L’obiettivo più immediato del presente lavoro è quello di analizzare un tema scottante per gli Amministratori degli Enti Locali e per i contribuenti che spesso vengono chiamati a corrispondere tariffe ed aliquote per tributi non sempre ritenuti pienamente legittimi, con la conseguenza dell’istaurarsi di aspri contenziosi amministrativi, tributari o addirittura civili. L’approfondimento mira ad individuare l’effettiva sussistenza di vizi ed eccessi che potrebbero minare la già congestionata gestione dei tributi dei Comuni.
Gli atti deliberativi inerenti l’approvazione delle tariffe dei tributi devono essere inviati dal Comune al Ministero dell’Economia e delle Finanze nel rispetto della normativa disciplinante la materia.
Sovente, però, specie a seguito delle azioni dei consiglieri della minoranza, vengono portate all’attenzione del succitato dicastero presunte violazioni alle norme riflettenti i termini di adozione delle tariffe.
Cosa succede in questi casi? Quali sono le conseguenze di eventuali dinieghi ministeriali sulla legittimità dell’atto? Quali comportamenti assume l’ente locale in presenza di ricorsi dei cittadini interessati? E la Corte dei Conti?
Per tentare di fornire una risposta a questi interrogativi è però prima necessario capire lo specifico sistema ordinamentale che ruota intorno ai succitati atti amministrativi.
Il Mondo della Finanza degli Enti Locali
Accenni ai principali principi in materia di finanza propria e derivata.
L’ordinamento della finanza locale è riservato alla legge statale che la coordina con la finanza statale e con quella regionale.
Ai comuni e alle province la legge riconosce, nell’ambito della finanza pubblica, autonomia finanziaria fondata su certezza di risorse proprie e trasferite.
La legge assicura, altresì, agli enti locali potestà impositiva autonoma nel campo delle imposte, delle tasse e delle tariffe, con conseguente adeguamento della legislazione tributaria vigente. I comuni in forza dell’articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e dell’aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimentidei contribuenti. A tutto ciò che non viene regolamentato si applicano le disposizioni di legge vigenti.
Gli enti locali determinano per i servizi pubblici tariffe o corrispettivi a carico degli utenti, anche in modo non generalizzato. Lo Stato e le Regioni, qualora prevedano per legge casi di gratuità nei servizi di competenza dei comuni e delle province ovvero fissino prezzi e tariffe inferiori al costo effettivo della prestazione, debbono garantire agli enti locali risorse
Pur nella nostra breve introduzione all’argomento è necessario soffermarsi brevemente sui principi generali che ispirano lo statuto dei diritti dei contribuenti normativa statale che funge da pilastro fondamentale per la strutturazione dei tributi locali.
I Comuni si procurano le risorse necessarie per gestire i servizi pubblici procedendo nel rispetto del principio dell’equo prelievo, anche forzosamente all’imposizione e riscossione dei tributi propri. Ciò però va effettuato tenendo conto delle norme emanate a garanzia degli interessi dei contribuenti.
Le disposizioni dello Statuto dei Diritti del Contribuente costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e dovrebbero essere derogate o modificate solo espressamente e mai da leggi speciali.
L’adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica.
Le Regioni a statuto ordinario regolano le materie disciplinate dallo Statuto dei Diritti del Contribuente in attuazione delle disposizioni in essa contenute.
Le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono.
In ogni caso, le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell’adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti.
Gli atti dell’Amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dalla legge 241 (art. 3), indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’Amministrazione.
I rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria sono improntati al principio della collaborazione e della buona fede.
Al contribuente non possono essere irrogate sanzioni ne’ richiesti interessi moratori, se si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell’Amministrazione finanziaria o quando il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell’Amministrazione stessa.
Le sanzioni non possono essere irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria.
Termine per deliberare tariffe e aliquote e approvare regolamenti per l’anno 2005
Il termine originario del 31 dicembre previsto dall’ art. 151 del Tuel 267/2000 è stato prima differito al 31 marzo 2005 dall’art. 1, D.L. 30 dicembre 2004, n. 314, come modificato dalla relativa legge di conversione, e poi al 31 maggio 2005 dall’art. 1, D.L. 31 marzo 2005, n. 44.
Adozione dei Provvedimenti Amministrativi di Tributi Locali:
La delibera con la quale sono determinate le tariffe dei tributi locali può essere impugnata dai portatori di interesse legittimo – anche in mancanza di atti applicativi – con ricorso al TAR entro il termine decadenziale previsto dall’art. 21 della legge n. 1034/1971, tale termine decorre dalla pubblicazione della delibera nell’albo pretorio.
Quando la richiesta di tutela giudiziaria, da parte del contribuente, si concretizza nella domanda di annullamento, anche parziale, delle disposizioni di determinazione delle tariffe del tributo locale, rimane la competenza del giudice amministrativo a conoscere dell’impugnazione della delibera che contiene tale regolamentazione mentre al giudice tributario è riconosciuto dall’art. 7 comma 5, del D.Lgs. n. 546/1992, la sola potestà di disapplicare, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio i regolamenti e gli atti generali ritenuti illegittimi, quali le delibere adottate per la determinazione delle tariffe dei tributi comunali.
Quando l’Ente locale adotta la deliberazione di determinazione delle nuove tariffe del tributo comunale, a seguito dell’entrata in vigore della legge tributaria non retroattiva che prevede tale facoltà di determinazione, la nuova regolamentazione tariffaria adottata dall’Ente non può trovare applicazione a situazioni esauritesi sotto il vigore della regolamentazione precedente. È da ritenersi illegittima la disposizione della delibera che preveda la facoltà dell’Ente di richiedere ai contribuenti di provvedere al versamento della differenza tra gli importi dei tributi già corrisposti e quelli risultanti dall’applicazione delle nuove tariffe.
