Teorie giustificatrici del concorso di persone nel reato

Con il presente contributo si intende far luce sulle fondamenta del concorso di persone nel reato, id est le teorie giustificatrici dell’istituto in questione. Questa tematica è stata per molto tempo ampliamente discussa, seppur nella pratica quotidiana non trovi riscontri immediati. Ma ciò non deve indurre l’interprete a adottare un comportamento astensionista e indifferente nei confronti di questo tema, che, seppur trascurato, è essenziale dal punto di vista dogmatico per giustificare la presenza all’interno del nostro ordinamento dell’istituto giuridico analizzato, e che, per alcune circostanze evidenziate nell’articolo, riveste comunque un ruolo determinante anche in molteplici aspetti pratici della prassi giudiziaria.

Per approfondimenti si consiglia: La Riforma Cartabia del sistema sanzionatorio penale

Indice

1. Introduzione

L’istituto giuridico del concorso di persone nel reato disciplinato ex art 110 cp svolge un ruolo essenziale all’interno del diritto penale in quanto consente l’imputazione della singola fattispecie di parte speciale – generalmente di natura monosoggettiva – a più soggetti concorrenti nella commissione di un reato della singola fattispecie di parte speciale. A tal riguardo rileva citare la distinzione dogmatica effettuata dalla dottrina penalistica tra la figura del concorso eventuale di persone – oggetto di questo articolo – che si riferisce appunto alla commissione da parte di più soggetti del reato disciplinato nella parte speciale, e la figura del concorso necessario di persone, che sussiste quando la stessa norma incriminatrice di parte speciale presuppone ontologicamente la compresenza di più soggetti agenti ai fini della configurabilità della fattispecie stessa.
In questo articolo si porrà attenzione a questioni meramente dottrinali, che si inseriscono in un momento logicamente anteriore rispetto alla disamina degli aspetti pratico-giuridici dell’istituto in esame. Le questioni preliminari, infatti, da analizzare in relazione al concorso di persone devono riguardare in primo luogo alla ratio dell’istituto nell’ambito dell’ordinamento penale, problema che si intende risolto una volta che si analizza la duplice funzione incriminatrice svolta da questo istituto [1]. In un frangente successivo, storicamente la dottrina ha ritenuto di affrontare la questione della ragione giuridica giustificatrice dell’istituto del concorso di persone, tesa a legittimare la punibilità di comportamenti del concorrente definiti atipici, ovvero non rientranti all’interno del fatto tipico sanzionato dalla fattispecie monosoggettiva, seppur ritenuti meritevoli di sanzione penale.

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2. Concorso di persone: la funzione incriminatrice

La disciplina del concorso di persone nel reato è contenuta nel titolo 4° intitolato “Del reo e della persona offesa dal reato” all’interno del libro 1° del codice penale, che esordisce con l’art 110 cp: “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita salvo le disposizioni degli articoli successivi”. Emerge sin da una prima interpretazione basata sul tenore letterale della norma che le conseguenze giuridiche dell’accertamento della sussistenza del concorso di persone nella commissione del reato sono duplici: da un lato deriva l’imputazione verso tutti i concorrenti della stessa fattispecie incriminatrice violata, seppur la singola azione materialmente commessa da uno dei correi astrattamente non sarebbe punibile secondo alcuna delle norme incriminatrici di parte speciale [2]. D’altro lato il riconoscimento di un concorso di persone comporta la sottoposizione per ogni concorrente alla stessa pena, a prescindere dalla maggior o minor incisività dell’azione realizzata dai concorrenti rispetto al decorso causale che ha portato alla produzione dell’evento sanzionato penalmente [3].
Queste conseguenze appena delineato vengono da parte di un filone dottrinale sussunte nella funzione incriminatrice svolta dall’istituto del concorso di persone, che si estrinseca in due momenti logici susseguenti: prima face “in un ordinamento retto dal principio di legalità […] talune norme sul concorso di persone hanno la funzione di dare rilevanza penale a comportamenti atipici ai sensi delle norme che delineano i singoli reati, estendendo quindi la responsabilità a chi non realizza in prima persona un reato consumato o tentato ma concorre alla commissione di un reato da parte di altri”[4]: ecco l’imputazione verso tutti i concorrenti della stessa fattispecie di cui si diceva in precedenza.
Secondariamente, una volta che logicamente si ottiene l’imputazione dello stesso reato a tutti i concorrenti, la funzione incriminatrice del concorso di persone svolge un ruolo essenziale in sede di trattamento sanzionatorio, ovvero si estrinseca in termini di “funzione di disciplina del trattamento sanzionatorio individuando la misura della pena per ciascuno dei concorrenti” [5].
Secondo altra parte della dottrina, la duplicità degli effetti del concorso di persone analizzati ora trova cittadinanza in un altro modello teorico, da ricondurre alla soluzione a due problemi strutturalmente diversi seppur analoghi dal punto di vista sostanziale. Infatti, la suddetta suddivisione della funzione incriminatrice del concorso di persone in due momenti successivi si esprime nella risoluzione da un lato del problema della imputatio, ovvero della selezione soggettiva: in altri termini, si tratta di stabilire chi dei soggetti partecipi alla commissione del reato deve rispondere penalmente del fatto. D’altro lato, si ritiene necessario dare risposta anche al secondo problema della tipicità del concorso, ovvero della selezione oggettiva, cioè si deve individuare di quale reato devono rispondere i soggetti scelti nella fase antecedente [6].

