Spesso accade che gli imprenditori sentano la necessità di installare telecamere di sorveglianza che inquadrino determinate aree della struttura aziendale.
Con una serie di recenti provvedimenti il Garante privacy ha dichiarato illecito l’uso del sistema di videosorveglianza installato in alcuni luoghi di lavoro. In tutti i casi analizzati, le videocamere di sorveglianza erano state installate in violazione dello Statuto dei lavoratori, che vieta il controllo a distanza dei dipendenti, e della normativa in materia di protezione dei dati personali.
L’intervento del Garante, sollecitato da alcuni cittadini, ha sancito l’illiceità del trattamento di dati effettuato e ha pertanto reso inutilizzabili le immagini riprese in violazione di legge.
In particolare, nel provvedimento nei confronti di una casa di risposo l’uso delle telecamere installate nell’area dove i dipendenti timbrano il cartellino è stato vietato definitivamente.
Nel motivare i divieti il Garante ha ribadito che il controllo a distanza dell’attività lavorativa si configura anche qualora la sorveglianza non sia a carattere continuativo o le telecamere siano segnalate da cartelli: per essere in regola nell’installazione di telecamere occorre comunque e sempre rispettare le procedure stabilite dallo Statuto a tutela dei lavoratori.
La legge prevede, infatti, che le immagini raccolte per finalità di sicurezza non possono essere utilizzate per controlli, anche indiretti, sull’attività lavorativa. Serve l’accordo sindacale, e, in suo difetto, l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro.
Si tratta di un principio sancito dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori del 1970, ripreso dal punto 4.1 del Provvedimento a carattere generale del Garante della Privacy del 2004 e da sentenze della Corte di Cassazione (la più recente del 2007).
Inoltre, l’art. 4 comma 2 dello Statuto dei lavoratori prevede che “ Gli impianti e le apparecchiature di controllo che siano richiesti da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro, ma dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, possono essere installati soltanto previo accordo con le rappresentanze sindacali aziendali, oppure, in mancanza di queste, con la commissione interna. In difetto di accordo, su istanza del datore di lavoro, provvede l’Ispettorato del lavoro, dettando, ove occorra, le modalità per l’uso di tali impianti.”
Dal tenore letterale di tale articolo si evidenzia palesemente che è di fatto ammessa la possibilità di installare sistemi che abbiano finalità organizzative o produttive e che consentano anche il controllo a distanza dei lavoratori, a condizione che venga preventivamente raggiunto un accordo con le Rappresentanze Sindacali Aziendali (RSA o RSU) circa le modalità di utilizzo di tali apparecchiature. Nella domanda di autorizzazione, dovranno essere evidenziate le circostanze e le motivazioni che rendono necessaria l’installazione di telecamere per motivi di sicurezza, oltre ad una opportuna e specifica informativa circa la videosorveglianza dei dipendenti. In questo caso, le telecamere dovranno avere spie luminose, per essere identificabili, ed essere installate solo in angoli dell’azienda potenzialmente a rischio rapina o di attività criminali, sempre tenendo conto della privacy delle persone. Pertanto, la ripresa dell’attività lavorativa a distanza dei lavoratori deve essere occasionale ed esclusivamente finalizzata alla sicurezza aziendale e dello stesso dipendente e la visione dei filmati consentita solo in presenza di eventuali violazioni, furti, atti di vandalismo ecc. opportunamente e preventivamente denunciate all’autorità giudiziaria.
In mancanza di accordo con le RSA/RSU, su richiesta del datore di lavoro, sarà l’Ispettorato provinciale del Lavoro a stabilire le modalità d’uso delle apparecchiature di controllo. In assenza di tali accorgimenti relativi all’utilizzo dei sistemi di controllo, la loro installazione deve ritenersi illegittima, in quanto contraria alla legge. In tali casi, il dipendente potrà rivolgersi sia al Giudice del lavoro, sia al Giudice penale per chiedere che sia inibito al datore di lavoro di continuare ad utilizzare sistemi che consentano il controllo a distanza. Anche il Codice della Privacy (art. 114, d.lgs. n. 196/2003) richiama integralmente la disciplina dell’art. 4 della L. 300 cit. e, pertanto, si pone quale regolamentazione aggiuntiva rispetto a quella settoriale di limitazione del potere di controllo del datore e impone una lettura integrata dei due sistemi normativi (si veda Provv. Garante Privacy 29 aprile 2004). Espletata la procedura prescritta, e prima di installare un impianto di videosorveglianza, il datore di lavoro dovrà quindi (Provv. Garante Privacy 8 aprile 2010):
- informare i lavoratori con appositi cartelli della presenza delle telecamere;
- nominare un incaricato della gestione dei dati videoripresi;
- posizione le telecamere verso le zone a rischio, evitando di collocarle in maniera unidirezionale sui lavoratori impegnati nella loro attività;
- conservare le immagini raccolte solo per un massimo di 24 ore dalla rilevazione (salvo speciali esigenze).
Con la sentenza del 30 gennaio 2014 n. 4331 i Giudici della Suprema Corte hanno chiarito che l’installazione della telecamera puntata sui dipendenti durante la loro prestazione lavorativa effettuata senza le necessarie autorizzazioni comporta la responsabilità penale del datore di lavoro. Gli stessi, nella predetta sentenza, hanno evidenziano che è irrilevante il fatto che le telecamere siano più o meno attive in quanto, ai sensi dell’articolo 4, comma 2 della Legge n. 300/1970, va tutelato a priori il bene giuridico della riservatezza del lavoratore e, di conseguenza, il reato di pericolo a carico del datore può configurarsi anche con la mera installazione non autorizzata dell’impianto di videoripresa sebbene la telecamera rimanga spenta.
Recentemente la Cassazione è tornata ad esprimersi circa la legittimità dell’uso delle telecamere da parte del datore di lavoro per il controllo dei propri dipendenti con la recente sentenza la n. 2890/2015.
La S.C., al riguardo, ha confermato i propri precedenti indirizzi in materia (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 20722 del 18/03/2010 e Sentenza n. 34842 del 12/07/2011) ovvero ribadendo l’utilizzabilità nel processo penale delle videoriprese effettuate con telecamere installate sui luoghi di lavoro per accertare comportamenti delittuosi. Ciò in quanto le norme dello Statuto dei lavoratori, poste a presidio della loro riservatezza, non prevedono alcun divieto dei cd. controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l’esistenza di un divieto probatorio. Secondo il giudice di legittimità, dunque, dai fatti emerge chiaramente che le videoriprese sono state finalizzate non al controllo dei lavoratori a distanza (pratica vietata dallo Statuto dei lavoratori) bensì alla difesa del patrimonio aziendale attraverso la documentazione di attività potenzialmente criminose.
Per i motivi di cui sopra la S.C. ha sostenuto che i video utilizzati nel procedimento penale in questione non possono essere considerati illegittimi o illegali, ex art. 191 c.p.p., ma devono essere inquadrati quali prove documentali legittimamente acquisibili ex art. 234 c.p.p.
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