T.A.R. Lazio – Sez. II – 7 marzo 1996, n. 462 (v. "La finanza locale", 1997, n. 9, pp. 1250 ss.).
Formazione del Bilancio di Previsione ed approvazione delle tariffe dei tributi dei Comuni
Quanto fin qui esaminato, sia pure concisamente, rappresenta l’intera piattaforma normativa, esterna al Comune, entro la quale la Fiscalità Locale deve muoversi per reperire le risorse necessarie alla gestione dei servizi comunali. È certamente la formazione del bilancio con la sua relazione previsionale e programmatica e con il bilancio pluriennale a rappresentare il momento decisivo per la fissazione delle tariffe dei servizi pubblici e dei tributi in genere.
Nel rispetto dei principi statuiti nell’art 151 del Tuel 18 agosto 2000 n° 267, i comuni deliberano entro il 31 dicembre il bilancio di previsione per l’anno successivo, osservando i principi di unità, annualità, universalità ed integrità, veridicità, pareggio finanziario e pubblicità.
Detto termine può essere differito con decreto del Ministro dell’Interno, d’intesa con il Ministro del Tesoro, del Bilancio e della Programmazione Economica, sentita la Conferenza Stato – Città ed Autonomie Locali, in presenza di motivate esigenze. I termini per l’approvazione del bilancio sono coincidenti con quelli di approvazione delle tariffe e dei regolamenti sulle entrate – art. 27 comma 8 legge 448/01 che sostituisce il comma 16 dell’art. 53, L. 23 dicembre 2000, n. 388. Secondo il Tuel 267/2000 le tariffe dei tributi vengono approvate dalla Giunta Municipale e costituiscono un allegato obbligatorio del bilancio di previsione. Sovente capita però che le particolari vicende amministrative e politiche che attanagliano i Comuni, ma anche i fattori organizzativi della tecnostruttura, possano determinare l’assunzione delle delibere di fissazione delle tariffe, in epoca successiva a quella stabilita dalla legge per l’approvazione del bilancio.
Lo stesso schema di Bilancio da sottoporre al Consiglio Comunale per l’approvazione, molto spesso è deliberato dalla Giunta Municipale in epoca anch’essa successiva al termine fissato dal legislatore.
Su tali adempimenti, dopo la modificazione del titolo V della Costituzione della Repubblica Italiana con abrogazione del controllo di legittimità dei Comitati Provinciali di Controllo degli Enti Locali (art. 130) vigila tuttora la sola Prefettura – Utg, la quale provvede ad invitare i Comuni a far conoscere l’avvenuta approvazione del bilancio, entro il termine di scadenza stabilito dalla legge.
Dall’accertamento della Prefettura – Utg discendono due possibili conseguenze:
se il bilancio è stato approvato dalla Giunta e non dal Consiglio Comunale, la Prefettura Utg diffida il Consiglio Comunale a provvedervi entro i successivi 10 giorni dietro minaccia del suo scioglimento qualora non approvi il bilancio nei termini ultimi assegnati dal legislatore.
se la bozza di bilancio non è stata approvata entro il termine previsto, la Prefettura Utg, qualora non sia disposto diversamente dallo Statuto dell’Ente, nomina un commissario ad acta per provvedere all’adempimento non effettuato dalla Giunta. Dopodiché invita il Consiglio ad approvare il bilancio in un termine da assegnare non superiore a giorni 20.
Se poi il Consiglio Comunale malgrado l’invito/diffida non vi provvede, in questo caso la Prefettura – Utg nomina un nuovo commissario ad acta che provvede all’adempimento ed avvia contestualmente le procedure per lo scioglimento del Consiglio Comunale.
Termini Perentori ed Ordinatori di adozione delle tariffe dei tributi locali. Posizione
La vicenda che qui si intende analizzare nasce da un intervento del Ministero dell’Economia e delle Finanze nei confronti di un determinato Ente Locale che aveva approvato le tariffe dei tributi in epoca successiva al termine previsto dalla normativa statale per il 2005 ( 31 maggio 2005) specificamente in data 3 giugno 2005 data entro la quale era stata anche adottata tardivamente la delibera di approvazione della bozza di bilancio 2005.
Cosa successe? Al Comune pervennero nel mese di agosto le osservazioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze in riscontro alle delibere di tariffe tributarie inviategli dal succitato ente.
I rilievi erano contenuti in due raccomandate postali di cui la prima riferita alla delibera Ici e la seconda invece alla delibera Tarsu.
L’ufficio Federalismo Locale del Dipartimento delle Politiche Fiscali, con le succitate note, osserva che
“le tariffe deliberate non potranno essere applicate dal 1 gennaio 2005 ostandovi il chiaro disposto di legge che stabilisce che il termine per deliberare le aliquote e le tariffe dei tributi locali, è stabilito entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione, art. 53 comma 16 della legge 23 dicembre 2000 n° 388 e successive modificazioni ed integrazioni”.
Il termine per deliberare le aliquote e le tariffe dei tributi locali, compresa l’aliquota dell’addizionale comunale all’IRPEF di cui all’articolo 1, comma 3, del decreto legislativo 28 settembre 1998, n. 360, recante istituzione di una addizionale comunale all’IRPEF e le tariffe dei servizi pubblici locali, nonché per approvare i regolamenti relativi alle entrate degli enti locali, è stabilito entro la data fissata da norme statali per la deliberazione del bilancio di previsione.
