Tentativo di induzione indebita e istigazione alla corruzione

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(Riferimento normativo: Cod. pen., artt. 56-319-quater; 322, co. 3 e co. 4)

Indice:

Il fatto

La Corte di Appello di Bari confermava una condanna in ordine al reato di induzione indebita.

In particolare, agli imputati si contestava di aver indotto la vittima a versare la somma in contanti di €50.000,00, al fine di addivenire ad una transazione nella causa di lavoro pendente tra quest’ultimo e una Comunità montana nella quale uno degli imputati svolgeva la funzione di Commissario liquidatore, mentre l’altro era il legale che seguiva il giudizio.

Più nel dettaglio, la sentenza di appello, recependo integralmente il costrutto probatorio posto a base di quella di primo grado, evidenziava come al soggetto passivo del reato fosse stata prospettata dal proprio difensore la possibilità di chiudere la controversia in via transattiva, accettando l’importo di €100.000,00.

Orbene, a fronte di tale proposta, la parte offesa aderiva solo apparentemente a tale richiesta, provvedendo a registrare i colloqui e a sporgere denuncia, a seguito della quale venivano svolte le intercettazioni telefoniche richiamate dalle sentenze di merito.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso il provvedimento summenzionato il difensore di uno degli imputati, nel proporre ricorso per Cassazione, deduceva i seguenti motivi: 1) violazione di legge in ordine alla mancata derubricazione del reato nell’ipotesi di istigazione alla corruzione prevista dall’art. 322 cod. pen. atteso che, secondo il ricorrente, nel caso di specie, vi sarebbe stata una mera sollecitazione a consegnare il denaro in cambio dell’utilità, costituita dalla conclusione di una transazione a condizioni di favore per il privato; 2) violazione di legge e vizio di motivazione sostenendosi che il contegno processuale, la piena confessione ed il contributo probatorio offerto alla ricostruzione del fatto, avrebbero giustificato un trattamento sanzionatorio mite ed il riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen..

Ciò posto, a sua volta, il difensore dell’altro imputato, nel proporre ricorso per Cassazione, prospettava le seguenti doglianze: I) violazione di legge e vizio di motivazione in merito alla ricostruzione dei fatti operata sulla base delle dichiarazioni del propalante reputate dal difensore prive dei requisiti di attendibilità oggettiva e soggettiva, rilevandosi al contempo l’assenza di elementi di riscontro; II) vizio di motivazione e violazione di legge in ordine alla qualificazione giuridica del fatto nell’ipotesi di cui all’art. 319-quater cod. pen., anziché in quella di istigazione alla corruzione per l’esercizio delle funzioni. 

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

I motivi di ricorso concernenti la diversa qualificazione del fatto erano reputati fondati per le seguenti ragioni.

Difatti, ad avviso degli Ermellini, i fatti, così come erano emersi nel corso del giudizio di merito, non potevano essere qualificati alla stregua del reato di induzione indebita posto che, per consolidata giurisprudenza, il reato di cui all’art. 319-quater cod. pen. presuppone che l’induzione indebita a dare o promettere utilità sia alternativamente esercitata dal pubblico agente mediante l’abuso dei poteri, consistente nella prospettazione dell’esercizio delle proprie potestà funzionali per scopi diversi da quelli leciti, ovvero con l’abuso della qualità, consistente nella strumentalizzazione della posizione rivestita all’interno della pubblica amministrazione, anche indipendentemente dalla sfera di competenza specifica (Sez. 6, n. 7971 del 6/02/2020) e, pertanto, il delitto di indebita induzione previsto dall’art. 319-quater cod. pen. richiede la prevaricazione abusiva del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio quale mezzo imprescindibile dell’induzione che produce l’evento finale della indebita dazione o promessa.

Orbene, per i giudici di piazza Cavour, nel caso di specie, il privato non era stato destinatario di forme, sia pur blande, di pressione al fine di indurlo ad accettare di versare agli imputati la metà di quanto avrebbe ottenuto per effetto della transazione, bensì vi era stata una mera sollecitazione ad addivenire ad un accordo corruttivo nell’ambito del quale i diversi soggetti coinvolti agivano con parità di ruoli e senza la necessità di forma alcuna di prevaricazione dal momento che, nell’ideazione dell’accordo, il ruolo del privato era determinante al pari di quello degli imputati posto che, solo ove quest’ultimo avesse deciso di concludere la transazione, si sarebbero creati i presupposti per il compimento dell’atto contrario ai doveri d’ufficio e finalizzato a creare la “provvista” per il pagamento del prezzo della corruzione.

Di conseguenza, alla luce di tali considerazioni, il fatto era inquadrato, non già nello schema dell’induzione indebita, bensì in quello dell’istigazione alla corruzione, avendo gli imputati prospettato al privato un convergente interesse affinchè si addivenisse alla transazione dalla quale sarebbe derivato un reciproco vantaggio, deducendosi al contempo come una soluzione di tal fatta fosse conforme ai principi giurisprudenziali elaborati sul tema secondo cui la condotta di sollecitazione di cui al reato di istigazione alla corruzione si distingue sia da quella di costrizione, cui fa riferimento il novellato l’art. 317 cod. pen., che da quella di induzione, caratterizzante la nuova ipotesi delittuosa di cui all’art. 319-quater cod. pen., in quanto si qualifica come una richiesta formulata dal pubblico agente al privato senza esercitare pressioni, risolvendosi nella prospettazione di un mero scambio di “favori” connotato dall’assenza di ogni tipo di minaccia diretta o indiretta (Sez. 6, n. 18125 del 22/10/2019).

Precisato ciò, allo stesso modo era parimenti esclusa la possibilità di qualificare il fatto in termini di tentativo di induzione indebita, valorizzando la circostanza che la vittima avesse solo simulatamente aderito alla richiesta di dazione, al fine di consentire l’acquisizione della prova del fatto, e ciò in ragione del fatto che il tentativo di induzione indebita a dare o promettere utilità si differenzia dall’istigazione alla corruzione attiva di cui all’art. 322, commi terzo e quarto, cod. pen. per la diversa natura del rapporto tra le parti in quanto, nel primo caso, il pubblico agente, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, pone potenzialmente il privato in uno stato di soggezione mediante una richiesta perentoria mentre, nel secondo caso, gli rivolge la sollecitazione ad un mero scambio di favori senza estrinsecazione di alcuna condotta intimidatoria (Sez. 6, n. 3750 del 21/10/2020).

Richiamando quanto in precedenza osservato, quindi, nella fattispecie in esame, per il Supremo Consesso, era mancata la condotta intimidatoria e, pertanto, non poteva ritenersi configurabile neppure il tentativo di induzione indebita.

Infine, il fatto che la vittima avesse aderito solo apparentemente alla proposta, denunciando immediatamente i fatti, per la Suprema Corte, impediva di ritenere la consumazione del reato di corruzione atteso che l’accettazione della proposta corruttiva, che esclude la fattispecie incriminatrice ex art. 322 cod. pen., rendendo configurabile quella più grave di corruzione, deve essere connotata da effettività e concretezza (Sez. 6, n.33655 del 13/10/2020).

Tal che se ne faceva conseguire come non potesse ritenersi adesiva alle richieste del proponente la condotta di un privato che, secondo una valutazione “ex ante” ed in concreto, abbia solo apparentemente aderito alla richiesta, denunciando tempestivamente l’accaduto ed attivandosi per consentire l’accertamento del fatto.

Il fatto contestato era dunque riqualificato nella meno grave ipotesi prevista dall’art. 322, comma quarto, cod. pen., fattispecie punita con la pena prevista per il reato di corruzione propria ridotta di un terzo e, tenuto conto del lasso temporale intercorso dalla data di commissione del fatto, il reato in contestazione era considerato estinto per intervenuta prescrizione e, di conseguenza, la sentenza impugnata era annullata senza rinvio.

Conclusioni

La decisione in esame è assai interessante essendo chiarito in cosa il tentativo di induzione indebita a dare o promettere utilità si differenzia dall’istigazione alla corruzione attiva di cui all’art. 322, commi terzo e quarto, cod. pen..

Difatti, in tale pronuncia, sulla scorta di un recente precedente, è stato affermato che il tentativo di induzione indebita a dare o promettere utilità si differenzia dall’istigazione alla corruzione attiva di cui all’art. 322, commi terzo e quarto, cod. pen. per la diversa natura del rapporto tra le parti in quanto, nel primo caso, il pubblico agente, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, pone potenzialmente il privato in uno stato di soggezione mediante una richiesta perentoria mentre, nel secondo caso, gli rivolge la sollecitazione ad un mero scambio di favori senza estrinsecazione di alcuna condotta intimidatoria.

Tale provvedimento, quindi, deve essere preso nella dovuta considerazione ogni volta si debba appurare quale di questi due illeciti penali sia configurabile.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su codesta tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

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