Le valutazioni espresse dalle Commissioni giudicatrici in merito alle prove di concorso, per quanto qualificabili quali analisi di fatti (correzione dell’elaborato del candidato con attribuzione di punteggio o giudizio) e non come ponderazione di interessi, costituiscono pur sempre espressione di ampia discrezionalità, finalizzata a stabilire in concreto l’idoneità tecnica e culturale, ovvero attitudinale, dei candidati, con la conseguenza che le stesse valutazioni non sono sindacabili dal G.A. se non nei casi in cui sussistono elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico od un errore di fatto o, ancora, una contraddittorietà ictu oculi rilevabile.
Il fatto
Il Tar Roma è adito per l’annullamento del verbale con il quale la Commissione e la Sottocommissione esaminatrici di una procedura selettiva pubblica, per titoli ed esami, hanno valutato l’elaborato della ricorrente relativo alla prima prova scritta attribuendo un punteggio pari a 6,00.
In particolare, la ricorrente espone di aver partecipato a detto concorso e di aver ottenuto, alla prima prova scritta, consistente nella somministrazione di 5 domande a risposta multipla, la votazione di 6/10, come tale insufficiente al superamento della prova, per la quale il bando richiede il punteggio minimo di 7/10.
Avverso tale valutazione deduce parte ricorrente una serie di motivi di censura cui segue un ricorso per motivi aggiunti avverso la graduatoria definitiva del concorso.
La decisione del Tar Roma
Avuto riguardo alle censure sollevate dalla ricorrente, rivolte avverso la valutazione della prima prova scritta, si osserva in sentenza come, in assenza di una diversa disposizione normativa ad hoc, la votazione numerica sia idonea ad esprimere la gradazione della valutazione, anche successivamente all’art. 3 della Legge n. 241 del 1990.
Ciò in quanto – secondo una consolidata giurisprudenza – il voto numerico, attribuito dalle competenti Commissioni alle prove scritte od orali di un concorso pubblico o di un esame, esprime e sintetizza il giudizio tecnico discrezionale della Commissione stessa, contenendo in se stesso la motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni o chiarimenti; in particolare, la motivazione espressa numericamente, oltre a rispondere ad un evidente principio di economicità amministrativa di valutazione, assicura la necessaria chiarezza e graduazione delle valutazioni compiute dalla Commissione nell’ambito del punteggio disponibile e del potere amministrativo da essa esercitato.
Le valutazioni espresse dalle Commissioni giudicatrici in merito alle prove di concorso, seppure qualificabili quali analisi di fatti (correzione dell’elaborato del candidato con attribuzione di punteggio o giudizio) e non come ponderazione di interessi, costituiscono pur sempre l’espressione di ampia discrezionalità, finalizzata a stabilire in concreto l’idoneità tecnica e culturale, ovvero attitudinale, dei candidati, con la conseguenza che le stesse valutazioni non sono sindacabili dal giudice amministrativo se non nei casi in cui sussistono elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico od un errore di fatto, o ancora una contraddittorietà ictu oculi rilevabile.
Ne consegue che il giudicante non può ingerirsi negli ambiti riservati alla discrezionalità tecnica dell’organo valutatore, se non nei casi in cui il giudizio si appalesi viziato sotto il profilo della logicità, vizio la cui sostanza non può, tuttavia, essere confusa con la non adeguatezza del punteggio numerico.
Se l’apprezzamento degli elaborati riflette una valutazione tecnico – discrezionale e ha natura di giudizio di valore, a tale giudizio inerisce un innegabile connotazione di opinamento soggettivo, non ripetibile dal giudice, se non in caso di discrasie logiche atte a far presumere la macroscopica irrazionalità del giudizio espresso.
In tale contesto, argomenta ancora l’adito Collegio giudicante, la motivazione espressa in forma numerica appare del tutto fungibile con la motivazione descrittiva, trattandosi di due forme di espressione, sintetica ed analitica, delle ragioni del particolare giudizio espresso.
Non solo. Avuto riguardo specifico alla fattispecie sottoposta al suo giudizio, il Tar adito rileva come la commissione di concorso abbia elaborato, a suo tempo, i criteri di valutazione entro cui graduare il giudizio, i quali concorrono, con i voti attribuiti, all’esternazione delle ragioni della valutazione, completandoli nel dettaglio.