I regolamenti sulle entrate, anche se approvati successivamente all’inizio dell’esercizio purché entro il termine di cui sopra, hanno effetto dal 1° gennaio dell’anno di riferimento
Pertanto secondo quanto riportato in prosieguo delle comunicazioni, le aliquote ICI saranno applicabili nella misura minima del 4 per mille ( art. 6 comma 1 d.lgs. 30 dicembre 1992 n° 504) mentre i disposti aumenti della tariffa RSU, saranno applicabili solamente con decorrenza dal 1 gennaio dell’anno successivo.
Le comunicazioni ministeriali terminano richiamando l’attenzione del Comune sulla necessità di adottare i conseguenti provvedimenti anche per prevenire possibili impugnative da parte dei destinatari dei connessi atti impositivi.
Di seguito si riporta il testo delle due comunicazioni ministeriali :
§ 6. 3 Rilievi Ministero Economie e delle Finanze su delibera aliquote ICI
§ 6.4 Rilievi Ministero Economie e Finanze su Delibera tariffe Tarsu
Il Responsabile dell’Ufficio di Ragioneria, a seguito delle comunicazioni del Dicastero delle Finanze, procedeva ad una ricognizione sul bilancio, deducendo un consistente squilibrio finanziario, dalla disapplicazione delle tariffe richiesta dal Ministero. Comunicava perciò le risultanze agli Organi Comunali in esecuzione del regolamento disciplinante “le segnalazioni obbligatorie dei fatti e delle valutazioni” previste dall’art. 153, comma 6 del Tuel 18 agosto 2000 n° 267.
Secondo tale normativa il regolamento di contabilità disciplina le segnalazioni obbligatorie dei fatti e delle valutazioni del responsabile finanziario al legale rappresentante dell’ente, al consiglio dell’ente nella persona del suo presidente, al segretario ed all’organo di revisione ove si rilevi che la gestione delle entrate o delle spese correnti evidenzi il costituirsi di situazioni – non compensabili da maggiori entrate o minori spese – tali da pregiudicare gli equilibri del bilancio.
In ogni caso la segnalazione è effettuata entro sette giorni dalla conoscenza dei fatti. Il consiglio deve provvedere al riequilibrio a norma dell’articolo 193, entro trenta giorni dal ricevimento della segnalazione, anche su proposta della Giunta.
A complicare ulteriormente la gestione di siffatti eventi contribuiva sia la mancata adozione da parte del Consiglio, nei trenta giorni successivi alla segnalazione, della manovra di riequilibrio e sia il ritardato provvedimento della salvaguardia degli equilibri di bilancio, oltre il termine massimo del 30 settembre 2005 stabilito dal comma 2, dell’art. 193, del Tuel 18 agosto 2000 n° 267/2000.
La normativa prevede che con periodicità stabilita dal regolamento di contabilità dell’ente locale, e comunque almeno una volta entro il 30 settembre di ciascun anno, l’organo consiliare provvede con delibera ad effettuare la ricognizione sullo stato di attuazione dei programmi.
In tale sede l’organo consiliare dà atto del permanere degli equilibri generali di bilancio o, in caso di accertamento negativo, adotta contestualmente i provvedimenti necessari per il ripiano degli eventuali debiti di cui all’articolo 194, per il ripiano dell’eventuale disavanzo di amministrazione risultante dal rendiconto approvato e, qualora i dati della gestione finanziaria facciano prevedere un disavanzo, di amministrazione o di gestione, per squilibrio della gestione di competenza ovvero della gestione dei residui, adotta le misure necessarie a ripristinare il pareggio.
La deliberazione è allegata al rendiconto dell’esercizio relativo.
Va anche precisato per completezza di informazione che nel deliberato della salvaguardia degli equilibri, successivamente adottata a fine ottobre 2005, l’Amministrazione Comunale esprimeva nel dispositivo, la volontà di non procedere alle riduzioni degli stanziamenti in bilancio disattendendo da un lato e di fatto le osservazioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze e dall’altro accantonando risorse in bilancio proprio per equilibrare contabilmente il Bilancio non coerentemente con la posizione assunta.
Forse per questa ragione, con motivazioni diverse, sia il responsabile finanziario che il collegio dei revisori esprimevano parere contrario alla delibera del Comune.
Indipendentemente dall’evento che vide e vede tuttora attanagliati in un ampio dibattito diversi enti pubblici sulle vicende politiche ed amministrative del Comune in argomento, possiamo raccogliere utili ed immediati insegnamenti dal contrasto di opinioni che si istaurò tra cittadini e amministrazione , maggioranza ed opposizione e vari Organi dello Stato.
È interessante analizzare le disquisizioni giuridiche contrastanti delle parti a sostegno dell’una o dell’altra tesi.
Da una parte l’Amministrazione Comunale, dall’altra quella dei Contribuenti e Minoranza Consiliare.
La disputa tra le parti era imperniata sulla esatta definizione dei termini di adozione degli atti tributari e quale fosse poi l’effettiva natura del termine di scadenza dell’adempimento stabilito dalla Legge Finanziaria: termine perentorio o termine ordinatorio?
Per poter rispondere all’interrogativo è utile analizzare la nozione “termine” sotto l’aspetto civilistico: Il termine, inteso come termine di efficacia, è un elemento casuale del contratto, insieme alla condizione e al modus (onere).
Esso consiste in un evento futuro, ma certo nel suo avverarsi, che dal “termine iniziale” o fino al “termine finale” debbono prodursi gli effetti del contratto o, più in generale, del negozio giuridico.
Il termine differisce dalla condizione per il carattere di certezza dell’ avvenimento: futuro ma sicuro.
In relazione al termine si distinguono due momenti: la pendenza e la scadenza. Durante la fase della pendenza, il diritto sottoposto a termine non può essere esercitato, perché il termine ha lo scopo di differirne l’esercizio. Con la scadenza del termine, invece, gli effetti del negozio giuridico si verificano, ma non esplicano effetti retroattivi, come invece avviene per la condizione.
