In tema di decadenza dalla responsabilità genitoriale determinata dalla violenza assistita patita dai minori

Redazione 07/02/18
di Francesca Di Muzio

(Trib. Min. Roma, 22/11/2016)

Il provvedimento si segnala per l’attenzione posta al recupero del rapporto genitoriale qualora il genitore (in questo caso il padre), che abbia posto in essere condotte pregiudizievoli per i figli, abbia realizzato un vero e proprio cambiamento atto a porre in essere una revisione critica delle sue condotte violente e aggressive, accentuate dall’utilizzo della sostanza stupefacente. Ma non solo: la decisione pone anche l’accento sul tema della violenza assistita, nonché ribadisce l’importanza degli incontri protetti volti a facilitare il recupero del rapporto padre – minori, e, non da ultimo, conferma l’orientamento giurisprudenziale consolidato sul riparto di competenze tra giudice ordinario e Tribunale per i minorenni.

La violenza assistita patita dai minori, costituisce elemento idoneo per l’affido esclusivo di questi alla madre.

La giurisprudenza è ormai ferma nel riconoscere la violenza assistita definendo maltrattante “non solo il genitore che commette atti di violenza diretti nei confronti dei figli ma anche quel genitore che, abitualmente o in modo più o meno sistematico, ricorre all’interno della comunità familiare a comportamenti ispirati alla logica della forza, della vessazione e della intimidazione, anche nei confronti di soggetti diversi dai figli” (1). Nell’immediato la “violenza assistita” può causare diverse manifestazioni di disagio come stress, depressione, difficoltà scolastiche, ridotte capacità empatiche, bassa autostima, svalutazione di sé, mentre, sul lungo periodo, aumenta il rischio della riproducibilità, ossia di sviluppare comportamenti violenti in età adulta, venendo assunta la violenza come legittimo strumento relazionale.

L’art. 330 c.c. (“Decadenza dalla responsabilità genitoriale sui figli”) prevede che: “Il giudice può pronunciare la decadenza dalla responsabilità genitoriale quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio.

In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore”.

Dal tenore letterale della norma, si desume che obiettivo del legislatore sia quello di tutelare e garantire il diritto del minore a crescere, essere amato, educato ed istruito, nonché mantenuto, ricevendo le dovute cure e le necessarie attenzioni dai propri genitori.

Tale diritto è riconosciuto anche dalla Carta Costituzionale che, all’art. 30, afferma: “E’ dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio.

Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti

La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima.

La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.”

Gli artt. 330 e 333 c.c., poggiando sul principio costituzionale del diritto di tutela del minore, riconoscono al giudice – ogniqualvolta la condotta di uno o entrambi i genitori sia pregiudizievole per la crescita serena del minore – il potere di intervenire, affinché a tali obblighi si provveda in sostituzione di chi non adempie.

Dunque, perché venga dichiarata la decadenza dalla responsabilità genitoriale è necessario che la condotta del genitore abbia cagionato un grave pregiudizio al minore e che tale tipo di provvedimento sia effettivamente corrispondente all’interesse del medesimo.

La ratio della norma è, infatti, quella di garantire, assicurare al minore di crescere ed essere educato in un ambito familiare sereno, affidando al giudice il compito di constatare la possibilità di recupero del ruolo genitoriale.

Ebbene, nel caso che ci riguarda, il sig. G.E. aveva posto in essere condotte evidentemente pregiudizievoli per un sereno sviluppo psico-fisico dei minori, costringendoli a vivere in un ambiente violento, fatto di aggressioni fisiche nei confronti della madre amplificate dell’assunzione costante di sostanza stupefacente.

L’astensione dalle condotte pregiudizievoli è passata dalla presa di coscienza di dover porre in atto un cambiamento, attraverso un percorso terapeutico non diretto esclusivamente ad interrompere lo stato di dipendenza dalla cocaina, ma anche di riflessione sulle condotte violente, poste in essere nei confronti della ex moglie e dei minori.

La volontà di cambiamento è stata mossa dall’impossibilità di avere rapporti con i figli.  E, dunque, nel provvedimento si sottolinea l’importanza di far affiancare i minori da idonee figure che possano predisporre questi ultimo all’incontro con il padre al fine di sostenerli nel recupero della relazione padre-figli bruscamente interrotta dalle condotte del Sig. G.E. Non di poco conto, è stata la circostanza che il G.E. abbia ammesso le proprie colpe in sede penale e non solo, anche dinanzi al Tribunale dei minorenni, ove egli stesso ha affermato di aver compreso la gravità degli errori commessi.

La predisposizione di incontri protetti nel caso di specie indicata dai giudici del Tribunale si pone invece in contrasto con una recente decisione del Tribunale per i minorenni di Torino nella quale i giudici sottolineano che l’adolescente non può essere costretto a frequentare un genitore quando ciò gli crei disagio, per non esserci mai stati rapporti assidui ma solo contatti sporadici.

Il principio della bi-genitorialità

I giudici richiamano le indicazioni provenienti dalla Corte europea dei diritti dell’uomo secondo cui,  affinché il principio della bi-genitorialità trovi concreta ed effettiva attuazione, al diritto del figlio di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori (art. 337-ter, comma 1° c.c.), deve specularmente riconoscersi anche il diritto di ciascun genitore al mantenimento di rapporti effettivi con i figli,  nell’interesse precipuo del figlio a una crescita serena ed equilibrata affinché il genitore sia posto nelle condizioni di esercitare la responsabilità genitoriale che gli compete e di adempiere al proprio dovere di mantenimento e cura della prole (artt. 147, 315 bis e 316 c.c.).

Ma allorché si tratti di individuare le concrete modalità di esercizio e attuazione del diritto del genitore a mantenere il legame con i figli, sempre in virtù dell’interesse del minore, si deve tener conto delle specifiche circostanze del caso concreto e, in particolare, dell’età del figlio minore. Anche sotto questo profilo, viene richiamata la giurisprudenza C.e.d.u. in base alla quale la coercizione per il raggiungimento dell’obiettivo di mantenimento del legame familiare deve essere utilizzata con estrema prudenza e misura e deve tenere conto degli interessi, dei diritti e delle libertà delle persone coinvolte e in particolare dell’interesse superiore.

Eventuali provvedimenti impositivi di rapporti, visite e incontri, non corrispondono all’interesse superiore del minore ad una effettiva e proficua bi-genitorialità e ad una crescita serena ed equilibrata né sono concretamente funzionali all’attuazione di quel diritto del genitore al mantenimento del legame con i figli, risultando anzi, in quanto imposti e non frutto di una spontanea rielaborazione relazionale, controproducenti e pregiudizievoli al recupero di una serena relazione padre-figlia nonché al benessere stesso della minore, cui il Tribunale sempre tende nell’adozione delle proprie decisioni.

Diversamente, il Tribunale di Roma ha ritenuto che procrastinare ulteriormente l’assenza di rapporti tra il padre ed i minori, possa ulteriormente esser motivo di distacco tra loro e di conseguenza, dichiara alla luce del rinnovamento posto in essere dal G.E., di non doversi procedere per un provvedimento di decadenza dalla responsabilità genitoriale.

Infine, in tema di riparto di competenze tra tribunale ordinario e Tribunale per i minorenni l’ordinanza in esame, ribadisce come la competenza a decidere sull’affidamento dei minori e sulle modalità di incontro padre-figli, spetti al Tribunale ordinario, stante la pendenza del giudizio di separazione tra i coniugi. E  con ciò,  il provvedimento del Tribunale dei minori, ribadendo la vis attractiva del Tribunale ordinario, si allinea perfettamente alla giurisprudenza consolidata,  la quale sostiene come “quando sia in corso un giudizio di separazione, divorzio o giudizio ai sensi dell’art. 316 c. c., anche in pendenza dei termini per le impugnazioni e nelle altre fasi di quiescenza, fino al passaggio in giudicato, la competenza in ordine alle azioni dirette ad ottenere provvedimenti limitativi od ablativi della responsabilità genitoriale, proposte successivamente e richieste con un unico atto introduttivo e richieste con un unico atto introduttivo dalle parti (così determinandosi un’ipotesi di connessione oggettiva e soggettiva) deve attribuirsi al giudice del conflitto familiare (Tribunale ordinario e Corte d’Appello).

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