3. Teorie giustificatrici del concorso di persone

Proprio la conseguenza pratica dell’imputazione dello stesso reato a tutti i partecipanti al consesso criminoso ha indotto la dottrina ad interrogarsi per molto tempo sul giusto fondamento giuridico dell’istituto in questione. In particolare, ciò che ha suscitato maggiori problematiche dal punto di vista teorico è la difficoltà di conciliare l’imputazione in concorso del reato disciplinato dalla fattispecie monosoggettiva anche al compartecipe che però pone in essere condotte che astrattamente non sono sussumibili nel fatto tipico come previsto dalla norma incriminatrice. In altri termini la questione verte nel trovare una soluzione giuridica per “spiegare il fondamento tecnico-giuridico della punibilità di condotte concorsuali atipiche rispetto alle fattispecie incriminatrici di parte speciale” [7].
Durante gli ultimi due secoli, gli interpreti hanno fornito varie soluzioni dottrinali, le quali ognuno hanno in parte risposto a questo quesito, seppur contestualmente abbiano prestato fianco a sferzate obiezioni, talora insuperabili. Si analizza di seguito i risultati dottrinali ottenuti, raggruppabili in quattro principali teorie.

4. La teoria dell’accessorietà

come prima soluzione dottrinale da trattare, non si può non menzionare la teoria dell’accessorietà, storicamente la prima auspicata risoluzione del problema sopra enunciato. Secondo questa impostazione, il rilievo penalistico del comportamento del correo – che pone in essere un’azione atipica rispetto alla fattispecie incriminatrice di parte speciale – trova il fondamento nel fatto che la sua condotta accede alla condotta ritenuta principale realizzata da un altro agente.
All’interno di questo filone dottrinale si registrano due indirizzi divergenti tra loro: c’è chi sostiene una teoria dell’accessorietà estrema, per cui la condotta del concorrente rileva solo se si accompagna ad un’azione commessa dall’autore che già di per sé è concretamente punibile in quanto trattasi di fatto tipico, antigiuridico e colpevole. All’interno di questo orientamento si segnalano degli autori che propendono per la cosiddetta “iper-accessorietà”, che si concretizza nel momento in cui la condotta principale è non solo tipica, antigiuridica e colpevole, ma anche punibile [8]
Diversamente, invece, i fautori della cosiddetta accessorietà limitata ritengono che la punibilità del compartecipe sussista solo se la condotta principale dell’autore, oltre ad essere tipica, è obiettivamente antigiuridica, ma non necessariamente punibile in quanto incolpevole (ad esempio perché il reo è un soggetto inimputabile, ovvero perché sussistono cause di esclusione della colpevolezza). La diversità di vedute a riguardo si manifesta anche all’interno dello stesso filone della accessorietà limitata, in quanto si segnalano degli orientamenti interni differenti tra loro. C’è chi ritiene che l’accessorietà limitata sussista solo se la condotta di partecipazione accede al fatto tipico, antigiuridico e colpevole, ma non concretamente punibile ovvero se la condotta del compartecipe accede ad un’azione semplicemente ricondotta al fatto materiale tipico [9]: questo ultimo sotto-filone dottrinale è da taluni associato alla diversa figura della accessorietà minima [10].
In merito alla distinzione giuridica tra accessorietà limitata ed estrema, a mio parere, l’adesione alla prima consentirebbe una estensione della punibilità a condotte del correo che, intervenendo in aiuto all’agente principale, sono caratterizzate da note di illiceità nonostante la condotta principale, tipica secondo la fattispecie di parte speciale, non possa esser punita per mancanza di uno degli altri elementi costitutivi del reato. Alla luce di ciò, la mera punizione di condotte atipiche che di fatto manifestano sì esteriormente aspetti di illiceità ma esclusivamente nella mera intenzione  – visto l’inidoneità della condotta stessa a costituire reato alla luce sia della non punibilità dell’autore principale, sia per la mancata sussunzione della condotta del correo nella fattispecie di parte speciale – mal si concilierebbe con  i principi di materialità ed offensività caratterizzanti l’ordinamento penale, fatto salvo il caso in cui la condotta del correo in sé costituisca reato. Per questa ragione propenderei più per la teoria dell’accessorietà estrema, richiedendo questa che il comportamento del correo si inserisca all’interno di una condotta principale dell’agente di per sé perfettamente qualificabile dal punto di vista strutturale all’interno della categoria del reato.
Analizzando a fondo questa teoria, emerge come tale impostazione possa esser oggetto di due rilievi ritenuti insuperabili dalla dottrina maggioritaria: da un lato si ritiene che tale modello giustificativo non trovi applicazione nei cosiddetti reati ad esecuzione frazionata, ovvero quelle condotte in cui nessuno dei concorrenti realizza interamente il fatto tipico previsto dalla norma incriminatrice, ma la configurazione di questo ultimo presuppone necessariamente il concorso di più agenti che pongano in essere singole azioni che, congiunte, possano essere ascritte alla fattispecie di parte speciale [11]. In queste circostanze non è possibile individuare in nessuna delle condotte partecipative un ruolo principale ed uno secondario che accede al primo, essendo quindi impossibile poter applicare in questi casi la teoria dell’accessorietà [12].