Un termine viene detto perentorio se un dato atto o una data attività deve essere compiuta entro un determinato lasso temporale di scadenza del medesimo. Se il termine non viene rispettato, l’atto risulta inutile, nel senso che non viene considerato utile ai fini di produrre effetti favorevoli, con conseguente applicazione di sanzioni e produzione di effetti non favorevoli.
Un termine viene considerato ordinatorio, se per la sua inosservanza non sono previste sanzioni o effetti sfavorevoli.
Lo scopo del termine ordinatorio è quello di "ordinare" l’attività amministrativa, dirigendola verso procedure ed esiti; per cui, il non rispetto non comporta il verificarsi di decadenze e l’applicazione di sanzioni.
Invece lo scopo del termine perentorio è quello di obbligare, in termini assoluti, il compimento di una data attività entro un determinato lasso temporale, al fine di fornire tempestività e certezza temporale all’attività svolta .
Con il termine perentorio, vi è un giudizio di valore, nel senso che esso esprime l’importanza che la legge conferisce al tempestivo compimento di una determinata attività.
Normalmente, il termine ha carattere perentorio, quando la legge o lo stesso atto prevedano una decadenza mentre ha carattere ordinatorio in tutti gli altri casi.
Il problema sorge quando la legge nulla dice in merito.
Una recentissima sentenza si esprime molto chiaramente a tal riguardo: «Di regola, i termini fissati dalla legge per l’esercizio di un diritto hanno natura ordinatoria, salvo che la stessa legge non disponga espressamente il contrario, o che sia prevista una sanzione decadenziale, o che la perentorietà sia desumibile da concrete ragioni di carattere organizzatorio in capo all’Amministrazione»
La pronuncia del T.A.R. Basilicata non fa altro che confermare una ricca giurisprudenza in materia:
«I termini stabiliti per il compimento di atti di un procedimento amministrativo hanno generalmente carattere ordinatorio, salvo che non siano dichiarati perentori dalla legge, ovvero che, dalla loro inosservanza, derivi una decadenza» (T.A.R. Lazio, sez. I, n. 1723 del 10 novembre 1997).
«I termini stabiliti per il compimento di atti di un procedimento amministrativo hanno generalmente carattere ordinatorio, salvo che non siano dichiarati espressamente perentori dalla legge, o che dalla loro inosservanza derivi, altrettanto esplicitamente, una decadenza»
Secondo il Consiglio di Stato, per attribuire il carattere perentorio ad un termine fissato dal legislatore, non è necessario rinvenire un’esplicita previsione al riguardo, potendosi attribuire tale carattere anche in considerazione degli scopi perseguiti dalla legge. (Consiglio di Stato, sez. VI, n. 1139 del 2 settembre 1999).
Dunque, nel silenzio della legge, per attestare la presenza di un termine perentorio, necessita verificare la sussistenza di almeno uno dei seguenti profili:
– previsione di una sanzione o di una decadenza;
– connessione della perentorietà a "concrete ragioni di carattere organizzativo della P.A.";
– desumibilità della perentorietà dalle conseguenze previste dalla legge;
Tutte queste approfondite analisi spingono il lettore a chiedersi quali debbano essere concretamente i tempi di programmazione dei Comuni per non ricadere in una delle fattispecie indicate.
È buona regola, che le Pubbliche Amministrazioni stabiliscano, con idoneo tempismo, le politiche finanziarie da sviluppare e quindi provvedano ad assumere, entro i termini previsti, i conseguenti provvedimenti rispettando pedissequamente le scadenze.
La vicenda in esame è paragonabile ad una “cassa di risonanza” o meglio ad uno “sciame sismico”:
si conosceva perfettamente il momento d’inizio del fenomeno ma non quello di conclusione e nemmeno gli effetti che avrebbero prodotto tali eventi sugli equilibri di bilancio per la disapplicazione delle aliquote delle tariffe.
Lo scenario che si prospettava conduceva a ritenere la sussistenza di risvolti non prevedibili, in grado di coinvolgere amministratori, burocrati, cittadini e contribuenti in azioni di tipo penale, amministrativo, del conflitto tra istituzioni, costituzionale ma anche disciplinare, della responsabilità patrimoniale e politico stante il legittimo interesse dei contribuenti a pagare tributi conformi alla legge e l’interesse diffuso del paese a non cadere in dissesto.
In ogni caso questo grave episodio gestionale frenò la politica finanziaria e programmatica dell’ente in questione, distraendolo, verosimilmente, dalle vitali problematiche gestionali di carattere generale della Pubblica Amministrazione, quali ad esempio quelle congiunturali e di quadratura dei bilanci, strumenti questi ultimi indispensabili per la gestione dei servizi pubblici.
Le tecnostrutture degli Enti Locali, devono impegnarsi a raggiungere ordinariamente gli obiettivi e suggerendo con largo lasso di tempo, le scadenze e le azioni da intraprendere in modo da non condizionare anche con il proprio indeciso comportamento, le scelte strategiche che toccano alla direzione politica del Comune.
Queste azioni vanno condotte dai settori competenti ordinatamente e con squisita tecnica di composizione, all’interno della programmazione pluriennale emanata dall’Ente.
Ma quali furono le principali azioni poste in essere dall’Amministrazione Comunale e quali invece le reazioni dei cittadini/contribuenti e minoranza consiliare sulla vicenda?
Tesi sostenuta a sostegno della natura di termine ordinatorio e quindi della piena legittimità e validità delle delibere delle tariffe tributarie approvate dopo il termine stabilito dalla legge al 31 maggio 2005.
