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Il diritto, irrinunciabile, del lavoratore al godimento delle ferie è enunciato dalla Costituzione nell’articolo 36, mentre il divieto di prestare attività lavorativa senza possibilità di fruire di pause finalizzate a ripristinare l’energia psico-fisica del lavoratore, trova riferimento in atti internazionali e comunitari, quali la Convenzione OIL n° 132/1970 e la Direttiva CE n° 93/104, che dispongono esplicitamente la non sostituibilità delle ferie con un’indennità finanziaria.
Accanto a tali norme imperative, si inseriscono l’articolo 2109 del codice civile, che stabilisce il diritto ad un periodo di ferie annuale retribuito, e l’articolo 2110 c.c. che si occupa della tutela del lavoratore nei casi di sospensione della prestazione lavorativa non imputabili allo stesso.
Tali fonti, aventi tutte ad oggetto il diritto alle ferie, devono naturalmente intendersi interamente applicabili sia ai dipendenti del settore privato che a quelli delle pubbliche amministrazioni, stante il disposto dell’articolo 2, comma 2, del D.Lgs. 165/01.
La necessità di tale quadro riassuntivo della disciplina esistente in materia, risiede nel fatto che l’argomento oggetto di questo elaborato è inerente alla “voce” ferie: ai fini della maturazione delle stesse, sono utili i periodi di malattia?
Tale quesito è stato oggetto di un lungo contrasto interpretativo sul duplice fronte della giurisprudenza e della dottrina. Difatti esistono due diversi orientamenti in ordine alla questione della maturazione del diritto alle ferie durante il periodo di malattia del lavoratore e della riducibilità del periodo feriale in rapporto ai giorni non lavorati.
In particolare, il primo ritiene che il diritto del lavoratore alle ferie annuali debba essere rapportato, nella durata delle ferie stesse, ai periodi di effettiva prestazione di attività lavorativa, con esclusione quindi degli intermezzi di assenza del lavoratore per malattia[1]; l’altro ritiene, invece, che tali periodi debbano essere equiparati, ai fini della maturazione delle ferie, alla effettiva prestazione di lavoro[2].
Le continue pronunce della Cassazione, discordi tra loro, e le pressioni della dottrina, divisa sulle due interpretazioni, hanno fatto sì che l’argomento venisse rimesso alle Sezioni Unite che, con decisione n° 14020 del 12 novembre 2001, dopo un’approfondita disamina degli argomenti a sostegno di entrambe le posizioni, sembrano aver risolto definitivamente la querelle giungendo a sostenere il possibile utilizzo dei periodi di malattia ai fini della maturazione delle ferie.
E’ opportuno ripercorrere l’iter attraverso cui la Suprema Corte è giunta a questa conclusione.
Il primo intervento tra i più significativi in tale materia è quello di Cassazione n° 2078 del 1982, pronuncia anticipatrice della soluzione prospettata dalle SS.UU., il cui principio di diritto è stato però commentato criticamente da Pera che rileva come le ferie seguirebbero e sarebbero in corrispondenza ad un periodo di lavoro ininterrotto, ed avrebbero in questo la loro causa, sicché non potrebbe trovare giustificazione un periodo di riposo connesso alla sospensione del rapporto.
A conclusioni del tutto opposte perviene in seguito Cassazione n° 912 del 15 febbraio 1989[3] – secondo la quale il lavoratore matura il diritto alle ferie in relazione all’effettivo servizio prestato nell’anno precedente – e, con motivazioni ancora più approfondite, Cassazione n° 1786 del 1992 e Cassazione n° 9125 del 1996[4], quest’ultima affermando l’irrilevanza, ai fini della nostra analisi, del disposto dell’art. 36, 3° comma, della Costituzione che implica la nullità delle rinunzie alla maturazione delle ferie o alle ferie già maturate, e della sentenza della Corte Costituzionale n° 616 del 1987[5], avendo essa operato su una fattispecie in cui le ferie erano già maturate ed in godimento all’inizio della malattia e rese non concretamente utilizzabili dalla sopravvenienza della stessa, cosa ben diversa dalla questione in esame relativa alla maturazione delle ferie durante la malattia.
Tale mutato indirizzo, però, non ha mantenuto alcuna stabilità all’interno della Corte la quale, con successiva sentenza n° 704 del 1997, affermava che il diritto incondizionato alle ferie posto dall’art. 36 della Costituzione è da collegare non all’effettiva attività lavorativa ma al rapporto di lavoro, che permane anche durante la malattia del lavoratore. Da ultime, nel merito, il Tribunale di Milano prima con sentenza 23 luglio 1999[6] e il Tribunale di Parma dopo con sentenza 03 aprile del 2000[7], affermano che “la malattia del lavoratore non rappresenta una causa ostativa alla maturazione del diritto alle ferie, costituenti non solo un momento di riposo ma anche un’occasione di libera disponibilità del tempo libero”.
