Commento alla sentenza della corte costituzionale n. 11 del 2020 che, ai sensi di una diversa interpretazione delle norme giuridiche in materia, ha dichiarato non fondata la questione di legittimita’ costituzionale dell’art. 8 comma1, lett c), legge 1191 n 362, sollevata in riferimento agli artt 2,3,4,11,35,41,47 e 117 primo comma della costituzione.
Si legga anche:” Fallibilità delle società pubbliche”
Premessa
La sentenza della Corte Cost. n. 11 del 5.2.2020 si è di recente pronunziata in materia di legittimità costituzionale dell’art. 8, co. 1, lett. c), della legge 8 novembre 1991, n. 362[1] (Norme di riordino del settore farmaceutico) nella parte in cui prevede che la partecipazione alle società di capitali, di cui all’art. 7, co. 1, della medesima legge, sia incompatibile con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato.
In particolare, se la causa di incompatibilità di cui alla lettera c) del comma 1 dell’art. 8 della legge n. 362 del 1991 sia o meno riferibile ai soci, di società di capitali titolari di farmacie, che si limitino ad acquisirne quote, senza essere ad alcun titolo coinvolti nella gestione della farmacia.
La pronunzia, nel ritenere non rilevante e infondata la descritta questione, rappresenta un significativo spunto di riflessione sul sistema sanitario farmaceutico in generale, nonchè in ordine al mutamento del trend giurisprudenziale , in particolare, visti i precedenti arresti discordanti nelle sedi giurisdizionali di merito. [2]
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La vicenda in oggetto
Ai fini dell’esatta comprensione del rilievo della vicenda rispetto ai principi generali del funzionamento del servizio farmaceutico, va specificato quanto segue.
Il Collegio arbitrale rituale, costituito in forza di clausola compromissoria contenuta nello statuto della società farmaceutica in questione – chiamato a risolvere la controversia insorta tra detta struttura e una propria socia, alla quale la Società chiedeva di rimuovere l’incompatibilità che le derivava dall’essere titolare di un rapporto di pubblico impiego o di retrocedere la propria quota di partecipazione all’originaria titolare che l’aveva a lei ceduta – ha reputato rilevante e non manifestamente infondata, ed ha quindi sollevato, con l’ordinanza iscritta al reg. ord. n. 50 del 2019, «questione incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 8, co. 1, lett. c), della legge 8 novembre 1991, n. 362 [Norme di riordino del settore farmaceutico], nella parte in cui prevede che la partecipazione alle società di capitali, di cui all’art. 7, co. 1, della medesima legge, sia incompatibile con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato[3]».
Secondo il Collegio rimettente, la norma così denunciata – nell’estendere la causa di incompatibilità (derivante dallo svolgimento di «qualsiasi rapporto di lavoro pubblico o privato») non solo alle persone fisiche e ai soci di società di persone che siano titolari e gestori di farmacie private, ma appunto anche ai soci di società di capitali che acquisiscano tali farmacie senza rivestirne compiti di gestione o di direzione – violerebbe gli artt. 2, 3, 4, 35, 41, 47, 11 e 117, primo comma, della Costituzione, gli ultimi due in relazione agli artt. 3 del Trattato sull’Unione europea (TUE), firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1° novembre 1993; 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; e 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130.
Con altra ordinanza di rimessione (reg. ord. n. 51 del 2019), emessa in pari data e di contenuto identico rispetto a quella di cui si è in precedenza detto, lo stesso Collegio arbitrale – chiamato anche in questo caso a pronunciarsi sulla controversa partecipazione alla compagine di altra società di capitali da parte di una socia docente (anch’essa) universitaria – ha proposto la medesima questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lettera c), della legge n. 362 del 1991.
Il Collegio arbitrale rituale nominato dal Presidente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati interessato, nell’ambito di due parallele controversie aventi analogamente ad oggetto l’eventuale incompatibilità della titolarità di una docenza universitaria con la partecipazione alla compagine di una società di capitali, con le due ordinanze indicate ha ritenuto rilevante e non manifestamente infondata, ed ha quindi sollevato, «questione di legittimità costituzionale dell’art. 8, co. 1, lett. c), della legge 8 novembre 1991, n. 362, nella parte in cui prevede che la partecipazione alle società di capitali, di cui all’art. 7, co. 1, della medesima legge, sia incompatibile con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato».