La difesa del Comune, in merito alle osservazioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze, fu quella di arroccarsi in una strenua difesa della correttezza dei propri atti deliberativi, denigrando l’istituto dell’autotutela, e adottando due atti deliberativi con i quali l’Ente specificava le motivazioni per le quali riteneva corretto il proprio operato.
Il Comune osservava, ad esempio, come, a proprio giudizio, la diffida prefettizia del 6 giugno 2005 ad approvare il bilancio entro un certo termine aveva, di fatto, differito il termine d’approvazione del bilancio di Previsione al 16 giugno, rendendo legittime ( “a posteriori” ) le delibere di G.M. assunte in data 3 giugno 2005.
Secondo la difesa del Comune, il Legislatore, non avrebbe previsto un termine perentorio alla data del 31 maggio 2005, ma avrebbe introdotto un procedimento complesso che prevede, decorso quel termine, una fase di messa in mora da parte del Prefetto, nel quale caso solo in presenza di ulteriore inerzia, nel termine assegnato (questo sì di natura perentoria), avrebbe poi comportato la nomina di un Commissario, all’Amministrazione inadempiente e lo scioglimento del Consiglio Comunale.
Secondo quanto sostenne il Comune, la normativa statale che fissa il termine del 31 maggio per l’approvazione del bilancio nell’anno 2005, va coordinata con l’art. 141 del D.lgs. 267/2000. Scioglimento e sospensione dei consigli comunali e provinciali.
Secondo tale normativa i consigli comunali e provinciali vengono sciolti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno:
a) quando compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico;
b) quando non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi e dei servizi per le seguenti cause:
1) impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso del sindaco o del presidente della provincia;
2) dimissioni del sindaco o del presidente della provincia;
3) cessazione dalla carica per dimissioni contestuali, ovvero rese anche con atti separati purché contemporaneamente presentati al protocollo dell’ente, della metà più uno dei membri assegnati, non computando a tal fine il sindaco o il presidente della provincia;
4) riduzione dell’organo assembleare per impossibilità di surroga alla metà dei componenti del consiglio;
c) quando non sia approvato nei termini il bilancio;
In questo caso, il decreto di scioglimento del consiglio è adottato su proposta del Ministro dell’interno di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.
La norma prevede nella ipotesi che non sia stato approvato nei termini il bilancio, trascorso il termine entro il quale doveva essere approvato senza che sia stato predisposto dalla Giunta il relativo schema, l’organo regionale di controllo nomina un commissario affinché lo predisponga d’ufficio per sottoporlo al consiglio.
In tal caso e comunque quando il consiglio non abbia approvato nei termini di legge lo schema di bilancio predisposto dalla Giunta, l’organo regionale di controllo assegna al consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine non superiore a 20 giorni per la sua approvazione, decorso il quale si sostituisce, mediante apposito commissario, all’amministrazione inadempiente.
Del provvedimento sostitutivo è data comunicazione al prefetto che inizia la procedura per lo scioglimento del consiglio.
Quindi ne discenderebbe, secondo il Comune, la piena legittimità delle delibere assunte nel termine previsto dall’art. 141, comma 2, del d.lgs 267/2000.
A sostegno della succitata tesi il Comune affermava che ai sensi degli artt. 141 e 151 del D.lgs 18 agosto 2000 n° 267, il superamento del termine previsto dalla legge per l’approvazione del bilancio, non comporta l’illegittimità della relativa delibera approvativa che sia eventualmente stata adottata dopo il decorso del predetto termine. È, secondo il Comune, la stessa legge che ammette l’approvazione tardiva del bilancio – laddove viene previsto il subentro del Commissario ad Acta per la formazione del progetto di bilancio (in sostituzione della Giunta inadempiente) e la fissazione del termine comunale – senza farne derivare l’illegittimità della delibera eventualmente adottata. (T.A.R. Sardegna, 5.6.2003, n° 689).
Il legislatore, con l’art. 53 comma 16 della Legge 388/2000, avrebbe individuato un unico termine valido sia per l’approvazione delle tariffe dei tributi locali, che per la deliberazione di approvazione del bilancio prevedendo un’ipotesi seppure eccezionale – di approvazione del bilancio dopo quella data attraverso il ricorso al procedimento attivato dal Prefetto.
Riguardo alla validità delle delibere, esisterebbe, secondo il Comune, da sempre nel diritto amministrativo il principio di esecutorietà degli atti amministrativi, nonché il principio della presunzione di legittimità degli atti, salvo annullamento del Giudice Amministrativo.
Sulle osservazioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze, il Comune quindi si giustificò con i cittadini affermando che il nuovo art. 114 della Costituzione prevede la piena e totale autonomia tra Comuni, Province, Città Metropolitane, Regione e Stato, con la conseguenza che era venuto meno qualsiasi rapporto di tipo gerarchico tra Stato ed Enti Locali.
Per cui risulterebbe evidente che non solo la nota ministeriale era sbagliata nel merito ma, comunque, non avrebbe avuta alcuna validità, ed anzi il Ministero, opportunamente non avrebbe dovuto proprio esprimerla.
Tesi a sostegno della natura perentoria dei termini di approvazione stabiliti dal legislatore e della illegittimità delle tariffe tributarie approvate dopo il 31 maggio 2005
La particolare ed intrigata vicenda vide contrapposte altre tesi ugualmente sostenibili e convincenti di parte avversa:cittadini/contribuenti e minoranza consiliare.
Sotto l’aspetto tributario l’art. 119, comma 1 e 2 della nuova Costituzione Italiana stabilisce la competenza dei Comuni sui “tributi propri” secondo i principi di coordinamento della Finanza Pubblica e del sistema tributario. Infatti i Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio.
Negli enti locali il Tuel 267/2000 art. 149 rafforza tale principio delimitando l’autonomia tributaria dei Comuni.
L’ordinamento della finanza locale è riservato alla legge, che la coordina con la finanza statale e con quella regionale.
Ai comuni e alle province la legge riconosce, nell’ambito della finanza pubblica, autonomia finanziaria fondata su certezza di risorse proprie e trasferite.
La legge assicura, altresì, agli enti locali potestà impositiva autonoma nel campo delle imposte, delle tasse e delle tariffe, con conseguente adeguamento della legislazione tributaria vigente.
A tal fine i comuni e le province in forza dell’articolo 52 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, e successive modificazioni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e dell’aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti.
Anche lo Statuto dei Diritti del Contribuente approvato con Legge 27 luglio 2000 n° 212 detta principi generali dell’ordinamento tributario a cui devono adeguarsi i Comuni , principi per i quali le modifiche ai tributi si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizionia cui è possibile derogare solo se stabilito per legge .
Infatti in materia di pubblicità l’art. 3 del D.lgs 507/1993 stabilisce che in deroga allo statuto dei diritti del contribuente –art. 3 della legge 27 luglio 2000, n. 212 – le tariffe dell’imposta sulla pubblicità e del diritto sulle pubbliche affissioni sono deliberate entro il 31 marzo di ogni anno e si applicano a decorrere dal 1° gennaio del medesimo anno, mentre per gli altri tributi locali, l’art. 53 comma 16 della legge 23 dicembre 2000 n° 388 stabilisce che il termine ultimo per deliberare aliquote e tributi dei Comuni è quello fissato da norme statali per approvare il Bilancio di Previsione.
Secondo i contribuenti il termine stabilito dalla norma, di messa in mora dell’ente per l’avvio dello scioglimento – art. 141 del Tuel oltre ad essere improprio, muta a secondo della data stabilita dal Prefetto quale termine ultimo.
Infatti, se fosse stato verosimile che il termine ultimo non è quello fissato dalla normativa statale per l’approvazione del Bilancio, ma quello dell’art.141 del Tuel, in Italia esisterebbero non uno ma una infinità di termini massimi per l’approvazione delle tariffe, diversi da Comune a Comune, anche nell’ambito dello stesso territorio provinciale, generando così una infinita confusione sia dei contribuenti e sia degli addetti ai lavori.
La tesi sostenuta dal succitato Comune trovò ulteriori numerosi oppositori/contribuenti che ritennero così violati i principi fondamentali della Costituzione Italiana con riferimento agli artt. 23 “imposizione in base a leggi” e 53 “principio di generalità ed uguaglianza del tributo”
Costituzione: Articolo 23 << Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge>>.
Articolo 53 <<Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività. >>
Giova, a questo punto, ricordare a supporto della tesi della perentorietà dei termini che secondo l’art. 152 comma 4, la norma del Tuel che fissa il termine massimo per l’approvazione del bilancio e cioè l’art. 151 è considerato come norma di principi generali con valore di limite inderogabile.
Infatti il Tuel (art. 152 comma 4) dispone che i regolamenti di contabilità sono approvati nel rispetto delle norme della parte seconda del testo unico, da considerarsi come principi generali con valore di limite inderogabile, con eccezione delle sottoelencate norme, le quali non si applicano qualora il regolamento di contabilità dell’ente rechi una differente disciplina:
b) articoli 179, commi 2, lettere b) c) e d), e 3, 180, commi da 1 a 3, 181, commi 1 e 3, 182, 184, 185, commi da 2 a 4;
c) articoli 186, 191, comma 5, 197, 198;
d) articoli 199, 202, comma 2, 203, 205, 207;
Quindi l’art. 151 del Tuel non è incluso fra quelli che possono essere derogati dal Comune attraverso una diversa disciplina prevista nel regolamento di contabilità dell’ente.
La tesi sostenuta dal Comune che il termine fissato dalla legge per approvare le tariffe deve essere coordinata con l’art. 141 del tuel, fu ritenuta viceversa impropria e non pertinente al caso in esame da parte dei resistenti perché buona parte di tale normativa risulterebbe essere stata congelata dal Legislatore a seguito della modifica della Costituzione. Su tale valutazione è da dire che a seguito del vuoto normativo determinatosi con l’abrogazione della norma costituzionale (art. 130 Cost.) che affidava ad un organo regionale il controllo di legittimità sugli atti degli enti locali, è venuto meno anche il potere sostitutivo del CO.RE.CO. Il legislatore quindi si sarebbe posto l’esigenza di individuare l’organo competente alla nomina del commissario ad acta per l’approvazione del bilancio in via surrogatoria ai sensi dell’art.141, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
Per cui, nel rispetto del principio di autonomia, degli enti locali e di loro equiordinazione alle altre istituzioni che concorrono a costituire la Repubblica, sancito dalla novella all’art. 114 della Costituzione, l’art. 1, comma 3, del decreto legge 22 febbraio 2002, n. 13convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, della Legge 24 aprile 2002, n. 75, affida in prima istanza allo statuto degli enti locali l’individuazione dell’organo per la cura dell’essenziale adempimento contabile in caso di inerzia della giunta o del consiglio.
Quando lo statuto non risulti adeguato, il decreto affida, in via transitoria, al prefetto il compito di nominare il commissario ad acta per la predisposizione dello schema o per l’approvazione del bilancio, considerata la natura prodromica di tale adempimento rispetto alla successiva procedura di scioglimento (effetti del termine perentorio).
Il testo dell’art. 1 comma 1 e 2 del Dl 22 febbraio 2002, n. 13 convertito in legge 24 aprile 2002, n. 75 stabilisce che ai soli fini dell’approvazione del bilancio di previsione degli enti locali per l’esercizio finanziario 2002, l’ipotesi di scioglimento di cui all’articolo 141, comma 1, lettera c), del testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, è disciplinata dalle disposizioni del presente articolo.