E’ interessante notare infine che il Tribunale di Milano, in contemporanea con la precedente pronuncia, afferma in data 19 luglio 1999 che “in assenza di previsioni legali o contrattuali, la legale sospensione del lavoro per malattia – ancorché questa sia impedimento alla prestazione non imputabile al lavoratore – non comporta la maturazione del diritto alle ferie annuali, queste dovendo, per la finalità che è propria dell’istituto, seguire ad un periodo ininterrotto di lavoro”[8].
Queste oscillazioni giurisprudenziali, riflettono parimenti i diversi approcci della dottrina. Nello specifico, per quanto riguarda l’orientamento che guarda in maniera critica la maturazione delle ferie in costanza di malattia, le argomentazioni addotte a sostegno sono molteplici. Innanzitutto la considerazione che i diritti relativi a ferie e malattia, scaturenti dal già citato art. 36 della Costituzione e dall’art. 2109 del codice civile, non conducono, in assenza di specifiche previsioni contrattuali, a ritenere che durante la legale sospensione del lavoro per malattia, che può durare anche un anno intero, maturino per il lavoratore le ferie annuali. Non esiste nel nostro ordinamento alcuna disposizione che equipari il periodo di assenza per malattia alla effettività della prestazione ai fini della maturazione delle ferie[9]. Né vale il tentativo di applicare in via analogica la disposizione prevista dall’art. 22 comma 6 del D. Lgs. 26 marzo 2001 n° 151 (art. 6 legge 30 dicembre 1971 n° 1204), che prevede espressamente la maturazione delle ferie nel solo caso di astensione obbligatoria delle lavoratrici madri. Neanche può essere applicata la Convenzione dell’Organizzazione internazionale del Lavoro n° 132 del 24 aprile 1970, poiché non pone alcun principio generale ma opera semplicemente un rinvio ai singoli Stati per l’individuazione della specifica disciplina in materia.
Chi sostiene la tesi opposta, ritiene invece che la Convenzione ponga inequivocabilmente una tutela privilegiata del lavoratore in caso di certi impedimenti personali, tra cui la malattia.
Altro elemento forte a sostegno della tesi negativa è l’affermazione che le ferie, prolungato periodo di riposo funzionale alla piena ricostruzione fisica e psichica del lavoratore subordinato, debbano seguire o essere in corrispondenza ad un periodo di ininterrotto lavoro[10]: ho diritto al riposo perché ho prestato il mio lavoro. Questo ragionamento è strettamente collegato al principio giurisprudenziale fondato sul sinallagma lavorativo, secondo cui il godimento delle ferie presuppone l’oggettiva esigenza del recupero delle energie logorate dall’effettivo lavoro[11].
E’ indispensabile stabilire se il diritto alle ferie sia in stretta corrispondenza con la concreta prestazione professionale oppure con la semplice esistenza del rapporto stesso. In altri termini, occorre capire quale tipo di contratto racchiuda il rapporto di lavoro, quello di scambio o quello di organizzazione.
Con il primo le ferie vengono in rilievo come mero corrispettivo del lavoro svolto, e da qui l’impossibilità di “creare ferie con le ferie”, di equiparare cioè i periodi di malattia a quelli lavorativi. Questa tesi però presenta delle incongruenze laddove si considera che nei confronti del lavoratore ammalato continuano ad essere presenti alcuni obblighi fondamentali quali quello di fedeltà o il divieto di svolgere altra attività che metta in pericolo l’immediata guarigione. Quindi se permangono i doveri, perché non anche ulteriori diritti?
Ripudiare la tesi scambistica, invece, vuol dire fare propria la teoria affermata dalle SS.UU. n° 7755 del 07 agosto 1998[12], secondo cui il contratto di lavoro subordinato non dà luogo ad un rapporto obbligatorio di scambio ma inserisce il prestatore nella comunità d’impresa e destina la sua prestazione all’organizzazione produttiva. In tal modo egli usufruisce del periodo feriale, così come di tutte le altre pause giornaliere e settimanali, non come corrispettivo lavorativo ma come vincolo cogente ed inderogabile a tutela della salute e della personalità e come mezzo esclusivo per sopperire alle necessità proprie e della famiglia.
Altra perplessità nasce dalla conseguente incondizionata automaticità della parificazione della malattia al lavoro effettivo. Come peraltro ammettono le stesse SS.UU. nella sentenza 14020/01, se il periodo di malattia fosse sempre astrattamente idoneo a produrre “accumulazione di ferie” potrebbe verificarsi il caso limite di un lavoratore malato per un intero anno che maturerebbe comunque il relativo diritto e ciò andrebbe a contrastare, come è stato osservato[13], con la ratio dell’articolo 2110 c.c. che è quella di realizzare la parità di trattamento tra lavoratore sano e lavoratore malato; tale parità deve essere, invero, bidirezionale, tendente cioè ad escludere vantaggi sia per l’uno che per l’altro.