Un secondo forte limite della teoria suddetta è da individuare nella figura del concorso di persone nel reato proprio [13] disciplinato dall’art 117 cp secondo cui “se, per le condizioni o le qualità personali del colpevole, o per i rapporti fra il colpevole e l’offeso, muta il titolo del reato per taluno di coloro che vi sono concorsi, anche gli altri rispondono dello stesso reato […]”. Nel caso in cui la condotta tipizzata dalla norma incriminatrice sia realizzata dal soggetto privo delle necessarie qualificazioni soggettive previste dalla fattispecie, allora viene meno l’incriminazione a titolo di reato proprio e conseguentemente l’imputazione del reato a titolo di concorso al compartecipe.
Parte della dottrina individua un terzo rilievo esclusivamente della teoria dell’accessorietà estrema nel fatto che si subordina la punibilità dei concorrenti al fatto che l’agente abbia posto in essere un fatto tipico, antigiuridico e colpevole: dunque verrebbe menomata l’esigenza repressiva visto che non sarebbero puniti i correi del soggetto agente a cui si riconosce una qualsiasi causa di non punibilità [14]. Altra parte della dottrina a ben vedere sostiene di riuscire a superare le obiezioni ora esposte: rispettivamente, all’asserita impossibilità di applicare la teoria dell’accessorietà ai reati ad esecuzione frazionata c’è chi risponde che in queste ipotesi di reato sussiste una particolare ipotesi di accessorietà reciproca [15], nel senso che ogni concorrente svolge un ruolo che reciprocamente è accessorio rispetto a quello realizzato dall’altro, senza che si individui una condotta tipica rispetto alla norma incriminatrice. A mio avviso questo tentativo di risposta alla critica della inefficacia della teoria dell’accessorietà nei reati frazionati non risponde nel punto in quanto in questo modo si introduce una nozione di accessorietà che cozza con la comune definizione di essa che presuppone l’esistenza di un’entità principale a cui prende parte un’altra entità secondaria [16].
Per quanto concerne il limite dell’accessorietà nel concorso nel reato proprio, i dubbi che emergono dall’art 117 cp – che tace circa la questione se la condotta tipica possa esser posta in essere anche dall’extraneus privo della qualificazione soggettiva – possono essere risolti se si aderisce pedissequamente alla previsione della fattispecie incriminatrice di parte speciale, per cui il reato si intende commesso solo se il fatto tipico è posto in essere dal soggetto che riveste la posizione soggettiva richiesta dalla norma. Ad esempio, nel reato di peculato, se l’azione tipica di appropriazione del denaro pubblico è realizzata dal pubblico ufficiale in concorso con un altro soggetto, allora a quest’ultimo si riconosce il concorso nel reato di peculato se la sua condotta è accessoria rispetto all’azione di peculato. Ma se l’azione tipizzata viene commessa dall’extraneus, non si può parlare di concorso nel reato proprio, ma altresì di concorso nel corrispondente reato comune: ad esempio se l’appropriazione del denaro avviene per opera dell’extraneus, si parla di concorso nel reato di furto, qualora la condotta del pubblico ufficiale acceda all’appropriazione dell’extraneus. Questo ultimo caso, dunque, esula dalla fattispecie di concorso nel reato proprio, ma si tratta di concorso in un reato comune: ecco che in questo modo si prospetta comunque la figura del concorso di persone anche se il reato proprio venga realizzato dall’extraneus.
La terza obiezione espressa in tema di accessorietà estrema in realtà non si inserisce a pieno all’interno dei principi cardine dell’ordinamento penale: infatti l’esigenza di general-prevenzione è sempre stata subordinata al principio del favor rei, per cui mai si può sanzionare penalmente un comportamento in nome della tutela della collettività se però ciò comporta una ingiustificabile limitazione della libertà personale in violazione dell’ordinamento penale.  E, come spiegato in precedenza, solo la teoria dell’accessorietà estrema consente una corretta applicazione del principio di materialità e offensività nel momento dell’imputazione al correo del reato seppur il fatto tipico sia materialmente commesso dall’agente principale.
In definitiva, a prescindere che si ammetta o meno la figura dell’accessorietà reciproca, il problema principale che si può muovere alla suddetta teoria è la difficoltà di individuare chi sia l’autore della condotta principale del reato. E proprio a questo problema principale ha provato a dare una risposta poi rivelata inadeguata – la recente teoria di stampo tedesco della cosiddetta accessorietà normativa, secondo cui la definizione di autore principale del reato dipende dalla descrizione data dalla norma incriminatrice applicata al caso concreto: non si tratta dunque di dare una definizione di autore basata su un dato empirico-fenomenico, ma la questione si risolve nell’individuare una definizione normativa di autore del reato tenendo conto della fattispecie incriminatrice. Secondo questa impostazione “sarebbe da considerarsi punibile la condotta che ha il medesimo significato normativo di quella principale dell’autore” [17]. Ma questa infelice definizione ha dato vita a molti dubbi in relazione al concetto di significato normativo, non essendo chiaro a quale norma occorre riferirsi per definire la condotta concorrente con quella dell’autore principale.  A ben vedere, questa nozione di accessorietà normativa prescinde totalmente dall’individuazione di una condotta principale ed accessoria; infatti, il fulcro nodale consiste nello stabilire se tra le due condotte ci sia una relazione di identità dal punto di vista normativo: si tratterebbe dunque di una formulazione dottrinale che esula dalla nozione classica di accessorietà che si rifà alla sua corretta definizione [18].