Trascorso il termine entro il quale il bilancio deve essere approvato senza che sia stato predisposto dalla giunta il relativo schema, il prefetto nomina un commissario affinché lo predisponga d’ufficio per sottoporlo al consiglio.
In tale caso e comunque quando il consiglio non abbia approvato nei termini di legge lo schema di bilancio predisposto dalla giunta, il prefetto assegna al consiglio, con lettera notificata ai singoli consiglieri, un termine non superiore a venti giorni per la sua approvazione, decorso il quale si sostituisce, mediante apposito commissario, all’amministrazione inadempiente e inizia la procedura per lo scioglimento del consiglio.
Di eguale contenuto è anche circolare del Ministero degli Interni n° 3 del 25 febbraio 2002.
Relativamente alla sentenza del Tar Sardegna n° 689/2003, ai cui contenuti sembra arroccarsi e ispirarsi la posizione del Comune, di essa ne sarebbe stata fatta una estrazione parziale perché la citazione del Comune ometterebbe il passo della sentenza che esamina il caso in cui la Giunta (non il Consiglio) non abbia approvato la bozza di Bilancio entro il termine massimo del 31 marzo 2002 per l’anno 2002
<< In base alla su riportata disposizione, l’intervento sostitutivo del Comitato di controllo avviene ove lo schema di bilancio non venga approvato dalla Giunta entro il termine previsto per l’approvazione del bilancio. Poiché quest’ultimo termine è stato prorogato, dal D.M. 27 febbraio 2002, alla data del 31 marzo 2002, emerge che, nel caso di specie, non poteva iniziare il procedimento sostitutivo indicato in ricorso. Infatti lo schema di bilancio, come risulta dalla delibera consiliare di approvazione dello stesso, era stato approvato dalla Giunta Municipale con la delibera del 29.3.2002, e quindi prima del citato termine del 31 marzo>> .
Il dispositivo della sentenza soggiunge :
<< Peraltro la procedura sostitutiva ad opera del Comitato di controllo non è più esperibile essendo il controllo preventivo sugli atti degli enti locali venuto meno a seguito della riforma costituzionale approvata con la L. 18 ottobre 2001 n. 3, di modifica del Titolo V della parte seconda della Costituzione, cui è seguita la L. r. 22 aprile 2002 n. 7 che ha soppresso il controllo preventivo obbligatorio sugli atti degli enti locali.>>.
Come per la sentenza succitata esiste altra sentenza del Tar Campania sezione I di Napoli n° 5321 registro sentenze del 23 marzo 2005 che giunge a conclusioni pressoché analoghe circa i termini per approvare le tariffe.
Secondo le deduzioni a sostegno dell’illegittimità delle tariffe tributarie, è la stessa normativa art.1 Dl 22 febbraio 2002, n. 13 che chiarirebbe che la procedura si istaura “ai soli fini dell’approvazione del Bilancio” e congelando buona parte del procedimento sancito dall’art. 141 del Tuel non più attuabile a seguito della modifica della Costituzione.
La Giunta inadempiente, alla data del 3 giugno 2005, non avrebbe conservato il potere di adottare le delibere di modifica dei tributi perché fuori del termine massimo perentorio del 31 maggio 2005 stabilito da norme statali – termine perentorio perché anche sanzionato con il commissariamento dell’organo inadempiente.
Quindi, ne conseguirebbe che, oltre alle delibere dei tributi, anche la delibera d’approvazione della bozza di bilancio, dalla Giunta sarebbe illegittima perché tutte delibere assunte il 3 giugno 2005 da Organo incompetente (competenza del Commissario ad Acta) e oltre il termine massimo concessogli dalla Legge.
Per quanto riguarda la vigenza della Legge 13/2002, l’articolo 1, comma 2 del decreto legge 31 marzo 2005, n. 44 prevede anche per l’anno 2005 l’applicazione della procedura sostitutiva stabilita dall’articolo 1 del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 13, convertito dalla legge 24 aprile 2002, n. 75, nei casi di mancata approvazione del bilancio di previsione entro il termine di legge.
La predetta procedura è evocata indirettamente con il rinvio operato dall’art. 1, comma 1-bis, del decreto legge 30 dicembre 2004, n. 314, convertito dalla legge 1° marzo 2005, n. 26, alle disposizioni di cui all’art. 1, commi 2 e 3, del decreto legge 29 marzo 2004, n. 80, convertito dalla legge 28 maggio 2004, n. 140.
Quest’ultimo decreto disponeva a sua volta il ricorso, nell’anno 2004, alla procedura sostitutiva prevista dall’art. 1 del decreto legge n. 13/2002 per ovviare alla mancata approvazione del bilancio. Di pari contenuto è la circolare del Ministero degli Interni n° 23 del 20 giugno 2005. I sostenitori dell’illegittimità delle delibere dei tributi adottate dal Comune del Napoletano dopo il 31 maggio 2005, pongono in evidenza che il Comune non può affermare che le delibere dei tributi fanno parte della manovra di bilancio di competenza del Consiglio e quindi vanno adottate entro il termine speciale stabilito dalla diffida del Prefetto.
Al massimo la competenza resterebbe alla Giunta, in via residuale, secondo quanto disposto dall’art. 42, comma 2, lettera f).
