Sull’equivoco delle gare per le installazioni pubblicitarie

A cura di Ida Alessio Vernì e Gaetano Brancaccio

Il tema della pubblicità e delle affissioni, pur essendo un tema complesso perché interessa l’urbanistica, la tutela del paesaggio, i beni culturali, aspetti fiscali ed organizzativi sul territorio, la tutela del decoro e della sicurezza urbana, la libertà di manifestazione del pensiero e quella di concorrenza, è tanto poco indagato che non esiste neanche una raccolta delle leggi sulla materia né una rassegna di giurisprudenza. Meriterebbe molti approfondimenti ma, ci limitiamo qui, a tentare di sgombrare il campo da un equivoco di fondo, che sta paralizzando o rallentando i necessari interventi pianificatori degli Enti preposti alla regolamentazione degli impianti stessi: quello secondo cui le istallazioni pubblicitarie dovrebbero necessariamente essere assegnate con gara.

Molti Comuni hanno istituito il canone unico senza poi regolamentare la materia nei loro territori e, spesso, risultano rallentati o paralizzati da che ritiene, non correttamente, che la Direttiva Bolkestein costringa ad indire sempre gare e non renda possibili autorizzazioni alle istallazioni in nessuna parte del territorio urbano e in nessuna ipotesi. È l’esatto contrario: le gare sono legittime e opportune per le zone di “pregio” della città, o per ottenere delle specifiche controprestazioni in beni o servizi, eccedenti il mero canone pubblicitario previsto dalla legge tra i tributi locali. Ma non sono obbligatorie. Rimangono altrettanto legittime le proroghe, le autorizzazioni singole, i rinnovi, accordi specifici e, soprattutto autorizzazioni rilasciate a seguito di operazioni di sponsorizzazione e di partenariato più complesse.

     Indice

  1. Le gare sono legittime, spesso opportune, ma non obbligatorie
  2. La legge prevede concessioni, autorizzazioni e comunicazioni di esposizioni pubblicitarie
  3. Le gare sono obbligatorie solo per le concessioni di beni e servizi
  4. I Piani Generali degli impianti dei Comuni: un primo indirizzo per l’elaborazione

1. Le gare sono legittime, spesso opportune, ma non obbligatorie

In un settore complesso, quello relativo alla pubblicità, si è diffuso un equivoco che tormenta da oltre un decennio le amministrazioni pubbliche ed impedisce alle stesse di procedere ad una intelligente ed obbligatoria pianificazione degli impianti pubblicitari: attraverso una errata lettura della Direttiva Bolkestein si è ritenuto che le autorizzazioni pubblicitarie non possano essere previste nel nostro ordinamento giuridico.

Dal che si ricava, poi, che il Piano Generale degli Impianti debba essere improntato all’obbligatorietà delle gare, a sistemi concessori, ripudiandosi, contro ogni logica, il riconoscimento di un vasto campo autorizzatorio!

Se si considera che la materia investe complessi temi tributari, urbanistici, paesaggistico ambientali, attiene alla libertà di concorrenza, ma anche alla libertà di manifestazione del pensiero, riguarda mondi imprenditoriali  intrecciati e collegati con i settori produttivi ed è settore in cui la globalizzazione ha  trovato piena ed articolata espansione, coinvolgendo la neuroscienza per  studiare i complessi meccanismi del cervello umano (dell’uomo consumatore), si può comprendere come l’ipotesi di prevedere obbligatoriamente “gare” risulta poi, nei fatti, non praticabile, perché comporterebbe la inevitabile scomparsa dell’imprenditoria locale e, forse, perfino, nazionale.

In altre sedi e per altri motivi, il tema è stato sottoposto a dettagliata ed articolata disamina dottrinale e giurisprudenziale, ma, in questa breve nota vogliamo limitarci a due brevi considerazioni molto semplici che nascono dalla prima forma di interpretazione delle leggi che si deve praticare, quella che i manuali definiscono interpretazione letterale e che, purtroppo, molto spesso, si perde nei meandri della “manipolazione” interpretativa del diritto.

Ebbene, mentre ad esempio nessuno ha mai trovato nelle fonti la dicitura autorizzazione demaniale della spiaggia o la dicitura autorizzazione allo svolgimento di un servizio pubblico, nella materia in esame la dicitura utilizzata, sempre, costantemente e in tutto il dispiegarsi della normativa è quella di autorizzazione pubblicitaria.


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2. La legge prevede concessioni, autorizzazioni e comunicazioni di esposizioni pubblicitarie

Inutile qui anche l’excursus storico dalle leggi dell’epoca fascista ai nostri giorni, ci basta partire dall’ultima fonte legislativa in materia, la legge istitutiva del Canone unico, che testualmente dispone:

Articolo 1 Comma 816 –

In vigore dal 01/01/2020

  1. A decorrere dal 2021 il canone patrimoniale di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria, ai fini di cui al presente comma e ai commi da 817 a 836, denominato «canone», è istituito dai comuni, dalle province e dalle città metropolitane, di seguito denominati «enti», e sostituisce: la tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, l’imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle pubbliche affissioni, il canone per l’installazione dei mezzi pubblicitari e il canone di cui all’articolo 27, commi 7 e 8, del codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, limitatamente alle strade di pertinenza dei comuni e delle province. Il canone è, comunque comprensivo di qualunque canone ricognitorio o concessorio previsto da norme di legge e dai regolamenti comunali e provinciali, fatti salvi quelli connessi a prestazioni di servizi.