È così evidente che il punteggio concretamente attribuito a ciascun elaborato, in applicazione dei predetti criteri generali e secondo le fasce di valutazione predisposte, risulta idoneo a rivelare le ragioni del giudizio, positivo o negativo, corrispondente alla fascia stessa.
Con la conseguenza che la predisposizione di fasce di valutazione consente di percepire le ragioni del singolo giudizio, costituendo l’apprezzamento del merito di ogni singola prova frutto dell’applicazione di quei criteri, sulla cui base si perviene all’attribuzione degli specifici punteggi, che risultano, quindi, idonei a esternare compiutamente le motivazioni del giudizio reso.
Passando a soffermarsi su altra censura del ricorso si precisa in sentenza come la circostanza che sull’elaborato della ricorrente non siano stati apposti segni di correzione o notazioni sia del tutto irrilevante ai fini della legittimità del voto attribuito.
Ed invero, la commissione giudicatrice non svolge un’attività scolastica di correzione degli elaborati scritti dei candidati, che non rientra tra i suoi compiti, e neppure ha il dovere di evidenziare con segni grafici i punti dai quali, più degli altri, risulti l’insufficienza o l’erroneità dell’elaborato ovvero la non rispondenza alla traccia; sicché, l’apposizione di annotazioni sugli elaborati, di chiarimenti ovvero di segni grafici o specificanti eventuali errori, costituisce una mera facoltà di cui la commissione può avvalersi nel caso in cui ne ricorrano i presupposti, mentre l’inidoneità della prova risulta dalla stessa attribuzione del voto numerico in base ai criteri fissati dalla Commissione sia per la correzione che in sede di giudizio.
Ed ancora, si afferma in sentenza, come non possano trovare favorevole considerazione quelle censure che mirano a contestare le valutazioni della commissione sostenendo la bontà delle prove oggetto di concorso, chiedendo in tal modo al giudice di sovrapporsi alla valutazione di merito resa dalle commissioni esaminatrici, sostituendosi ad esse, laddove il Giudice, in sede di sindacato di legittimità, non può sostituire la propria competenza a quella specifica riconosciuta dall’ordinamento alle Commissioni di concorso, invadendo gli ambiti di discrezionalità tecnica alle stesse riservati.
Ciò che conta, in sede di valutazione degli elaborati svolti in una procedura concorsuale, non è solamente la esattezza delle soluzioni giuridiche prescelte – e quindi l’indicazione, per ciascuna domanda, da parte della ricorrente, della risposta esatta – ma anche la modalità espositiva adottata nella redazione dei relativi commenti.
Infine, si richiama in sentenza l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale nelle procedure concorsuali per l’accesso a posti di pubblico impiego non è sindacabile in sede di legittimità la congruità del tempo dedicato dalla commissione esaminatrice alla valutazione delle prove d’esame di candidati, in primo luogo perché manca una predeterminazione, sia pure di massima, ad opera di legge o di regolamenti, dei tempi da dedicare alla correzione degli scritti, in secondo luogo perché di norma non è possibile stabilire quali concorrenti hanno fruito di maggiore o minore considerazione e se, quindi, il vizio dedotto infici in concreto il giudizio contestato. Inoltre, i calcoli risultano scarsamente significativi laddove siano stati effettuati in base ad un computo meramente presuntivo, derivante dalla suddivisione della durata di ciascuna seduta per il numero dei concorrenti o degli elaborati esaminati.
T.a.r. Lazio, Roma, sez. II, 30/03/2016, n. 3901
Rigetta il ricorso principale / Dichiara in parte irricevibili i motivi aggiunti
Decisioni conformi
Nei concorsi pubblici, in assenza di una diversa disposizione normativa ad hoc, la votazione numerica è idonea ad esprimere la gradazione della valutazione, anche successivamente all’art. 3, della Legge n. 241 del 1990
(Cons. Stato, sez. IV, 21 ottobre 2013, n. 5107).
Le valutazioni operate dalla commissione esaminatrice costituiscono espressione di una ampia discrezionalità che, laddove non risultante affetta ictu oculi da illogicità e erroneità, non è sindacabile in sede di legittimità
(Cons. Stato, sez. IV, 28 novembre 2012, n. 6037).
Normativa di riferimento
L. n. 241/1990, art. 3
D.P.R. n. 487/1994
Maurizio De Giorgi, Avvocato in Lecce, esperto di diritto dei contratti
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento