Tarsu/Tari: nessun esonero per i magazzini

Con la sentenza in epigrafe la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi circa la tassabilità ai fini TARSU, ora TARI, delle superfici adibite a deposito delle attività produttive ribadendo che l’impossibilità di produrre rifiuti deve dipendere da fattori oggettivi e permanenti e non dalla contingente e soggettiva modalità di utilizzazione dei locali, nonché evidenziando come le deroghe e le riduzioni delle tariffe non operano in via automatica, in base alla mera sussistenza delle condizioni previste, dovendo il contribuente dedurre e provare i relativi presupposti.

Il caso di specie

In particolare, nel caso di specie, la questione controversa – sorta all’esito dell’impugnazione da parte di una società romana commerciante di tubi e acciai speciali di una cartella a titolo TARSU – riguardava la soggezione o meno all’imposta di un magazzino destinato a deposito di materiale ferroso che, ad avviso della contribuente, non era produttivo di rifiuti speciali essendo ivi presenti solo merci da commercializzare lì collocate senza interventi di lavorazione e, quindi, senza produzione di rifiuti.

Ciò nondimeno, la Commissione Tributaria, ritenendo che nella specie si trattasse di rifiuti speciali, aveva riconosciuto alla contribuente il diritto alla riduzione TARI per rifiuti assimilati in proporzione alla quantità di rifiuti avviati al recupero e documentati dalla contribuente.

La riduzione della tariffa

Avverso tale pronuncia proponeva ricorso incidentale la ricorrente e, con controricorso, anche l’ente impositore il quale, ritenendo insussistente il riconosciuto diritto alla riduzione TARI chiedeva alla Suprema Corta di “chiarire che gli artt. 49, comma 14, d.lgs. n. 22 del 1997, e 13, comma 5, del Regolamento TARI del Comune di Roma n. 24 del 2003, devono essere interpretati nel senso che la riduzione della tariffa rifiuti per i rifiuti speciali assimilati avviati al recupero tramite un soggetto autorizzato che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi è applicabile soltanto se di tale circostanza venga fornita dimostrazione con le modalità previste nelle citate disposizioni legislative e regolamentari, ossia con la presentazione di una attestazione rilasciata dal soggetto che effettua l’attività di recupero dei rifiuti stessi”.

Ebbene, con la pronuncia in commento – che si inserisce perfettamente nel solco della più consolidata giurisprudenza di legittimità resa in tema TASU, ora estendibile anche alla TARI – è stato in prima battuta ribadito il principio secondo cui, il diritto all’esenzione o alla riduzione della tassa in seguito alla produzione di rifiuti speciali assimilati “smaltiti in proprio” non opera in automatico ma occorre che il contribuente provi di averne diritto (Cass. n. 6359 del 2016).

La decisione

Ed invero, confermando il proprio costante orientamento, la Suprema Corte ha ricordato che in tale materia grava sul contribuente l’onere di provare la sussistenza delle condizioni per beneficiare dell’esenzione, atteso che, pur operando il principio secondo il quale è l’Amministrazione a fornire la prova della fonte dell’obbligazione tributaria, esso non può operare con riferimento al diritto ad ottenere una riduzione della superficie tassabile, o addirittura l’esenzione, costituendo questa, un’eccezione alla regola del pagamento del tributo da parte di tutti coloro che occupano o detengono immobili nelle zone del territorio comunale (Cass. n. 9731 del 2015).

Tanto chiarito, i giudici di Piazza Cavour si sono pronunciati in ordine alla tassabilità, ai fini di che trattasi, delle aree destinate a deposito (nella specie quello ferroso), così chiarendo che i residui prodotti in un deposito o magazzino non possono essere considerati residui del ciclo di lavorazione, risultando ininfluente che possano essere qualificati o meno come rifiuti assimilati agli urbani (…).

A sostegno di tale affermazione sono stati, invero, riportati alcuni precedenti resi dalla giurisprudenza della stessa Corte di Cassazione secondo cui l’ esenzione o riduzione delle superfici tassabili deve intendersi limitata a quella parte di esse su cui insiste l’opificio vero e proprio, perché solo in tali locali possono potenzialmente prodursi rifiuti speciali per le caratteristiche strutturali relative allo svolgimento di attività produttiva, mentre in tutti gli altri locali destinati ad attività diverse (uffici, depositi, servizi), i rifiuti devono essere classificati urbani per esclusione, con conseguente tassazione della relativa superficie (Cass. n. 26725 del 2016).

Così, l’impossibilità di produrre rifiuti deve dipendere da fattori oggettivi e permanenti e non dalla contingente e soggettiva modalità di utilizzazione dei locali.

Al riguardo, è stato invero ricordato che « La situazione che legittima l’esonero si verifica allorquando l’impossibilità di produrre rifiuti dipende dalla natura stessa dell’area o del locale, ovvero dalla loro condizione di materiale ed oggettiva inutilizzabilità ovvero dal fatto che l’area ed il locale siano stabilmente, e cioè in modo permanente e non modificabile, insuscettibili di essere destinati a funzioni direttamente o indirettamente produttive di rifiuti. La funzione di magazzino, deposito o ricovero è invece una funzione operativa generica e come tale non rientra nella previsione legislativa» (Cass. n. 19720 del 2010).

Peraltro, sempre la Suprema Corte ha esplicitamente affermato che «i magazzini, qualora siano destinati al ricovero di beni strumentali o delle scorte da impiegare nella produzione o nello scambio, concorrono all’esercizio dell’impresa e vanno perciò riguardati come aree operative, al pari degli stabilimenti o dei locali destinati alla vendita» (CAss. n. 2814 del 2005).

 

Sentenza collegata

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Avv. Cusumano Celine

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