Ebbene, si fa espresso, chiaro, inequivocabile riferimento a tre ipotesi distinte e separate, tenute insieme dalla imprescindibile obbligatorietà di controllare rigorosamente tutto quanto risulti visibile al pubblico all’interno del territorio cittadino ricavandone un corrispettivo:

  • La concessione pubblicitaria che è collegata all’assegnazione di superfici a seguito di gare che conferiscono al soggetto la qualità di concessionario
  • L’autorizzazione pubblicitaria che è l’ordinaria autorizzazione richiesta per diventare titolari di un impianto pubblicitario laddove sia facoltà dell’ente rilasciarla e/o negarla
  • La esposizione pubblicitaria che è relativa ad insegne, targhe, avvisi e simili, cioè a forme di pubblicità che rientrano già nei diritti del soggetto richiedente che, quindi, deve solo chiedere/dichiarare l’esposizione della stessa, laddove l’esercizio della discrezionalità è limitato all’accettazione o meno della proposta progettuale del richiedente.

3. Le gare sono obbligatorie solo per le concessioni di beni e servizi  

La seconda considerazione è altrettanto semplice: le “gare” ipotizzate come obbligatorie nella materia non avrebbero uno specifico oggetto in quanto, stabilita la tariffa e, in genere, posto un limite percentuale alle possibilità per gli enti, di aumentare la stessa, la gara non potrebbe svolgersi al rialzo se non nei limiti del canone fissato e, quindi, l’offerta sarebbe equiparata tra i concorrenti. La gara qualitativa non sussiste laddove non vi sia uno specifico “interesse pubblico”, che non può essere relativo alla “qualità” degli impianti pubblicitari dei privati, salvo che, ovviamente, non si stia svolgendo una gara qualitativa su oggetti di arredo urbano, servizi pubblici o altre richieste della Pubblica Amministrazione.

Ed in realtà le Direttive Comunitarie e le leggi nazionali attuative delle stesse, sono riferite a gare per le concessioni di beni e servizi, mentre nelle autorizzazioni pubblicitarie non esistono, di per sé né beni messi in gara né servizi.

Altro  e diverso è il tema  del Comune che voglia richiedere la prestazione di un servizio (esempio, un restauro, un intervento di manutenzione,   l’istallazione e la manutenzione di pensiline per il trasporto urbano, di cartelli topografici, di bagni pubblici , di cestini porta rifiuti etc.) e che svolge la gara sulla qualità della prestazione offerta dalle ditte: le autorizzazioni pubblicitarie poi concesse sono solo una diversa modalità di pagamento del prezzo, nel senso che l’Ente offre in controprestazione, invece che somme di denaro, una certa quadratura pubblicitaria. La gara si svolge sulla qualità del servizio (al rialzo) ed eventualmente, sulla quadratura richiesta (al ribasso), ma, lo si ripete, non ha ad oggetto le autorizzazioni pubblicitarie.

Altro e diverso il caso in cui l’Ente decida di mettere a gara un particolare bene proprio, una parte specifica del proprio territorio di pregio particolare e con limitatissimi spazi pubblicitari, una installazione già esistente o, comunque, ad hoc realizzata dall’Ente stesso o, più frequentemente, impianti affissionali da dismettere già di proprietà dell’Ente: la gara si svolge al rialzo su offerte economiche non collegate all’esposizione pubblicitaria, ma alla concessione dello specifico bene messo a gara.

4. I Piani Generali degli impianti dei Comuni: un primo indirizzo per l’elaborazione

Ne deriva che  i Piani Generali degli Impianti in corso di redazione nei Comuni, i regolamenti, le normative di attuazione, devono necessariamente ed obbligatoriamente prevedere  un triplice approccio: disciplinando in forme diverse l’insegna del negozio che va obbligatoriamente consentita al titolare dello stesso e la targa del professionista che appartiene, ovviamente, solo ed esclusivamente al professionista stesso, mediante il nullaosta all’istallazione; zone o oggetti specifici  di particolare pregio  ovvero servizi pubblici di particolare interesse per il riassetto del territorio urbano in termini di decoro e sicurezza urbana, mediante le concessioni con gare, e gli impianti pubblicitari su pubblico o su privato mediante autorizzazioni, con differenziate tariffe di canone.

Un’ultima notazione. Le preleggi del Codice civile indicano l’ordine che nell’interpretazione si deve seguire e l’articolo 12 dispone: Nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse …….

Me deriva che l’interpretazione letterale deve considerarsi il criterio assorbente ed esauriente rispetto a tutti gli altri canoni interpretativi del testo normativo; nonché il primo e fondamentale elemento per indagare l’intenzione del legislatore.

E mentre in altri ordinamenti la giurisprudenza è quasi equiparata alle leggi, nel nostro ordinamento i giudici e gli amministratori possono far ricorso ad altri criteri ermeneutici solo se la legge non dispone, se non è chiara, se risulta carente o contraddittoria. In caso contrario, come nell’ipotesi oggetto di disamina, la legge è chiara, chiarissima e le interpretazioni dottrinali o fondate sulla anche autorevolissima giurisprudenza delle Sezioni Unite della Cassazione o del Consiglio di Stato non possono essere equiparate alla legge o prevalere sulla stessa.

Anche perché, poi, a ben vedere, le fonti citate riguardano altre ipotesi, ritenute assimilabili dall’interprete, o casi e fatti concreti con una loro specifica peculiarità.

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Ida Alessio Vernì

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