Ad avviso del rimettente, la normativa censurata – con l’estendere la causa di incompatibilità (derivante dallo svolgimento di qualsiasi rapporto di lavoro pubblico o privato) non solo alle persone fisiche e ai soci di società di persone che siano titolari di farmacie private, ma anche ai soci di società di capitali che acquisiscano tali farmacie senza rivestirne compiti di gestione o di direzione – violerebbe l’art. 3 Cost., gli artt. 4 e 35 Cost., gli artt. 2 , 41 e 47 Cost., gli artt. 11 e 117, primo comma, Cost. – in relazione agli artt. 3 del Trattato sull’Unione europea (TUE), firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, entrato in vigore il 1° novembre 1993; 16 della Carta dei diritti fondamentali della Unione europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007; e 49 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), come modificato dall’art. 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n. 130 – per il vulnus arrecato (dalla censurata incompatibilità) alla libertà di impresa.
Nel merito, la questione è stata ritenuta dalla Suprema Corte non fondata per erroneità della interpretazione della norma denunciata.
Ciò in quanto, alla stregua degli stessi criteri ermeneutici di cui all’art. 12 delle Preleggi è dato, infatti, pervenire alla conclusione che – diversamente da quanto presupposto dal Collegio rimettente – la causa di incompatibilità di cui alla lettera c) del comma 1 dell’art. 8 della legge n. 362 del 1991 non è riferibile ai soci, di società di capitali titolari di farmacie, che si limitino ad acquisirne quote, senza essere ad alcun titolo coinvolti nella gestione della farmacia.
Considerazioni
La fattispecie della “gestione” dell’esercizo della farmacia è, come detto sopra, disciplinata dall’art. 8 della legge n. 362 del 1991, che, nel testo non modificato in parte qua dalla legge n. 124 del 2017, riferiva, l’incompatibilità («con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato»), di cui alla denunciata lettera c) del suo comma 1, al soggetto che gestisca la farmacia (o che, in sede di sua assegnazione, ne risulti associato, o comunque coinvolto, nella gestione).
Dopo l’intervento della menzionata legge 124 del 2017, l’articolo de quo dispone che “.. La partecipazione alle società di cui all’articolo 7, salvo il caso di cui ai commi 9 e 10 di tale articolo, è incompatibile:.c) con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato.”
Su quest’ultima previsione di incompatibilità sono intervenute molteplici pareri e svariate pronunce, con le quali si sono, per lo più, respinti i ricorsi delle Società farmaceutiche in tema di incompatibilità, ritenendo che non possa essere condivisa la tesi secondo cui nei confronti dei soci che non partecipano alla gestione non opererebbero le incompatibilità normativamente prescritte rispetto alla titolarità di rapporti di lavoro.
Pertanto, anche se meri soci di capitale in una società di farmacia e, quindi, estranei alla direzione della farmacia, i farmacisti iscritti all’Albo professionale sono soggetti al divieto di intrattenere “qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato” e alle altre incompatibilità di cui all’art. 8, comma 1, lettera c, della L. n. 362/91.
Ciò, in quanto la disciplina normativa in materia di farmacie ha subito una rilevante evoluzione nel tempo. Accanto alla figura del farmacista persona fisica, titolare della farmacia e responsabile della relativa gestione, coesistono infatti oggi altre possibilità organizzative, atteso che già l’articolo 7, comma 1, della legge n. 362 del 1991 aveva previsto che la titolarità dell’esercizio della farmacia potesse essere affidato anche “a società di persone ed a società cooperative a responsabilità limitata”.
La disciplina oggi vigente, poi, a seguito delle modifiche apportate dal pluricitato articolo 1, comma 157, delle legge n. 124 del 2017, ha incluso tra i possibili titolari dell’esercizio della farmacia anche le società di capitali.
Proprio a seguito di quest’ultima novella si è posto, tuttavia, il problema della corretta interpretazione, nel contesto dell’attuale quadro ordinamentale, delle cause di incompatibilità alla titolarità della farmacia e alla partecipazione alla società che la gestisce, già previste dagli articoli 7 e 8 della legge n. 362 del 1991, come modificati dalla stessa legge n. 124 del 2017.
Di tale questione si è fatto carico il Consiglio di Stato [4]che ha, tralatro. interpretato le specifiche incompatibilità alla partecipazione alle società titolari dell’esercizio di farmacie, enunciate all’articolo 8, comma 1, della legge n. 362 del 1991.
Le difficoltà interpretative sono originate, in particolare, dalla circostanza che il terzo periodo del predetto articolo 7, comma 2, reca una clausola di compatibilità di non agevole lettura ai fini dell’applicazione delle previsioni del successivo articolo 8, sopra richiamate.
Nel suddetto parere si è, tuttavia, evidenziato che il filtro della compatibilità, introdotto dall’articolo 7, comma 2, terzo periodo, della legge n. 362 del 1991, non possa essere applicato in via generale con riferimento alla partecipazione alle società titolari di farmacie, poiché “…altrimenti si perverrebbe a vanificare i divieti posti dall’articolo 8, comma 1, i quali risulterebbero modulabili in via interpretativa..” .[5]
Ha, invece, valorizzato la circostanza che tali divieti sono stati concepiti per soci che, al momento della stesura della norma, dovevano essere necessariamente farmacisti.
E, perciò, ha ritenuto che le cause di incompatibilità di cui all’articolo 8 debbano sempre trovare applicazione nei confronti dei soci e dei direttori responsabili della farmacia che siano farmacisti iscritti all’albo, mentre la causa di incompatibilità di cui all’articolo 7, comma 2, secondo periodo (“La partecipazione alle società di cui al comma 1 è incompatibile con qualsiasi altra attività svolta nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco, nonché con l’esercizio della professione medica”), in quanto non soggetta al vincolo di compatibilità, si applica a tutti i soci, farmacisti e non.[6]
La posizione assunta dal Consiglio di Stato nell’anno 2018 imponeva, perciò, di ritenere che i soci farmacisti, anche se di meri capitali e non coinvolti nella direzione della farmacia, fossero comunque soggetti all’incompatibilità di cui all’articolo 8, comma 1, lett. c), della legge n. 375 del 1965, ossia al divieto di intrattenere “qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato”.
Si trattava, a ben vedere, di un’interpretazione resa necessaria dall’esigenza di non svuotare di significato la nozione stessa di “società tra professionisti” o – in altri termini – di conciliare la possibilità offerta dall’ordinamento di affidare la titolarità dell’esercizio della farmacia a società di capitali, con le previsioni di legge, tuttora operanti, che stabiliscono che la professione di farmacista richiede uno specifico titolo di studio e l’iscrizione nell’apposito albo e che, inoltre, al concorso per l’assegnazione della sede farmaceutica partecipano i farmacisti iscritti all’albo [7]
In direzione ermeneutica diametralmente opposta si pone, invece, la sentenza della Consulta, oggetto della presente disamina.
Tale diverso avviso si fonda sulla stessa rubrica della norma, che espressamente collega «gestione» e “incompatibilità”, in uno al sistema delle sanzioni ivi disegnato (sub comma 3) per il caso in cui il soggetto incorra nella causa di incompatibilità ( sanzioni interdittive) per loro natura applicabili solo al socio che risulti fattivamente coinvolto nella gestione della farmacia; e trova, infine, ulteriore riscontro nella disciplina delle ipotesi (sub commi 9 e 10 dell’art. 7, richiamate dall’art. 8) di subentro di terzi, mortis causa, in quota del capitale sociale o di vendita della farmacia, nelle quali l’obbligo di cessione (entro sei mesi) della quota così acquisita dall’erede del socio o dall’acquirente della società, è previsto per il solo caso in cui l’avente causa incorra nelle incompatibilità – di cui al secondo periodo del comma 2 dell’art. 7 – correlate a «qualsiasi altra attività svolta nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco, nonché [al]l’esercizio della professione medica», mentre nessun rilievo ostativo alla permanenza nella società riveste l’eventuale titolarità di un rapporto di lavoro, pubblico o privato, da parte dell’erede del socio defunto o dell’acquirente della farmacia, che non partecipi alla gestione della stessa.
A sua volta l’art. 7 della legge n. 362 del 1991 – come novellato dall’art. 1, comma 157, della legge n. 124 del 2017, che ha incluso «le società di capitali» tra i soggetti che possono assumere la titolarità dell’esercizio di farmacie private – riferisce senz’altro anche ai partecipanti a dette società le incompatibilità, già sopra richiamate, di cui al secondo periodo del suo comma 2; e prevede, bensì, che anche a detti soggetti «si applicano […] le disposizioni dell’articolo 8, per quanto compatibili», tra le quali la previsione appunto (sub comma 1, lettera c), per cui la partecipazione alle società di gestione di farmacie è incompatibile «con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico o privato».
Per cui, quest’ultimo requisito negativo è espressamente subordinato ad una condizione di “compatibilità“: è riferibile, cioè, al partecipante a società esercente farmacie private, solo se e in quanto risulti “compatibile” con il ruolo ( gestorio) da questi rivestito nella società stessa.
Dal che la conclusione che, se la specifica incompatibilità di cui si discute è legata ad un ruolo gestorio della farmacia, la stessa non è evidentemente riferibile al soggetto che un tale ruolo non rivesta nella compagine sociale.
La citata legge n. 124 del 2017, che segna il definitivo passaggio da una impostazione professionale-tecnica della titolarità e gestione delle farmacie ad una impostazione economico-commerciale, consentendo, nell’attuale nuovo assetto normativo, la titolarità di farmacie (private) in capo anche a società di capitali, di cui possono far parte anche soci non farmacisti, né in alcun modo coinvolti nella gestione della farmacia o della società, comporta che a tali soggetti, unicamente titolari di quote del capitale sociale (e non altrimenti vincolati alla gestione diretta da normative speciali), non sia pertanto più riferibile l’incompatibilità «con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico privato», di cui alla lettera c) del comma 1 dell’art. 8 della legge n. 362 del 1991.
In conclusione, ad avviso di chi scrive, l’esegesi operata dal Giudice delle Leggi – sicuramente vincolante rispetto alla futura risoluzione degli eventuali contenziosi sul punto- appare obiettivamente più convincente e completa delle prospettive precedenti sopra richiamate.
La esaminata pronuncia, che si fonda sul presupposto logico del riconoscimento alla Corte costituzionale non solo del potere di interpretare la Costituzione (della cui interpretazione “vera” essa ha il monopolio), ma anche di quello di interpretare autonomamente le disposizioni legislative sottoposte al suo sindacato senza essere vincolata alla lettura proposta dall’autorità giudiziaria rimettente, ha, infatti, considerato tutte le vicende che fanno da sfondo alla citata riforma del 2017, esaminando non la disposizione (cioè il significante), bensì la norma, cioè il significato desumile dal testo normativo attraverso l’attività interpretativa posta in essere. [8]
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Note
[1]L’art. 8 della legge n. 362 del 1991, nel testo non modificato in parte qua dalla legge n. 124 del 2017, riferisce, infatti, l’incompatibilità («con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato»), di cui alla denunciata lettera c) del suo comma 1, al soggetto che gestisca la farmacia (o che, in sede di sua assegnazione, ne risulti associato, o comunque coinvolto, nella gestione). Nella nuova versione. La stessa disposizione cosi recita “1. La partecipazione alle società di cui all’articolo 7, salvo il caso di cui ai commi 9 e 10 di tale articolo, è incompatibile:…
- c) con qualsiasi rapporto di lavoro pubblico e privato.”
[2] Cfr. Tar Lazio n 5557 del 2 maggio 2019.
[3]‘L’art. 7 della legge 8 novembre 1991, n. 362 (Norme di riordino del settore farmaceutico), come modificato, nei primi due suoi commi, dall’art. 1, comma 157, lettere a) e b), della legge 4 agosto 2017, n. 124 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza), sotto la rubrica «Titolarità e gestione della farmacia», dispone che “1. Sono titolari dell’esercizio della farmacia privata le persone fisiche, in conformità alle disposizioni vigenti, le società di persone, le società di capitali e le società cooperative a responsabilità limitata. 2. Le società di cui al comma 1 hanno come oggetto esclusivo la gestione di una farmacia. La partecipazione alle società di cui al comma 1 è incompatibile con qualsiasi altra attività svolta nel settore della produzione e informazione scientifica del farmaco, nonché con l’esercizio della professione medica..” Alle società di cui al comma 1 si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni dell’articolo 8
[4]Parere n. 69 del 2018 dell’Adunanza della Commissione speciale del Consiglio di Stato del 22 dicembre 2017 (numero affare 01962 del 2017), reso a riscontro di un’articolata richiesta di chiarimenti sulla portata delle norme ex att. 7 e 8 legge 362 del 91, formulata dall’Ufficio legislativo del Ministero della salute.
[5]cfr. il punto 39 cit. parere CdS 69/18.
[6]cfr. ancora il punto 39 del parere CdS 69/18.
[7]Cfr. articolo 4 della legge n. 362 del 1991.
[8]Cfr Corte Costituzionale sentenza n. 84 del 1996, laddove è dato leggere “..la Corte giudica su norme, ma pronuncia su disposizioni”.
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