alla natura e alla tipologia del rapporto medesimo. (Nella specie, 1a S.C., in applicazione del principio, ha cassato la decisione del giudice di merito, che, affermando la congruità del licenziamento disciplinare di un funzionario di banca, aveva omesso di valutare come questi non avesse riportato sanzioni nel corso di un rapporto durato oltre quindici anni ed avesse evaso le pratiche di erogazione del credito secondo una prassi lungamente tollerata dall’azienda e censurata soltanto all’emergere delle sofferenze). Cass. civ. sez. lav., 13 febbraio 2012, n. 2013
E’ legittimo il licenziamento comminato al lavoratore che abbia posto in cattiva luce la società per la quale lavorava, deducendo disservizi ed usando espressioni offensive nei riguardi dei suoi titolari, con un altro dipendente neoassunto. La circostanza per la quale nel comminare il licenziamento il datore di lavoro abbia richiamato ben cinque sanzioni disciplinari correlate ad altrettante contestazioni inerenti le infrazioni del regolamento commesse dal lavoratore, configura un comportamento di gravità tale da ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario. Alla luce di un siffatto comportamento non può che concludersi per la legittimità del licenziamento intimato. App. L’Aquila Sez. Lav. civ., 26 gennaio 2012, n. 47
In tema di licenziamento disciplinare o per giusta causa, la valutazione della gravità del fatto in relazione al venir meno del rapporto fiduciario che deve sussistere fra le parti non va operato in astratto, bensì con riferimento agli aspetti concreti afferenti alla natura e alla qualità del singolo rapporto, alla posizione delle parti, al grado di affidabilità richiesto dalle specifiche mansioni del dipendente, nonché alla portata soggettiva del fatto, ossia alle circostanze del suo verificarsi, ai motivi e all’intenzione dell’elemento intenzionale e di quello colposo. Cass. 26 luglio 2011 n. 16283, in Lav. nella giur. 2011, 1055
Il licenziamento motivato da una condotta colposa o comunque manchevole del lavoratore, indipendentemente dalla sua inclusione o meno tra le misure disciplinari della specifica disciplina del rapporto deve essere considerato di natura disciplinare e, quindi, deve essere assoggettato alle garanzie dettate in favore del lavoratore dal secondo e terzo comma dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970 circa la contestazione dell’addebito e il diritto di difesa. Trib. Monza 28 gennaio 2009, in Lav. nella giur. 2009, 421
L’affissione del codice disciplinare costituisce requisito essenziale per la validità del licenziamento (o comunque della applicazione della sanzione disciplinare) soltanto quando questo costituisca la sanzione per l’infrazione a una disposizione corrispondente a una esigenza peculiare dell’azienda, non quando l’infrazione riguardi doveri previsti dalla legge o comunque appartenenti al patrimonio deontologico di qualsiasi persona onesta, ovvero dei doveri imposti al prestatore di lavoro dalle disposizioni di carattere generale proprie del rapporto di lavoro subordinato. Ne discende che da tale forma di pubblicità si può prescindere allorché il lavoratore si sia reso autore di comportamenti rispetto ai quali la fonte del recesso datoriale è direttamente reperibile nella legge, ovvero allorché l’illiceità della violazione, per l’evidente contrasto con la coscienza comune e con le regole fondamentali del vivere civile, possa essere conosciuta e apprezzata dal lavoratore senza bisogno di previo avviso. Cass. 10 maggio 2010 n. 11250, in Orient. Giur. Lav. 2010, 498
L’affissione del codice disciplinare non è presupposto di legittimità del licenziamento quando i fatti addebitati costituiscono grave violazione dei doveri che, a norma di legge e di contratto, incombono sul lavoratore subordinato. L’affissione è, invece, indispensabile ad assicurare il diritto di difesa del lavoratore solo quando gli obblighi allo stesso imposti derivino da disposizioni specifiche impartite dal datore di lavoro per l’esecuzione e la disciplina del lavoro (art. 2104 c.c., 2° comma, c.c.). Trib. Milano 28 dicembre 2006, in Lav. nella giur. 2007, 836
Manuela Rinaldi
Avvocato foro Avezzano Aq – Dottoranda in Diritto dell’Economia e dell’Impresa Università La Sapienza, Roma, Proff. Maresca – Santoro Passarelli; Tutor di Diritto del Lavoro c/o Università Telematica Internazionale Uninettuno (UTIU) Docente prof. A. Maresca; Docente in corsi di Alta Formazione Professionale e Master; già docente a contratto a.a. 2009/2010 Diritto del Lavoro e Diritto Sindacale Univ. Teramo, facoltà Giurisprudenza, corso Laurea Magistrale ciclo unico, c/o sede distaccata di Avezzano, Aq; Docente in Master e corsi di Alta Formazione per aziende e professionisti
__________
(1) Legge 20 maggio 1970, n. 300, c.d. Statuto dei lavoratori.