5. Concezione estensiva e restrittiva del concetto di autore nel concorso di persone

collegato a questa ultima problematica principale della teoria dell’accessorietà, ovvero l’individuazione dell’autore principale della condotta, occorre ora dar rilievo un’altra teoria giustificatrice del concorso di persone, ed in particolare della condotta atipica del concorrente, che consentirebbe in linea astratta di risolvere il dilemma alla base della teoria dell’accessorietà: si tratta della concezione di autore del reato.
Secondo un primo filone estensivo della concezione di autore, rientrano tra i compartecipi del concorso criminoso coloro che contribuiscono alla realizzazione in qualsiasi modo del reato [19], a prescindere dal loro contributo materiale effettivo: da qui si capisce il concetto estensivo di autore, che ingloba anche le condotte di chi ha realizzato un’azione che non direttamente si ricollega alla condotta punita [20]. I fautori di questa dottrina individuerebbero gli autori del reato secondo un criterio condizionalistico, ovvero vengono annoverati tra i responsabili del reato commesso in concorso coloro che secondo la formulazione della condicio sine qua non hanno posto in essere azioni causalmente essenziali ai fini della commissione del reato, a prescindere da chi effettivamente ha realizzato la condotta criminosa. Più raramente invece si è optato, ai fini dell’individuazione degli autori, un giudizio prognostico, per cui sono autori chi hanno attuato comportamenti che hanno aumentato il rischio della realizzazione del reato. Secondo questa dottrina, dunque, non rileva che la condotta del compartecipe sia perfetta dal punto di vista della presenza degli elementi essenziali del reato, ma è sufficiente che la condotta si inserisca in un legame condizionalistico dal punto di vista causale con il reato commesso.
Proprio da questa ultima affermazione un’altra parte della dottrina ha ribattuto che una tal definizione di autore andrebbe a confliggere con il principio di tassatività, in quanto si punirebbe penalmente il comportamento del compartecipe non sanzionato espressamente dall’ordinamento [21]. A mio modo di vedere, questa critica non coglie il punto essenziale della insufficienza della concezione estensiva della nozione di autore – che è comunque rigettata dalla dottrina maggioritaria – in quanto un certo grado di indeterminatezza sussiste anche nella attuale concezione di concorso di persone nel reato: basti pensare al ruolo del complice che, a prescindere dalla concreta azione posta in essere, è punito a titolo di concorso nel reato anche se con il suo comportamento determina una agevolazione nella commissione del fatto illecito [22]. Il difetto di questa teoria che più risalta all’occhio è da un lato l’incompatibilità del previsto requisito della causalità condizionalistica come criterio individualizzante degli agenti rispetto alla nozione di causalità attualmente adottata, ovvero quella basata sulla sussunzione sotto leggi scientifiche. D’altro lato la conseguenza dell’adesione a questa teoria sarebbe la punibilità a titolo di concorso nel reato di chiunque compia una qualsiasi condotta a prescindere dalla sussistenza degli altri elementi essenziali del reato, ovvero l’antigiuridicità ovvero la colpevolezza: si maschererebbe dunque una forma di responsabilità oggettiva. Ma, anche ammettendo l’individuazione delle condotte di compartecipazione subordinandole alla verifica del requisito dell’antigiuridicità e della colpevolezza, rimarrebbe comunque inattaccabile l’obiezione della superata concezione condizionalistica della causalità.
Altri hanno invece dato vita ad una nozione di autore restrittiva, in quanto fonda il suo nucleo essenziale sul fatto che le norme di parte speciale riguardano solo chi è autore del fatto tipico in tutti gli elementi tassativamente previsti, ciò alla luce del fatto che tali fattispecie specificano dettagliatamente le modalità di realizzazione dell’illecito penale. Conseguentemente la condotta atipica del compartecipe non può esser mai sussunta nella fattispecie di parte speciale, ma necessita di un’altra ragione giustificatrice: ecco chiaramente l’insufficienza anche di questa versione della concezione di autore.

