Superbonus e sequestro preventivo a banca: chiarimenti della Cassazione

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 3108 del 24 gennaio 2024, ha fornito chiarimenti su Superbonus e sequestro preventivo a istituti bancari in relazione ai reati di truffa e autoriciclaggio. Per l’approfondimento sul tema del contenzioso Superbonus abbiamo organizzato il corso di formazione “Contenzioso Superbonus: le responsabilità professionali. Aggiornato al Decreto Salva Casa – III edizione

Corte di Cassazione – Sez. II Pen. – Sent. n. 3108 del 24/01/2024

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Indice

1. I fatti

Il Tribunale di Treviso ha rigettato, con ordinanza, le istanze di riesame proposte nell’interesse di alcuni istituti bancari avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Tribunale di Treviso in relazione ai reati di truffa e di autoriciclaggio, contestati a vari soggetti, per condotte illecite consistite nella mancata esecuzione di opere edili ammesse all’agevolazione fiscale denominataSuperbonus 110%“, oggetto di S.A.L., di false asseverazioni e fatturazioni al committente, con conseguente riconoscimento di crediti di imposta, monetizzati attraverso la successiva cessione a istituti di credito.
Per quanto rileva ai fini della presente decisione, il giudice del riesame, richiamando l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, riteneva infondate le censure di un istituto secondo cui il periculum in mora – indicato nella possibilità di ulteriori operazioni illecite, a seguito dell’incameramento di somme rilevanti – poteva riferirsi solo agli indagati e non all’istituto bancario, in mancanza di specifica motivazione sul pericolo derivante dalla disponibilità dei crediti ceduti, specie in considerazione di quanto disposto dall’art. 121 d.l. 34/2020 che limitava la responsabilità del soggetto cessionario alle ipotesi di utilizzo irregolare del credito o di concorso nella violazione.
Avverso tale ordinanza, uno degli istituti ha proposto ricorso per Cassazione basato su due motivi: violazione di legge per l’impossibilità di sottoporre a sequestro crediti d’imposta sorti in relazione al c.d. Superbonus 110, acquistati dal cessionario di buona fede, con conseguente carenza del requisito del periculum in mora; violazione di legge per la mancata valutazione in merito alla concretezza e alla attualtà del periculum in mora, posto che era sempre possibile il recupero del valore del credito.
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2. Superbonus e sequestro preventivo a banca: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, sottolinea preliminarmente che la motivazione del provvedimento impugnato non si limita a richiamare il principio di diritto secondo cui, in tema di sequestro preventivo impeditivo relativo al delitto di truffa aggravata ai danni dello Stato, “sono suscettibili di apprensione i crediti dei terzi cessionari di cui all’art. 121, comma 1, lett. b), d.l. 19 maggio 2020, n. 34, converitto, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77 (oggetto del c.d. ‘superbonus 110%), posto che gli stessi, derivando dal diritto alla detrazione di imposta spettante al committente delle opere, costituiscono cose pertinenti al reato, senza che rilevi la condizione soggettiva di detti terzi, in conformità alle norme processualpenalistiche che non risultano derogate dalla disciplina in oggetto“.
Questo contiene, altresì, espliciti riferimenti alle ragioni in base alle quali è da escludersi la violazione dell’art. 121 d.l. 34/2020, sul solco delle argomentazioni del giudice di legittimità.
Il tema – con il quale, ad avviso della Corte, parte ricorrente non si confronta in termini critici, per gli aspetti processualpenalistici in rilievo – riguarda, invece la sequestrabilità dei crediti di imposta ceduti, nella specie del valore di circa 27 milioni di euro, in capo al terzo estraneo al reato, quale cessionario di tali crediti.
La Suprema Corte chiarisce che “il sequestro impeditivo di cui all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen., richiede soltanto la prova di un legame pertinenziale tra la res ed il reato, ossia un collegamento che comprende non solo le cose sulle quali o a mezzo delle quali il reato è stato commesso o che ne costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto, ma anche quelle legate solo indirettamente alla fattispecie criminosa“.
In particolare, nel caso di specie i crediti sequestrati alla ricorrente sono stati a ragione considerati cosa pertinente al reato, risultando infondata la tesi difensiva secondo cui, esercitata l’opzione per la cessione del credito, e dunque rinunciato dal beneficiario l’originario diritto alla detrazione (nella misura del 110% delle spese documentate e rimaste a carico), il credito stesso sorgerebbe – in capo al cessionario – a titolo originario, quindi depurato da qualunque vizio, anche radicale, che avesse eventualmente colpito il diritto alla detrazione.
La Corte chiarisce, inoltre, che l’art. 121 d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla l. 17 luglio 2020, n. 77, stabilisce che i soggetti che sostengono spese per determinati interventi (di recupero del patrimonio edilizio, di efficienza energetica, di adozione di misure antisismiche, di recupero o restauro della facciata di edifici esistenti, di installazione di impianti fotovoltaici, di installazione di colonnine per la ricarica di veicoli elettrici, di superamento ed eliminazione di barriere architettoniche), negli anni di riferimento, possono optare, in luogo dell’utilizzo diretto della detrazione spettante, alternativamente:

  • per il c.d. sconto in fattura, ossia un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, fino a un importo massimo pari al corrispettivo stesso, anticipato dai fornitori che hanno effettuato gli interventi e da questi ultimi recuperato sotto forma di credito d’imposta, di importo pari alla detrazione spettante, a sua volta suscettibile di cessione;
  • per la cessione di un credito di imposta di pari ammontare ad altri soggetti, compresi gli istituti di redito e gli altri intermediari finanziari, a sua volta suscettibile di cessione, nei termini (più volte modificati) del comma 1, lett. b), o di essere portato in compensazione con debiti erariali.

Da tale lettura emerge che il meccanismo del Superbonus in oggetto “è stato costruito dal legislatore su percorsi alternativi, sebbene evidentemente legati nei presupposti e sostenuti dall’identica finalità di incentivare gli interventi indicati” e, ad avviso della Corte, non si può pervenire a conclusioni diverse valorizzando i commi 4, 5 e 6 dell’art. 121 in esame, in tema di controlli e sanzioni, come invece affermato nel ricorso in quanto “tali commi non introducono una disciplina derogatoria a quella ordinaria penale con riferimento al sequestro preventivo. Il vincolo impeditivo, infatti, implica soltanto l’esistenza di un collegamento tra il reato e la cosa, non tra il reato e il suo autore, cosicché possono essere oggetto del provvedimento anche le cose in proprietà di un terzo, estraneo all’illecito ed in buona fede; ne deriva che non rileva in questa sede l’eventuale responsabilità del terzo cessionario né i presupposti oggettivi o soggettivi di questa per come ricavabili dai commi 4, 5 e 6 in oggetto, occorrendo soltanto verificare piuttosto se la libera disponibilità della res – anche in capo allo stesso terzo – sia idonea a costituire un pericolo nei termini di cui all’art. 321, comma 1, cod. proc. pen.“.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione si avvia alle conclusioni osservando come non possa essere decisivo neanche il contenuto della Circolare dell’Agenzia delle entrate n. 24/E dell’8 agosto 2020, nella quale, in particolare, si afferma che “i fornitori e i soggetti cessionari rispondono solo per l’eventuale utilizzo del credito d’imposta in modo irregolare o in misura maggiore rispetto al credito d’imposta ricevuto. Pertanto, se un soggetto acquisisce un credito d’imposta, ma durante i controlli dell’ENEA o dell’Agenzia delle entrate viene rilevato che il contribuente non aveva diritto alla detrazione, il cessionario che ha acquistato il credito in buona fede non perde il diritto ad utilizzare il credito d’imposta“.
Questo, ad avviso della Corte, costituisce soltanto una lettura di un testo normativo compiuta dall’Agenzia delle entrate, e non, invece, di un’interpretazione autentica vincolante erga omnes.
Per ciò che concerne il periculum in mora, la Suprema Corte sottolinea che la possibilità di permanente utilizzazione dei crediti originanti da fatto illecito protrarrebbe e/o aggraverebbe le conseguenze del reato secondo quanto previsto dall’art. 321, comma 1, cod. proc. pen..
Pertanto, il ricorso è stato rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Riccardo Polito

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