(2) Cfr. sul punto Cass. civ., sez. lav., 14 giugno 2011, n. 12978.
(3) Al di fuori di ipotesi nelle quali la richiesta del prestatore di lavoro possa apparire incerta e/o ambigua.
(4) Tale impugnazione può avvenire mediante ricorso al giudice o mediante ricorso al collegio di conciliazione di arbitrato da azionare entro il termine di 20 giorni dalla comminazione della sanzione; nel primo caso se il datore di lavoro non si costituisca entro i termini la sanzione decade; nella seconda ipotesi se il datore non aderisce alla richiesta di costituzione del Collegio ne da comunicazione e attiva la normale procedura.
(5) Deve precisarci che quanto detto vale in assoluto in riferimento alle sanzioni c.d. conservative, in quanto differente è l’orientamento della giurisprudenza in tema di licenziamento disciplinare.
(6) E’ necessario che i locali in cui sono affisse le disposizioni disciplinari siano accessibili a tutti i lavoratori. Questo obbligo a carico del datore di lavoro non può essere ristretto alla necessità che i locali in cui viene effettuata l’affissione non siano chiusi e che tutti i dipendenti abbiano piena libertà di accedervi senza impedimenti di sorta e senza dover chiedere permessi particolari; la possibilità di recarsi nei locali in cui sono esposte le norme disciplinari deve essere effettiva, non meramente teorica, e perciò rientra nel concetto di libero accesso anche la comodità dell’accesso, la necessità che non sussistano difficoltà particolari. Non sussiste, perciò, un obbligo di effettuare l’affissione in locali in cui i dipendenti devono passare necessariamente: la norma richiede il libero accesso, quindi accesso non impedito, non difficoltoso, non l’accesso necessitato, non evitabile. Ugualmente la legge non richiede che l’affissione venga effettuata nelle bacheche aziendali, che possono mancare o essere destinate ad altre comunicazioni, e che comunque non rendono più agevole la lettura delle norme. Cass. 3/10/2007 n. 20733, Pres. Ianniruberto Rel. Monaci, in Lav. nella giur. 2008, con commento di Marcello Lupoli, 381. L’obbligo dell’affissione del codice disciplinare è inderogabile per tutti quegli illeciti disciplinari specifici che traggono origine dal contratto collettivo o comunque dall’individuazione operata dal datore di lavoro e tali da non poter essere altrimenti conosciuti dal lavoratore attesa la generalità e astrattezza della fonte regolatrice. Ciò non vale per quegli addebiti che rientrano appunto in comportamenti negligenti collegati ai doveri del lavoratore di rendere la prestazione lavorativa, come nel caso dell’assenza dal lavoro senza giustificazione. Corte app. Milano 17/9/2007, Pres. castellini Rel. Curcio, in Lav. nella giur. 2008, 203. Nel rapporto di lavoro degli insegnanti della scuola pubblica, ai fini dell’osservanza dell’art. 7 dello statuto dei lavoratori – che prescrive l’affissione delle norme disciplinari vigenti all’interno dell’impresa per rendere conoscibili a tutti i lavoratori le fattispecie di illecito e le relative sanzioni, applicabile anche al rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti per il combinato disposto degli artt. 55 e 59 del D.Lgs. 29 del 1993 – deve ritenersi che, tanto per i comportamenti per i quali è prevista la sanzione espulsiva, quanto per quelli per i quali è prevista la sanzione conservativa, l’affissione non sia necessaria ove il comportamento vietato e la sanzione applicabile siano previsti da disposizioni contenute in fonte normativa avente forza di legge, come tale ufficialmente pubblicata e conosciuta dalla generalità. (Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto che correttamente il giudice di merito avesse negato l’obbligo di affissione, in quanto il capo IV, sez. V, T.U. sulla scuola approvato con D.Lgs. 16 aprile 1994, n. 297 enumera le sanzioni disciplinari, distingue le diverse fattispecie di illecito e disciplina il relativo procedimento di irrogazione della sanzione). Cass. 8/1/2007 n. 56, Pres. Mercurio Est. Roselli, in Lav. nella giur. 2007, 1038
(7) Ovvero il licenziamento in tronco.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento