Tentativo di rapina impropria: deve essere dimostrata l’idoneità causale

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La Corte di Cassazione, con sentenza n. 17503 del 30 aprile 2024, ha chiarito che, in caso di tentativo di rapina impropria, deve essere dimostrata l’idoneità causale e l’univocità degli atti posti in essere.

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Corte di Cassazione – Sez. II Pen. – Sent. n. 17503 del 30/04/2024

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Indice

1. I fatti

La Corte di appello di Bologna aveva confermato la sentenza resa, all’esito di giudizio abbreviato, dal Gip di Parma, che ha dichiarato la responsabilità dell’odierno ricorrente in ordine ai reati di tentata rapina e danneggiamento.
Con tale sentenza, si addebitava all’imputato, in concorso con altro soggetto rimasto ignoto, di avere tentato di introdursi all’interno di un condominio per sottrarre beni di proprietà altrui senza riuscirvi e di avere esercitato minacce e violenza nei confronti di un soggetto, fratello di una condomina che si era posto al loro inseguimento, danneggiando la bicicletta in suo possesso.
L’imputato ha proposto ricorso per Cassazione deducendo principalmente violazione degli artt. 56 e 628 cod. pen. in quanto le condotte contestate integrano il tentativo punibile di rapina impropria, non essendo connotate dai requisiti dell’idoneità e dell’univocità degli atti, e vizio di motivazione in quanto i giudici di merito hanno valorizzato esclusivamente il riconoscimento della persona offesa e non hanno valutato le altre dichiarazioni dalla stessa rese, che, ad avviso della difesa, escludono la rilevanza penale della condotta ascritta all’imputato.
Secondo la Corte di appello, le modalità minacciose e violente con cui i correi hanno cercato di sottrarsi agli inseguitori hanno trasformato il tentativo di furto in rapina impropria tentata quando, in realtà, il ricorrente osserva che i correi erano andati via prima ancora di essere riusciti ad entrare nel palazzo, essendosi limitati a superare il cancello esterno sulla strada.
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2. Tentativo di rapina impropria e idoneità causale: l’analisi della Cassazione

La Corte di Cassazione, nell’analizzare il ricorso, osserva che, secondo costante giurisprudenza, “è configurabile il tentativo di rapina impropria nel caso in cui l’agente, dopo aver compiuto atti idonei alla sottrazione della cosa altrui portati a compimento per cause indipendenti dalla propria volontà, adoperi violenza o minaccia per assicurarsi l’impunità“.
La Corte, poi, sottolinea che, ai fini della rilevanza penale e della punibilità del tentativo, “gli atti non possono essere in astratto distinti e classificati in atti preparatori ed atti esecutivi, discrimine da ritenersi generico e superato, poiché ciò che rileva è l’idoneità causale degli atti compiuti per il conseguimento dell’obiettivo delittuoso, nonché la univocità della loro destinazione, da apprezzarsi con valutazione ex ante in rapporto alle circostanze di fatto ed alle modalità della condotta“.
Viene evidenziato come la valutazione della idoneità degli atti vada effettuata non in relazione ad un criterio probabilistico, bensì in relazione alla possibilità che alla condotta consegua lo scopo che l’agente si propone e implica la individuazione di atti dotati di un’effettiva e concreta potenzialità lesiva, ossia un rilevante attitudine degli atti stessi, alla luce di una valutazione prognostica effettuata non dal punto di vista del soggetto agente, bensì nella prospettiva del bene protetto.
In considerazione di questi principi, la Suprema Corte ritiene che la sentenza impugnata sia lacunosa proprio nella misura in cui non ha fornito alcuna argomentazione in ordine ai descritti requisiti strutturali della fattispecie di tentativo di furto in abitazione, non essendosi soffermata, nonostante lo specifico motivo di gravame, a valutare l’idoneità e l’univocità degli atti posti in essere, risolvendosi la motivazione in una descrizione della vicenda storia e nel riconoscimento dell’univocità degli atti posti in essere, ritenendo evidente lo scopo furtivo dell’abusiva introduzione senza verificare la loro concreta idoneità a porre in pericolo il bene protetto.

3. La decisione della Cassazione

Alla luce di quanto finora esposto, la Corte di Cassazione è giunta ad affermare che la motivazione della Corte di appello non appare sufficiente a fornire adeguato sostegno motivazionale ad una ricostruzione della vicenda che sia rispettosa del canone fondamentale dell’offensività del fatto.
Nel caso in esame, infatti, la teste oculare ha riferito di avere notato che gli imputati avevano superato il cancello di accesso al cortile esterno del palazzo e di aver sentito i colpi con cui tentavano di aprire il portone di ingresso, ma che, comunque, non erano riusciti ad introdursi nell’androne e si erano allontanati poco dopo.
La Corte osserva che, se, da un lato, è indubbio che i due imputati hanno cercato di introdursi abusivamente nel condominio di un palazzo residenziale, scavalcando il cancello esterno, senza riuscire a superare il portone di ingresso del palazzo, dall’altro non può affermarsi che abbiano posto in essere atti idonei a realizzare un furto in abitazione, in quanto l’azione si è rivelata inoffensiva e si è interrotta in una fase preparatoria in cui non risulta neppure individuabile in maniera certa l’obiettivo specifico del progetto criminoso.
Ad avviso della Corte, sembra preferibile qualificare la condotta come violazione di domicilio, essendosi i due introdotti abusivamente all’interno di un cortile esterno di pertinenza condominiale senza esserne autorizzati. Si tratta, tuttavia, di reato procedibile a querela della persona offesa, che non è rinvenibile in atti.
Pertanto, la Suprema Corte ha imposto l’annullamento della sentenza impugnata senza rinvio in quanto il reato di violazione di domicilio, in cui la condotta ascritta i due imputati deve essere più correttamente inquadrata, non era perseguibile per mancaza della condizione di procedibilità.

Riccardo Polito

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