Non risulterebbe ammissibile che la situazione in cui versa un lavoratore rimasto assente per malattia durante l’intero arco temporale di riferimento per la determinazione delle ferie sia equiparata in tutto e per tutto a quella del dipendente che, al contrario, durante lo stesso periodo sia stato ininterrottamente impegnato al lavoro.[14]
In altra occasione le SS.UU. sono intervenute per dirimere un contrasto giurisprudenziale con riferimento all’effetto sospensivo delle ferie ad opera della malattia sopravvenuta. Hanno infatti riconosciuto che se la malattia che determina un’incapacità al lavoro può ritenersi normalmente idonea ad impedire il godimento del riposo durante le ferie, è altrettanto vero che tale presunzione può essere smentita di volta in volta dalla particolarità del caso, quando ad esempio l’alterazione fisiologica preclusiva della prestazione lavorativa risulti in concreto compatibile con le finalità del periodo feriale[15].
Quindi, se alcune malattie possono non interrompere le ferie, in quanto con queste compatibili, non è impossibile affermare che “tale adattabilità tra esigenze terapeutiche e ristoro fisico e mentale possa permettere un’esclusione della maturazione delle ferie almeno in quei casi di malattie che, per la loro durata ed eventualmente per la loro natura, non siano tali da pregiudicare apprezzabilmente la realizzazione di queste esigenze a cui le ferie sono preordinate”.
Sembra allora più corretto distinguere tra malattia e malattia, attribuendo l’effetto sospensivo solo ad alcune di esse. Quest’ultima posizione presuppone accolto, peraltro, un concetto di malattia più ristretto rispetto di quello rilevante ai fini della sospensione del rapporto di lavoro ex art. 2110 c.c.: lo stato morboso deve essere tale da rendere il lavoratore incapace non solo di effettuare la prestazione lavorativa (incapacità al lavoro) ma anche di godere del proprio tempo libero (incapacità al riposo)[16]. La malattia in altri termini deve essere in grado di frustrare la finalità propria delle ferie che non è solo quella di rinfrancarsi dalle fatiche del lavoro, ma anche di dedicarsi ad altre attività culturali, ricreative, familiari a cui di norma non si riserva molto tempo.
In conclusione entrambe le tesi su esposte risultano ampiamente sostenibili, come peraltro dimostrano le varie pronunce della giurisprudenza ed i relativi commenti dottrinali equamente ripartiti sui due fronti.
Nonostante la decisa presa di posizione delle Sezioni Unite con la sentenza 14020/01 in merito alla possibile maturazione del periodo feriale in costanza di malattia, e proprio per la validità delle diverse argomentazioni affrontate in questa sede, non è detto che tale orientamento riesca a consolidarsi, “illuminando” definitivamente i futuri contenziosi in tale materia.
Sarebbe quindi auspicabile un intervento legislativo che possa fare chiarezza attraverso una più decisa interpretazione del secondo comma dell’articolo 2109 del codice civile, tenendo bene in mente che il principio secondo cui la malattia non debba in alcun modo pregiudicare le ferie necessità di un correttivo che ne assicuri un’applicazione limitata e ragionevole.
Note:
[1] Cassazione Sezione Lavoro, 19 ottobre 1996 n° 9125, in Mass. Giur. lav. 1997, 61, con annotazione di Gramiccia; Cassazione Sezione Lavoro, 13 febbraio 1992 n° 1786, in Giust. civ., 1992, I, 895.
[2] Cassazione Sezione Lavoro, 23 gennaio 1997 n° 704, in Il lavoro nella giurisprudenza, 1997, 10, 860, e in Mass. Giur. Lav., 1997, 61 ; Cassazione Sezione Lavoro, 05 aprile 1982, n° 2078, in Giust. civ. 1982, I, 1477 con nota critica di Pera.
[3] In Riv. It. Dir. Lav., 1989, II, 473.
[4] In Mass. Giur. Lav., 1997, 61.
[5] In Giust. civ., 1988, 608.
[6] In D.L. Riv. critica dir. lav. 1999, 881.
[7] In Lavoro nella giur., 2000, 854 con nota di Banzola.
[8] In Lavoro nella giur., 1999, 1166.
[9] E. d’Avossa, in Dir. Prat. Lav., 1992, 14, 921.
[10] Pera, cit., 1479.
[11] Cassazione 29 gennaio 1985 n° 04, in Mass. Giur. Lav., 1985, Massime Cassazione 67, n° 135.
[12] In Lav. Giur., 1999, 5, 429.
[13] Sandulli, in Enciclopedia Giuridica Treccani, voce Ferie, Roma, 1989, 4.
[14] S. Bellomo, Dubbi sulla conseguenza che parifica il lavoro effettivo all’infermità, D&G, 2001, n° 43.
[15] Cassazione civile SS.UU. , 23 febbraio 1998 n° 1947, in Giust. Civ. Mass., 1998, 414
[16] R. Del Punta, La sospensione del rapporto di lavoro, Milano, 1992, 95.
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