6. Teoria della fattispecie plurisoggettiva eventuale

Introduciamo ora una terza teoria che, secondo l’opinione dell’autore, consente di rispondere pienamente alla ragione giustificatrice della imputazione penale anche di condotte concorrenti atipiche: si tratta della teoria della fattispecie plurisoggettiva eventuale [23]. Questo modello teorico presuppone che il figura di reato contestato ai vari concorrenti sia da inquadrare nel combinato disposto dell’art 110 cp e della norma incriminatrice di parte speciale monosoggettiva: proprio la previsione del legislatore dell’art 110 cp interpretato come clausola generale e di una serie di reati di tipo prettamente monosoggettivo disciplinati nella parte speciale fa propendere per chi scrive che anche nella mente del legislatore del 1930 si era raffigurata l’idea di concepire questo istituto come fusione delle singole norme incriminatrici con l’art 110 cp. Conseguentemente questa teoria consente agevolmente di imputare tutti i correi per un qualsiasi reato previsto nella parte speciale, senza dover necessariamente prospettare per ogni reato monosoggettivo una analoga previsione legislativa plurisoggettiva, ipotesi del resto infattibile dal punto di vista pratico. Alla luce di ciò detto, i compartecipi al reato rispondono non tanto per la fattispecie monosoggettiva di parte speciale, ma per una fattispecie unica e diversa rispetto a quella di parte speciale, di tipo plurisoggettivo e strutturata sull’unicità dell’offesa. In altre parole, la fusione tra l’art 110 cp e le singole norme incriminatrici danno luogo a tante “entità nuova, a forme unitarie nuove, nelle quali le singole condotte perdono la loro autonomia per divenire parti di un tutto” [24].
La perfezione di questa teoria si manifesta anche in relazione alle obiezioni sollevati in riferimento ai precedenti modelli esplicativi. Da un lato in questa ottica si consente di poter perfettamente rispondere al dubbio teorico relativo ai reati frazionati, nei confronti del quale la teoria dell’accessorietà si indebolisce. Seguendo i principi delineato dal modello della fattispecie plurisoggettiva eventuale, infatti, è possibile imputare per lo stesso reato più soggetti che pongono in essere condotte che solo nel complesso delle stesse integrano il fatto tipico punito nella fattispecie di parte speciale. Non è infatti richiesto, secondo questa teoria, che si identifichi un soggetto agente che realizzi la condotta tipica principale e un correo che concorra con il primo: in questo modo “si giustifica l’incriminazione del concorso di persone anche nel caso in cui la condotta sia suddivisa tra diversi soggetti” [25].
E proprio in base a questa ultima affermazione, è possibile dare una risposta anche all’obiezione in tema di concorso nel reato proprio, già comunque risolto anche in precedenza. L’applicazione dei principi emersi da questa teoria – che consente di poter rispondere in maniera alternativa al problema suddetto – permette di affermare che la suddivisione dei compiti tra i concorrenti nel reato sia irrilevante, e che dunque la sussistenza del concorso di persone nel reato proprio prescinde dal fatto che l’azione tipica sia posta in essere dall’extraneus ovvero dall’intraneus.
Vi è da segnalare però che parte della dottrina individua nell’atipicità dell’individuazione delle condotte del concorrente un neo di questa teoria, visto che – si dice – l’imputazione a titolo di concorso è strutturalmente diversa rispetto alla fattispecie di parte speciale monosoggettiva, e dunque “la condotta del concorrente ben può esser tipica ai sensi della fattispecie plurisoggettiva pur senza integrare tutti gli estremi di quella monosoggettiva” [26]. A mio avviso questa obiezione esula dal discorso che si sta affrontando, infatti l’attività di indagine sulla ragione giustificatrice dell’esistenza della figura del concorso di persone, in particolare in riferimento al concorso atipico – attività che si sta compiendo in questo scritto – è  diversa dalla fase di vaglio degli elementi essenziali che devono sussistere per riconoscere se nel caso concreto sussista un concorso nel reato ovvero si tratti di un reato posto in essere dal singolo agente. Ma, anche volendo ammettere la sensatezza di questa obiezione, è agevole rispondere che la dottrina e giurisprudenza ha nel tempo individuato i requisiti necessari ai fini dell’imputazione penale a titolo di concorso di persone, id est la pluralità di agenti, la realizzazione obiettiva della fattispecie di parte speciale, la condotta del compartecipe (differenziata a seconda che si tratti di concorso morale o materiale) [27] e l’elemento soggettivo che deve sussistere al momento della commissione della condotta da parte del compartecipe.
Altra parte della dottrina invece ha ritenuto che, vista l’introduzione della nuova fattispecie plurisoggettiva, il concetto di tipicità deve esser rapportato non più in relazione alla fattispecie di parte speciale – che non rileva più autonomamente all’interno della figura del concorso di persone – ma la relazione di tipicità deve basarsi sulla figura nuova concorsuale risultante dall’incontro dell’art 110 cp con la singola norma incriminatrice [28].
Nonostante ciò, alcuni continuano ad insistere che l’aspetto della tipicità della condotta atipica del concorrente costituisca un limite della teoria della fattispecie plurisoggettiva eventuale che una teoria meramente nomologica non riesce a risolvere: “in mancanza di una tipizzazione legale delle varie forme di concorso [spetta alla] giurisprudenza e dottrina il compito di fissare i requisiti minimi di una partecipazione penalmente rilevante” [29].
Da segnalare in ultimo una conseguenza interessante della teoria ora in esame, ovvero l’unitarietà del titolo di responsabilità tra i concorrenti: trattandosi di un’unica fattispecie plurisoggettiva, unico sarà il capo di imputazione dei compartecipi, a prescindere dalla condotta posta in essere dai singoli, salvo il regime delle circostanze attenuanti [30]. E questa specifica implicazione trova giustificazione normativa nel codice penale stesso, ovvero proprio nell’art 110 cp secondo cui “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita”. Ecco, dunque, la chiusura di un cerchio: si è partiti dall’analisi letterale dell’art 110 cp, si sono poi scandagliate le varie teorie giustificatrici, per poi arrivare alla teoria plurisoggettiva eventuale che logicamente ha ricondotto l’interprete al punto di partenza, ovvero al principio giuridico espresso dall’art 110 cp: ecco la perfezione di questa teoria.

