Un’importante pronuncia della Corte di Cassazione mette ordine nel rapporto tra reati contro la pubblica amministrazione e imposizione fiscale. L’ordinanza n. 307/2025, depositata l’8 gennaio, affronta il caso di un ex funzionario pubblico coinvolto in episodi di corruzione, chiarendo quando e come i proventi illeciti debbano essere sottoposti a tassazione.
Indice
1. Oggetto della controversia
Al centro della vicenda c’è la disciplina introdotta dall’art. 14, comma 4, della legge 537/1993, che impone di tassare anche i proventi derivanti da attività illecite. Una norma che ha trovato ulteriore specificazione nel 2006, quando il legislatore ha stabilito che tali somme, se non inquadrabili nelle categorie tradizionali, vanno considerate come “redditi diversi”.
La questione portata all’attenzione della Suprema Corte riguardava un avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate per recuperare a tassazione somme ricevute da un suo ex dirigente locale attraverso una serie di episodi corruttivi. Il nodo da sciogliere era apparentemente semplice: in quale anno dovevano essere tassati questi proventi?
2. Iter processuale
Il caso ha avuto un iter processuale complesso. In primo grado, la Commissione Tributaria Provinciale aveva accolto il ricorso del contribuente, annullando l’avviso di accertamento. Questa decisione era stata inizialmente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale, ma la Cassazione aveva annullato la sentenza per vizio di ultra petizione, rinviando la causa alla stessa CTR del Veneto in diversa composizione.
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3. La natura del reato di corruzione
La risposta definitiva della Cassazione è netta: ciò che conta non è quando viene commesso il reato, ma quando il contribuente acquisisce la materiale disponibilità delle somme. Nel caso specifico, benché gli episodi corruttivi fossero avvenuti nel biennio 2004-2005, l’accertamento per il 2006 è stato ritenuto legittimo perché solo in quell’anno i proventi erano effettivamente confluiti sui conti correnti dell’ex dirigente e della moglie. Particolarmente interessante è il percorso argomentativo seguito dalla Corte. I giudici hanno infatti collegato questa conclusione alla stessa struttura del reato di corruzione, definito come “reato a duplice schema”. In sostanza, la corruzione può considerarsi perfezionata sia al momento dell’accettazione della promessa sia quando avviene l’effettivo passaggio di denaro. Quando sono presenti entrambi i momenti, è la dazione materiale a segnare il momento consumativo del reato.
4. Conclusioni
Sul piano fiscale, questo si traduce in un principio chiaro: il “possesso di redditi”, che l’art. 1 del TUIR pone come presupposto dell’imposizione, si realizza solo quando il contribuente acquisisce l’effettiva disponibilità delle somme illecite. La Corte sottolinea come il termine “possesso” evochi la riferibilità a un soggetto di determinati redditi e la titolarità in capo a lui degli inerenti poteri di disposizione.
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