Tassatività e tipicità: partenariato pubblico-privato e divieto di concessioni “atipiche”

Filippo Becciu 07/11/24

Con parere di funzione consultiva n. 52 del 9 ottobre 2024 l’ANAC è intervenuta in materia di partenariato pubblico-privato, ponendo l’accento sull’applicazione – anche per l’istituto in analisi – dei principi di tassatività e tipicità delineanti dal nuovo codice dei contratti pubblici.
Il complesso istituto, così come concepito nella sua attuale conformazione, richiede congiuntamente e cumulativamente la sussistenza di diversi requisiti necessari per la sua attuazione la cui carenza – conseguentemente – comporta l’impossibilità di ricorrere al previsto schema contrattuale.
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Indice

1. Inquadramento normativo unionale e nazionale


Il d.lgs. n. 36/2023, espressione del recepimento delle direttive succedutesi negli ultimi anni in materia di appalti pubblici nonché della giurisprudenza della CGUE, è ispirato ai principi fondamentali di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e pubblicità. A questi si aggiungono, come più volte ribadito dall’ANAC, i principi di tassatività e tipicità delle procedure ad evidenza pubblica, corollario del principio di legalità: le stazioni appaltanti, quindi, non possono porre in essere procedure di affidamento diverse rispetto a quelle disciplinate dalla stessa normativa di riferimento[1].

2. Il partenariato pubblico-privato nel nuovo codice dei contratti pubblici


Nello specifico, l’articolo 174 d.lgs. n. 36/2023 definisce i contratti di partenariato pubblico-privato (PPP), prevedendo in particolare che gli stessi siano connotati – nella realizzazione del progetto che viene posto alla base dell’operazione economica – da un “rapporto contrattuale di lungo periodo”  nonché da una significativa copertura finanziaria garantita dalla parte privata, rappresentando l’istituto in analisi un punto di collegamento e di responsabilizzazione comune tra il soggetto pubblico e gli attori privati[2].

3. L’istanza dell’amministrazione


Nel caso oggetto di parere da parte dell’Autorità un’amministrazione comunale ha richiesto una valutazione circa l’affidamento prospettato e nello specifico se lo stesso, essendo incentrato sulla gestione di un impianto sportivo di piccole-medie dimensioni con una durata contrattuale limitata (pari a tre anni), potesse considerarsi una tipologia concessoria al di fuori dei dettami codicistici. Il tutto, pertanto, con esclusione della disciplina prevista per i partenariati pubblici-privati.
Nella fattispecie, l’amministrazione risultava paralizzata dal mancato riscontro positivo da parte della SUA (stazione unica appaltante) con cui intratteneva apposita convenzione e alla quale aveva trasmesso la disponibilità all’espletamento della procedura di affidamento.
Nell’interpretazione prospettata dall’amministrazione comunale e sottoposta all’ANAC si sarebbe quindi escluso il ricorrere alle verifiche preliminari di convenienza e fattibilità[3] oltre che prevedere la gestione autonoma delle fasi di progettazione e affidamento, sommandosi quindi alle competenze stesse del soggetto concedente.

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4. Non applicabilità del partenariato pubblico-privato


Rispetto alle prospettate richieste il parere consultivo dell’ANAC riporta le questioni su un piano di analisi normativa della disciplina codicistica, espressione dell’applicazione degli anzidetti principi di origine unionale, con particolare attenzione su quelli di tassatività e tipicità degli schemi negoziali tratteggiati dal d.lgs. n. 36/2023.
In primo luogo, la carenza del requisito della durata prolungata nel tempo (strettamente riconnesso alla stabilità e alla copertura finanziaria del progetto) incide non solo sulla sussistenza, ma altresì sullo stesso sorgere di un rapporto di partenariato pubblico-privato.
L’elemento temporale richiesto dal Legislatore è quindi di per sé sufficiente ad escludere qualsiasi prospettazione in termini di PPP, riportando certamente la volontà concessoria della stazione appaltante al di fuori dell’istituto disciplinato dall’art. 174. Non essendo quindi data la possibilità al soggetto pubblico di creare figure ibride di concessioni – carenti, per esempio, di alcuni elementi essenziali – lo schema d’azione all’interno del quale risulta corretto riportare l’operazione configurata dalla stazione appaltante sarebbe quello dell’appalto pubblico.
Conseguentemente, anche l’obbligo di verifica preliminare di convenienza e fattibilità – al pari della non breve durata dell’operazione economica – è elemento necessario e non rinunciabile in materia di PPP. La configurabilità di una concessione che rinunci alla stessa, attraendo solamente alcuni degli elementi del PPP, non sarebbe pertanto ipotizzabile e quindi non ammissibile.

