Tema magistratura tributaria: un esempio in materia di obbligazioni

Lorena Papini 31/10/23

TEMA: Il candidato illustri il fenomeno dell’inadempimento dell’obbligazione e del rischio della causa ignota, con particolare riguardo alle obbligazioni professionali di diligenza.
Il contributo è tratto dal volume: Concorso Magistratura Tributaria – Temi svolti di Diritto Civile e Commerciale
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Indice

Svolgimento del tema


Ai sensi dell’art. 1218 c.c. il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. L’analisi della norma in esame consente l’individuazione di quelli che possono essere considerati gli elementi costitutivi della responsabilità da inadempimento, la cui definizione finisce per diventare imprescindibile sul piano del riparto dell’onere probatorio.
L’art. 1218 c.c. identifica il primo degli elementi costitutivi della responsabilità in questione descrivendo in primo luogo la condotta dell’inadempimento: questa si sostanzia nella mancata o non esatta esecuzione della prestazione dovuta.
Allo stesso tempo la disposizione, pur non citando espressamente l’elemento soggettivo, introduce il tema dell’imputazione, specificando che il debitore non è tenuto al risarcimento del danno solo se prova che l’inadempimento è derivato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. La sussistenza di tale requisito soggettivo, che deve concorrere con il requisito oggettivo dell’impossibilità della prestazione, consente dunque al debitore di andare esente da responsabilità allorquando vi sia assenza di colpa, circostanza questa dalla quale si può in senso opposto ricavare la necessaria sussistenza dell’imputazione ai fini della configurabilità della responsabilità da inadempimento, e dunque la qualificazione dell’elemento soggettivo come elemento costitutivo di quest’ultima.
La qualificazione del nesso di causalità come elemento costitutivo della responsabilità da inadempimento è invece ricavabile dal primo comma del successivo art. 1227 c.c.: nel disciplinare il concorso colposo del creditore la disposizione in questione evoca infatti l’elemento della causalità materiale, ossia quella causalità che costituisce il rapporto eziologico tra la condotta del debitore e il danno evento. Quest’ultima consente di stabilire se l’inadempimento è addebitabile al debitore e, ai fini della norma, in che misura, verificando l’eventuale concorrenza di altre cause. Ove sussista il nesso di causalità materiale, e dunque nell’ipotesi in cui il danno sia eziologicamente imputabile al debitore, si configurerà la responsabilità da inadempimento. Dalla causalità materiale si distingue la causalità giuridica, la quale costituisce il nesso eziologico tra il danno evento e il danno conseguenza, consentendo la determinazione del danno derivante dall’inadempimento.
Ulteriore ed ultimo elemento costitutivo è composto dal danno, che consiste nella lesione degli interessi del creditore cagionata dall’inadempimento. L’analisi appena svolta lascia a ben vedere trasparire, almeno sul piano degli elementi costitutivi, una perfetta sovrapposizione tra il sistema della responsabilità da inadempimento e quello della responsabilità aquiliana: in entrambi i sistemi si rende infatti necessaria la sussistenza della condotta, dell’imputazione, del nesso di causalità e del danno.
Delineati gli elementi costitutivi del sistema della responsabilità da inadempimento è necessario analizzare la collocazione di tali elementi sul piano del riparto dell’onere probatorio, verificando per altro verso su quale soggetto incomba il rischio della cosiddetta causa ignota.
Per quanto concerne l’onere della prova relativo all’inadempimento bisogna riscontrare l’assenza di indicazioni univoche da parte dell’art. 1218 c.c. Un indirizzo decisivo è invece ricavabile dal previgente codice del 1865: questo stabiliva espressamente che il creditore dovesse provare l’obbligazione, spettando per altro verso al debitore la prova dell’adempimento. La disposizione in esame introduceva pertanto una presunzione di inadempimento; si considerava infatti la persistenza del diritto di credito fino alla prova dell’adempimento. Tale presunzione appare del resto coerente con i principi generali dell’ordinamento se proiettata sul piano processuale: il principio di vicinanza della prova impone, infatti, che a provare l’adempimento sia il debitore, costituendo innegabilmente una prova più che difficoltosa la dimostrazione del fatto negativo dell’inadempimento da parte del creditore. Posta la presunzione in questione, al creditore spetterà pertanto la semplice allegazione dell’inadempimento, spettando invece al debitore provare di avere adempiuto.
Una seconda presunzione è ricavabile in relazione all’elemento soggettivo. Ai sensi dell’art. 1218 c.c. il debitore è infatti tenuto al risarcimento del danno se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Da ciò si ricava dunque una presunzione di colpa del debitore: a quest’ultimo, infatti, per andare esente da responsabilità, spetterà la prova della non imputazione.
Le presunzioni appena esaminate appaiono sin d’ora decisive ai fini della ricaduta del rischio della causa ignota. Il debitore sarà, infatti, considerato responsabile a meno che non provi la non imputabilità dell’inadempimento. Posta questa presunzione di imputazione appare dunque evidente che, se la causa dell’inadempimento resta ignota, il debitore non andrà esente da responsabilità.
Tale conclusione risulta del resto corroborata dalla prosecuzione dell’analisi in questione, stante la rilevabilità di una presunzione anche in relazione al nesso di causalità: infatti, identificata la causalità materiale come nesso eziologico tra la condotta del debitore e il danno evento, e quest’ultimo come la lesione dell’interesse del creditore, si evidenzia che nei fatti ciò che lede l’interesse del creditore è l’inadempimento stesso. Pertanto, pur essendo la causalità materiale un elemento costitutivo della responsabilità distinto dall’inadempimento, ci si accorge che se l’inadempimento lede gli interessi del creditore, e quest’ultima lesione costituisce il danno evento, allora sul piano pratico l’inadempimento si sostanzia nella lesione dell’interesse tutelato, coincidendo dunque col danno evento stesso. Dunque, mentre sul piano della struttura l’inadempimento risulta essere correlato all’imputazione, sul piano pratico si assiste ad un assorbimento della causalità materiale ad opera dell’inadempimento, per il quale la sussistenza di quest’ultimo equivale alla sussistenza del danno evento, e dunque alla sussistenza del nesso di causalità.
Sul piano del riparto dell’onere probatorio l’assorbimento del nesso di causalità nell’inadempimento comporta che l’allegazione di quest’ultimo equivale all’allegazione del nesso di causalità, con la conseguenza che questo elemento non solo non deve essere allegato, ma non deve essere neanche provato. Come una presunzione di inadempimento sussiste dunque una presunzione di causalità materiale. Ciò evidentemente comporta la ricaduta del rischio della causa ignota interamente sul debitore, posto che il creditore risulterà sollevato anche dall’onere probatorio del nesso di causalità.
Grava infine ovviamente sul creditore la prova dell’ultimo elemento costitutivo della responsabilità da inadempimento, costituito dal danno conseguenza: è, infatti, quest’ultimo che deve provare le conseguenze che sono derivate dall’inadempimento del debitore.
Individuato il regime del rischio della causa ignota in relazione all’inadempimento delle obbligazioni in generale, si rende necessaria la verifica relativa all’applicabilità delle conclusioni raggiunte in tale ambito al caso specifico delle obbligazioni professionali di diligenza, alla luce delle determinazioni più recenti della giurisprudenza della Suprema Corte.
Nelle obbligazioni di fare professionale l’interesse primario del creditore non coincide con l’oggetto dell’obbligazione: la prestazione del professionista infatti non consiste nel conseguimento del risultato finale auspicato dal creditore, quanto nel porre in essere un comportamento professionale idoneo a tale conseguimento.
L’interesse finale del creditore non rientra pertanto nell’obbligazione: la prestazione non coincide con il raggiungimento del risultato, ma col comportamento idoneo a raggiungerlo; non può dunque esserci inadempimento in mancanza del risultato finale. Emerge quindi la distinzione tra l’interesse primario del creditore, collocabile al di fuori dell’obbligazione, e l’interesse strumentale dello stesso, che invece si colloca all’interno dell’obbligazione. La prestazione del professionista che è oggetto dell’obbligazione deve pertanto soddisfare l’interesse strumentale, posta la dipendenza del conseguimento del risultato finale da altri fattori, non governabili dallo stesso professionista.
Dunque, in base a quanto affermato, il danno evento consisterà nella lesione dell’interesse primario del creditore, nella mancanza cioè del risultato finale auspicato. Tuttavia, l’interesse primario non si colloca all’interno dell’obbligazione, non essendo corrispondente alla prestazione che invece è oggetto della stessa, ruolo questo riservato all’interesse strumentale. Nelle obbligazioni professionali di diligenza dunque l’inadempimento consiste nella lesione dell’interesse strumentale, che tuttavia a ben vedere non coincide col danno evento, che, come accennato, corrisponde alla lesione dell’interesse primario. Ne discende che, al contrario di quanto avviene nel caso delle obbligazioni in generale, non si assiste all’assorbimento del danno evento da parte dell’inadempimento.
Dal fatto che inadempimento e danno evento non coincidano deriva che l’inadempimento rimane presunto, stante la regola generale ricavabile dal codice del 1865, ma che tale presunzione non vale come presunzione della causalità materiale; pertanto, l’allegazione dell’inadempimento non vale come allegazione del nesso di causalità, che dovrà dunque essere provato.
Al creditore spetta quindi non solo allegare l’inadempimento, che come detto resta presunto, ma anche provare la lesione dell’interesse primario, cioè il danno evento, e dunque la causalità materiale come nesso eziologico tra la condotta del professionista e lo stesso danno evento.
Alla luce delle differenze evidenziate è perciò possibile affermare che, nell’ambito delle obbligazioni professionali di diligenza, il rischio della causa ignota grava sul creditore; egli sarà, infatti, tenuto a provare il nesso di causalità a pena dell’insussistenza di un elemento costitutivo, che finirebbe per escludere la responsabilità.
Si delineano pertanto due sistemi di responsabilità da inadempimento: uno basato su un sistema di presunzioni che comprende l’inadempimento, l’imputazione e il nesso di causalità, con il rischio della causa ignota che grava sul debitore; ed un altro, relativo alle obbligazioni di diligenza professionale, dove vi è ugualmente una presunzione di inadempimento, ma dove non sussiste una presunzione del nesso di causalità, che andrà provato dal creditore ai fini della configurabilità della responsabilità.
Tuttavia, come detto, l’art. 1218 c.c. consente al debitore di andare esente da responsabilità se prova che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Una volta che il creditore abbia provato, anche attraverso presunzioni, il nesso eziologico tra la condotta del debitore e il danno evento, quest’ultimo, per andare esente da responsabilità, può dunque da un lato provare l’adempimento, dall’altro provare che l’inadempimento è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Emerge pertanto un doppio ciclo causale: il primo relativo al danno evento, inerente perciò al nesso eziologico tra la condotta del debitore e la lesione dell’interesse primario, e cioè al nesso di causalità materiale, che il creditore della prestazione professionale deve provare. E il secondo, relativo all’impossibilità di adempiere, che si manifesta dopo che il creditore abbia assolto l’onere probatorio relativo alla causalità materiale, dove invece spetterà al debitore provare la causa esterna che ha reso impossibile la prestazione di diligenza professionale.
Alla luce di questo sdoppiamento del ciclo causale è dunque possibile stabilire una differenziazione relativa al rischio della causa ignota: nella prima fase del ciclo causale il rischio della causa ignota grava sul creditore, atteso che, rimanendo ignota la causa dell’evento di danno, egli non potrà provare il nesso di causalità, e dunque non si configureranno la responsabilità e il relativo risarcimento del danno. Nella seconda fase del ciclo causale per altro verso l’onere della prova grava sul debitore, che deve provare che l’adempimento è mancato per una causa a lui non imputabile, con la conseguenza che nell’ipotesi di causa dell’impossibilità della prestazione rimasta ignota egli non potrà fornire la prova della causa esterna, rispondendo in tal modo del danno.
Va in ogni caso segnalato che l’impostazione giurisprudenziale in esame non è risultata esente da critiche da parte della dottrina.
Una prima contestazione fa leva sulla fattispecie che vede l’interesse primario rilevare come danno evento, pur essendo da considerare al di fuori dell’obbligazione. Tuttavia, nella logica della Cassazione l’interesse primario, pur non essendo in obbligazione, non costituisce un motivo soggettivo irrilevante che resta estrinseco rispetto al contratto d’opera professionale, ma un interesse connesso all’interesse strumentale, così che il soddisfacimento del primo passa attraverso la soddisfazione del secondo. L’interesse primario può dunque essere considerato un motivo comune rilevante a livello della causa del contratto, e pertanto rilevante come danno evento.
Una seconda critica sostiene invece che l’adesione a tale orientamento contribuisca a riesumare la distinzione ormai superata tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato; l’obbligazione professionale finirebbe così per essere un’obbligazione di mezzi, pur in assenza di un fondamento normativo della distinzione in esame.
Ad ogni modo, alla luce del consolidamento che si va configurando per l’impostazione giurisprudenziale in esame, è attualmente possibile distinguere due differenti sistemi di responsabilità con riferimento al rischio della causa ignota: uno, relativo all’inadempimento delle obbligazioni in generale, in cui il rischio della causa ignota grava sul debitore; ed un altro, relativo all’inadempimento delle obbligazioni di diligenza professionale, dove invece il rischio della causa ignota grava sul creditore, nel primo ciclo causale, e sul debitore, nel secondo ciclo causale.

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Lorena Papini

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