8. Teoria della fattispecie plurisoggettiva differenziata

L’ultimo modello esplicativo della ratio del concorso di persone si riferisce ad una teoria che è paradossalmente simile ma contestualmente opposta diametralmente rispetto a quella precedentemente analizzata: si tratta della teoria della fattispecie plurisoggettiva differenziata. Anche questo filone di pensiero si basa sulla necessità del combinato disposto dell’art 110 cp e delle norme incriminatrici di parte speciale, ma si differenzia dalla precedente impostazione in relazione al risultato che ne deriva dalla fusione delle due norme, ovvero più fattispecie plurisoggettive differenziate, in quanto specifiche per le azioni commesse da ogni compartecipe. Ciò che quindi accomuna tutte queste diverse fattispecie individualizzanti sarebbe solo il nucleo materiale dei fatti accaduti, da cui però discendono imputazioni penali diverse a seconda della condotta effettivamente posta in essere dai singoli. Il discrimen che può sussistere tra queste diverse e molteplici fattispecie plurisoggettive è da rinvenire sia in un diverso atteggiamento psichico degli agenti, ovvero nelle diverse condotte materialmente realizzate. Da ciò conseguentemente deriva che alcuni soggetti compartecipi possono rispondere di delitti di natura dolosa mentre altri di natura colposa, ovvero è ragionevole che si imputino ad alcuni correi la violazione di una stessa fattispecie incriminatrice di parte speciale in concorso, mentre altri soggetti siano riconosciuti responsabili per norme incriminatrici differenti, ciò alla luce del diverso comportamento tenuto [31].
Verrebbe a questo punto da interrogarsi sulla necessità dell’esistenza dell’istituto del concorso di persone se si adottasse una tale visione, in quanto la sua ratio risulta frustrata completamente dalla possibilità di rinvenire nella teoria ora esposta una mera pluralità di reati a sé stanti e diversi tra loro in termini di elemento soggettivo o fatto tipico contestato.

9. Conclusioni

In questo articolo si è tentato di riassumere, introducendo anche il punto di vista dell’autore, l’ampio dibattito dottrinale sollevato in relazione alla ragione giustificatrice del concorso di persone, discussione che da sempre è stata molto intensa e controversa. Dopo l’accenno alla duplice funzione incriminatrice dell’istituto in questione sul lato soggettivo e oggettivo, si è dato ampio spazio alla trattazione della teoria dell’accessorietà, mostrando apertis verbis le varie obiezioni sollevate e i rispettivi tentativi dei fautori – alcuni maldestri secondo l’opinione di chi scrive – di riportare in auge questa teoria che ormai risente dell’antico tempo in cui sorse e merita dunque di essere accantonata. Successivamente, per risolvere l’interrogativo sulla modalità di individuazione dell’autore principale del reato nel concorso di persone, la cui ricerca della risposta è essenziale ai fini della funzionalità dell’accessorietà, si è introdotta la concezione restrittiva ed estensiva di autore del reato, anch’essa ampiamente criticata dalla dottrina, nonché dal sottoscritto in particolare per il riferimento ancestrale al nesso condizionalistico come criterio identificativo degli autori. Si è poi approdati alla teoria plurisoggettiva differenziata, contestata per l’inutilità che tale modello, se adottato, provoca nei confronti dell’istituto del concorso di persone.
Ma nessuna delle precedenti teorie è stata in grado di rispondere punto per punto alle obiezioni come invece la teoria plurisoggettiva eventuale è riuscita nel tempo. A nulla è valso il rilievo relativo alla eccessiva atipicità della condotta incriminata che tale teoria presuppone: il sottoscritto ha evidenziato con forza come si debba necessariamente distinguere l’analisi dell’istituto sul piano della ratio, dallo studio del concorso di persone dal punto di vista degli elementi strutturali – in riferimento a cui la giurisprudenza e dottrina ha ottenuto comunque risultati ormai granitici.  Ciò che consente immediatamente all’interprete di comprendere la logicità di questa teoria è la conseguenza che ne discende da questo modello, ovvero l’unitarietà del titolo di responsabilità tra i concorrenti, da ricollegare direttamente con il contenuto dell’art 110 cp. Ecco, dunque, la chiusura del cerchio: si è partiti in questo contributo dall’analisi letterale dell’art 110 cp, a cui è seguita l’analisi puntuale delle varie teorie giustificatrici, fino a giungere alla teoria plurisoggettiva eventuale, la quale logicamente ha ricondotto l’interprete al punto di partenza, ovvero al principio giuridico espresso dall’art 110 cp: ecco la perfezione di questa teoria.

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Aggiornato alla L. 30/12/2022 n. 199, di conv. con modif. D.L. 31/10/2022 n. 162, l’opera fornisce un inquadramento del D.Lgs. 150/2022, nel tentativo di affrontare e offrire le soluzioni pratiche dei numerosi problemi che un provvedimento di tale portata presenta. Oggetto specifico dell’elaborazione sono le norme che comportano la riforma del sistema sanzionatorio penale, mentre la novella processuale è affidata al corredo di circolari tematiche emesse dal Ministero della Giustizia, riportate in appendice. Per agevolare la lettura, il volume è suddiviso per aree tematiche di intervento, in ciascuna delle quali sono riportati i criteri di delega e le disposizioni oggetto del decreto, unitamente alle corrispondenti disposizioni attuative. Fabio PiccioniAvvocato del Foro di Firenze, patrocinante in Cassazione; LLB presso University College of London; docente di diritto penale alla Scuola di Specializzazione per le Professioni Legali; coordinatore e docente di master universitari e corsi di formazione; autore di pubblicazioni e monografie in materia di diritto penale e amministrativo sanzionatorio; giornalista pubblicista.

Fabio Piccioni | Maggioli Editore 2023

Note

  1. [1]

    Vedi par. 2.

  2. [2]

    Ad esempio, la sussistenza del concorso di persone nel reato di furto giustifica l’imputazione penale del furto anche al complice che si limita a stazionare fuori dalla casa per dissuadere le forze di polizia, seppur materialmente il reato sia commesso dall’altro coreo.

  3. [3]

    In realtà il legislatore ha ritenuto necessario distinguere dal punto di vista sanzionatorio un comportamento che assume un rilievo causale minimo rispetto all’azione del correo essenziale ai fini della commissione del reato. Questa esigenza discretiva trova cittadinanza nell’art 114 cp in tema di circostanze attenuanti specificamente enucleate per il concorso di persone nel reato. Il co 1 dell’art 114 individua la circostanza attenuante da riconoscere al contributo di minima importanza, ed infatti la norma recita: “Il giudice, qualora ritenga che l’opera prestata da taluna delle persone che sono concorse nel reato a norma degli articoli 110 e 113 abbia avuto minima importanza nella preparazione o nell’esecuzione del reato, può diminuire la pena”. La giurisprudenza ha nel dettaglio delineato la nozione di minima importanza affermando più volte che “ai fini dell’integrazione della circostanza attenuante della minima partecipazione, non è sufficiente una minore efficacia causale dell’attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagli altri, in quanto è necessario che il contributo dato si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo di rilevanza del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve rispetto all’evento da risultare trascurabile nell’economia generale dell’iter criminoso” (vedi da ultimo Cass. 22430/2023 e Cass. 34539/2021).

  4. [4]

    Cfr. Marinucci G., Dolcini E., Gatta G.L., Manuale di Diritto Penale, Giuffrè, Milano, 2019, 555

  5. [5]

    Cfr. Marinucci G., Dolcini E., Gatta G.L., Manuale di Diritto Penale, Giuffrè, Milano, 2019, 555.

  6. [6]

    Cfr. Canestrari S., Cornacchia L., De Simone G., Manuale di diritto penale, il Mulino, Bologna, 2017, 688.

  7. [7]

    Cfr. Fiandaca G., Musco E., Diritto Penale: parte generale, Zanichelli, Bologna, 2019, 518.

  8. [8]

    Cfr. Marinucci G., Dolcini E., Gatta G.L., Manuale di Diritto Penale, Giuffrè, Milano, 2019, 557.

  9. [9]

    Cfr. Canestrari S., Cornacchia L., De Simone G., Manuale di diritto penale, il Mulino, Bologna, 2017, 711: ad esempio si può concorrere nel fatto altrui non antigiuridico – ciò perché l’autore principale agisce in legittima difesa – e rispondere comunque di reato.

  10. [10]

    Cfr. Marinucci G., Dolcini E., Gatta G.L., Manuale di Diritto Penale, Giuffrè, Milano, 2019, 557.

  11. [11]

    Cfr. Fiandaca G., Musco E., Diritto Penale: parte generale, Zanichelli, Bologna, 2019, 519: in altre parole, ci si riferisce al caso in cui “l’azione tipica ai sensi della fattispecie incriminatrice risulta soltanto dall’incontro dei diversi contributi dei singoli compartecipi”.

  12. [12]

    Cfr. Canestrari S., Cornacchia L., De Simone G., Manuale di diritto penale, il Mulino, Bologna, 2017, 711: un esempio interessante è il caso del furto in cui un correo resta fuori dall’abitazione per fare il palo, un altro distrae il portiere e il terzo complice convince un condomino a farsi consegnare del denaro credendo che sia quello dato in prestito. È chiaro come in questa esemplificazione non si possa individuare una condotta accessoria rispetto ad un’altra.

  13. [13]

    Per reato proprio si intende quel comportamento penalmente rilevante che deve esser commesso solo da chi riveste una particolare qualifica o posizione idonea a porre il soggetto attivo in una speciale relazione con l’interesse tutelato dalla norma incriminatrice.

  14. [14]

    Esemplificando, non sarebbe punibile il soggetto che fa il palo in concorso con l’autore principale del reato che compie materialmente il furto seppur sia inimputabile: alla luce dell’assunto della teoria dell’accessorietà estrema per cui è necessario che la condotta del compartecipe acceda ad una condotta principale completa e penalmente punibile, allora, oltre a cadere l’imputazione per il soggetto principale, ciò avviene anche per il complice.

  15. [15]

    Una simile definizione è da ricondurre alla nozione di specialità bilaterale o reciproca, espressa da parte della dottrina in tema di concorso apparente di norme per delineare il concetto di “stessa materia” contenuto nell’art 15 cp. Questa norma, infatti, costituisce l’esplicitazione legislativa del criterio della specialità, utilizzato per superare l’apparente concorso di norme. Nello specifico, alcuni ritengono che sussista tale specialità bilaterale quando nessuna norma è speciale ovvero generale rispetto all’altra, ma ciascuna è ad un tempo generale e speciale in quanto entrambi presentano accanto ad elementi comuni, altri elementi specifici e generici rispetto ai corrispondenti dell’altra: a tal riguardo vedasi Fiandaca G., Musco E., Diritto Penale: parte generale, Zanichelli, Bologna, 2019, 726

  16. [16]

    Tale definizione di accessorietà è contenuta anche nel dizionario Treccani, che definisce “accessorio” come qualcosa “che s’accompagna a ciò che è o che si considera principale, quindi secondario, marginale e complementare”. Una tale nozione di accessorietà trova cittadinanza anche in vari istituti del diritto civile e conseguentemente, per il principio dell’unitarietà dell’ordinamento, anche nel settore penale si dovrebbe adottare questa definizione: ad esempio in tema di accessione ex art 934 cc ss. come modo di acquisto della proprietà a titolo derivativo cfr. Uncini, F. (2022). Accessione invertita come eccezione alla regola. Giuricivile.it, 2022, 9 : “l’art 934 cc infatti introduce nel codice civile la regola per cui la proprietà di una cosa qualificabile come principale fa acquisire la proprietà delle cose qualificabili come ad essa accessorie. Emerge quindi […] che il fondo è sempre considerato principale rispetto ad ogni altra cosa, quand’anche le cose incorporate dovessero avere un valore di mercato maggiore”.

  17. [17]

    Cfr. Canestrari S., Cornacchia L., De Simone G., Manuale di diritto penale, il Mulino, Bologna, 2017, 712.

  18. [18]

    Vedi n. 16.

  19. [19]

    Cfr. Canestrari S., Cornacchia L., De Simone G., Manuale di diritto penale, il Mulino, Bologna, 2017, 709.

  20. [20]

    Cfr. Canestrari S., Cornacchia L., De Simone G., Manuale di diritto penale, il Mulino, Bologna, 2017, 710: ad esempio anche l’avvocato, compiacente del truffatore, che mette a disposizione del reo il suo studio legale per ricevere la vittima in modo da dare all’operazione l’impressione di maggior garanzia, risponde del reato di truffa in concorso, seppur non abbia attuato alcun raggiro od artificio richiesto dall’art 640 cp.

  21. [21]

    Altri ancora hanno ritenuto che una tale operazione ermeneutica costituirebbe una violazione del divieto di analogia in malam partem ex art 25 co 2 Cost.

  22. [22]

    Ciò è conseguenza dell’adesione alla teoria della causalità agevolatrice, o anche detta teoria del rinforzo – maggiormente diffusa attualmente – come spiegazione dell’individuazione dei coefficienti minimi che giustificano l’imputazione penale in concorso del semplice complice.

  23. [23]

    L’aggettivo “eventuale” viene inserito per distinguere il concorso eventuale di persone nel reato, istituto oggetto di questo articolo, dal concorso necessario di persone nel reato, che si rifà alle fattispecie di parte speciale che presuppongono la compresenza di più soggetti ai fini della individuazione della condotta tipica (vedi par. 1).

  24. [24]

    Cfr. Fiandaca G., Musco E., Diritto Penale: parte generale, Zanichelli, Bologna, 2019, 519.

  25. [25]

    Cfr. Canestrari S., Cornacchia L., De Simone G., Manuale di diritto penale, il Mulino, Bologna, 2017, 713.

  26. [26]

    Cfr. Canestrari S., Cornacchia L., De Simone G., Manuale di diritto penale, il Mulino, Bologna, 2017, 713.

  27. [27]

    A tal riguardo, vedasi le varie teorie emerse in tema di individuazione dei coefficienti minimi di imputazione penale del semplice complice in ambito del concorso materiale e dei requisiti di punibilità della condotta di istigazione nel concorso morale.

  28. [28]

    Cfr. Fiandaca G., Musco E., Diritto Penale: parte generale, Zanichelli, Bologna, 2019, 520.

  29. [29]

    Cfr. Fiandaca G., Musco E., Diritto Penale: parte generale, Zanichelli, Bologna, 2019, 521-522.

  30. [30]

    Vedi n. 3.

  31. [31]

    Cfr. Canestrari S., Cornacchia L., De Simone G., Manuale di diritto penale, il Mulino, Bologna, 2017, 714: ad esempio, rispetto allo stesso fatto materiale, alcuni correi possono rispondere di tentato omicidio mentre altri di lesioni personali ovvero alcuni per dolo, altri per colpa ed altri ancora possono giovarsi di cause di non punibilità.

Francesco Uncini

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