5. Capacità gestoria dell’affidamento


Altro punto di interesse nel provvedimento in analisi è quello attinente alla capacità gestoria dell’ente con riferimento all’affidamento (nelle sue varie fasi), soprattutto riguardo alla sua qualificazione. In caso di PPP, infatti, nell’ipotesi di rifiuto di una stazione appaltante qualificata/centrale di committenza di svolgere la procedura di gara per conto di una stazione appaltante non qualificata è possibile rivolgersi all’ANAC, prevedendosi all’uopo apposita procedura risolutiva[4]. In caso, pertanto, di esperimento positivo della relativa procedura deriverebbe altresì la nomina di un RUP, che curi i necessari raccordi con la stazione appaltante beneficiaria dell’intervento, la quale a sua volta nomina un responsabile del procedimento per le attività di propria pertinenza.
Nel caso invece della vicenda sottoposta all’attenzione dell’ANAC con parere n. 52/2024, per l’amministrazione richiedente è prospettabile, volendo ricadere nello schema dell’appalto pubblico, la possibilità di gestire direttamente le fasi di progettazione e affidamento in modo conforme alle disposizioni del Codice. 

6. Conclusioni


In materia di partenariato pubblico-privato appare evidente che l’intento del Legislatore sia quello di equilibrare l’interesse alla realizzazione del progetto con la sostenibilità dell’affidamento. È richiesto quindi che l’amministrazione si assicuri che la tipologia e la durata del contratto permetta al concessionario di recuperare gli investimenti e generare un ritorno economico, senza compromissione del servizio offerto, con schemi tipici quali concessioni, locazioni finanziarie o il contratto di disponibilità.
L’obiettivo è quello di evitare procedure atipiche o elusive, cosa che invece ben si avrebbe se il modello del PPP fosse “piegato” per esigenze di realizzazione di progetti limitati nel tempo, con deresponsabilizzazione degli operatori coinvolti nelle procedure pubbliche, in particolare svincolandosi da obblighi di valutazione e copertura finanziaria, nonché di standard qualitativi di gestione di progetti altamente rilevanti per la comunità.

Note


[1] V. parere precontenzioso n. 142/2012 e deliberazione n. 10/2007 secondo cui “sono inammissibili procedure atipiche per la realizzazione di opere pubbliche o destinate ad un pubblico servizio, atteso che il sistema e le modalità prescelti potrebbero avere finalità o produrre effetti elusivi della normativa interna e comunitaria in tema di opere pubbliche”.
[2] L’art. 174 comma 1 d.lgs. n. 36/2023 prevede, oltre all’instaurazione di un rapporto di lunga durata e alla copertura finanziaria, il compito in capo alla parte privata di realizzare e gestire il progetto – con definizione degli obbiettivi da parte pubblica – nonché l’assunzione del rischio operativo.
[3] Il c.d. value for money di cui all’art. 175 comma 2 del Codice.
[4] L’art. 62, comma 10 d.lgs. n. 36/2023 prevede che la stazione appaltante non qualificata possa rivolgersi all’ANAC, che provvede entro quindici giorni all’assegnazione d’ufficio della richiesta a una stazione appaltante qualificata o a una
centrale di committenza qualificata, individuata sulla base delle fasce di qualificazione di cui all’articolo 63 comma 2.

Filippo Becciu

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