L’art.42, comma 2, del Tuel 267/2000 – Attribuzioni dei consigli stabilisce che il consiglio ha competenza limitatamente ai seguenti atti fondamentali:
f) istituzione e ordinamento dei tributi, con esclusione della determinazione delle relative aliquote; disciplina generale delle tariffe per la fruizione dei beni e dei servizi
Invece l’obbligo, di allegare le delibere al Bilancio, mira unicamente ad eseguire una verifica di compatibilità e coerenza dei tributi deliberati dalla Giunta con le risorse effettivamente stanziate in Bilancio – art. 172 del Tuel 267/2000 Altri allegati al bilancio di previsione.
Il testo di tale articolo specifica che al bilancio di previsione sono allegati i seguenti documenti: (…)
e) le deliberazioni con le quali sono determinati, per l’esercizio successivo, le tariffe, le aliquote d’imposta e le eventuali maggiori detrazioni, le variazioni dei limiti di reddito per i tributi locali e per i servizi locali, nonché, per i servizi a domanda individuale, i tassi di copertura in percentuale.
Invece il Tuel non riporta l’aggiornamento della data di approvazione delle tariffe che risulta congelata a quella di adozione dell’anno precedente.
Inoltre l’art. 52, comma 1 e 2, d.lgs. 446/1997 Potestà regolamentare generale delle province e dei comuni sancisce che le province ed i comuni possono disciplinare con regolamento le proprie entrate, anche tributarie, salvo per quanto attiene alla individuazione e definizione delle fattispecie imponibili, dei soggetti passivi e della aliquota massima dei singoli tributi, nel rispetto delle esigenze di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti.
I regolamenti sono approvati con deliberazione del comune e della provincia non oltre il termine di approvazione del bilancio di previsione e non hanno effetto prima del 1° gennaio dell’anno successivo. I regolamenti sulle entrate tributarie sono comunicati, unitamente alla relativa delibera comunale o provinciale al Ministero delle finanze, entro trenta giorni dalla data in cui sono divenuti esecutivi e sono resi pubblici mediante avviso nella Gazzetta Ufficiale.
Con decreto dei Ministeri delle finanze e della giustizia è definito il modello al quale i comuni devono attenersi per la trasmissione, anche in via telematica, dei dati occorrenti alla pubblicazione, per estratto, nella Gazzetta Ufficiale dei regolamenti sulle entrate tributarie, nonché di ogni altra deliberazione concernente le variazioni delle aliquote e delle tariffe di tributi.
Il successivo articolo 59 della legge 446/1997 delimita ulteriormente la competenza dei Comuni da quella propria dello Stato dettando le regole per trasmettere i regolamenti e le modifiche delle tariffe al Ministero delle Finanze, una prescrizione a cui i Comuni devono attenersi.
E’ notorio che il D.lgs. 507/1993, artt. 68 e 69, obbliga i Comuni a trasmettere le delibere nei trenta giorni dall’esecutività al Ministero dell’Economia e delle Finanze.
Infatti il comma 3 dispone chei regolamenti, divenuti esecutivi a norma di legge, sono trasmessi entro trenta giorni alla direzione centrale per la fiscalità locale del Ministero delle finanze che formula eventuali rilievi di legittimità entro sei mesi dalla ricezione del provvedimento.
In caso di rilievi formulati tardivamente il comune non è obbligato ad adeguarsi agli effetti dei rimborsi e degli accertamenti integrativi mentre il comma 4 stabilisce che le deliberazioni tariffarie, divenute esecutive a norma di legge, sono trasmesse entro trenta giorni alla direzione centrale per la fiscalità locale del Ministero delle finanze, che formula eventuali rilievi di legittimità nel termine di sei mesi dalla ricezione del provvedimento.
Si applica il disposto del II periodo del comma 3 dell’art. 68.
Il Ministero dell’Economia e delle Finanze può formulare quindi rilievi di legittimità entro sei mesi dalla ricezione della delibera.
In caso di ritardo del rilievo il Comune non è obbligato ad adeguarsi. Parrebbe quindi che tale norma sottoponga ad un vero e proprio controllo di legittimità la delibera comunale (ben diverso da quello operato dai CO.RE.CO. per gli effetti dell’ex art. 130 della Costituzione) ad esito del quale il Comune deve operare conformemente a quanto rilevato dal Ministero.
I sostenitori della illegittimità del comportamento del Comune (delibere oltre i termini perentori) per rendere più evidente che i Comuni sono normalmente assoggettati alla procedura di controllo innanzi descritta, citarono la sentenza della Corte dei Conti n° 7 del 14 gennaio 1997 della seconda sezione centrale che riprende i fatti di altro ente del centro Italia che era stato anch’esso obbligato dal Ministero dell’Interno a ridurre l’ICI al 4 per mille, anche a seguito dell’adozione delle delibere oltre il termine stabilito dalla legge.
A titolo di informazione in verità nel caso in questione la Corte dei Conti respinse il ricorso della Procura della Corte dei Conti stabilendo la mancanza di danno ( per la consulenza richiesta ad esperto) e di colpa grave da parte degli amministratori
( per la riduzione dei tributi in bilancio a seguito delle osservazioni ministeriali).
La vicenda, che qui, almeno noi, ci accingiamo a concludere non è che una delle tante che si presentano quotidianamente negli Enti Locali. La soppressione dei controlli esterni, in attesa della prossima riforma, induce a ritenere che quelli interni siano per loro stessa natura, inidonei a risolvere problematiche così complesse. Il rammarico più sincero per chi scrive ed ha militato, per oltre un trentennio nelle realtà locali, è che, a pagare è, ancora una volta, sempre e solo il cittadino e contribuente.
L’Amministrazione Locale deve perseguire l’interesse pubblico tutelando il contribuente e al tempo stesso garantendo alla città, l’imparziale applicazione della legalità e della trasparenza dell’azione amministrativa esercitata.
Orbene alla probabile ingenuità e/o leggerezza di qualche Funzionario Pubblico, che pure umanamente si può comprendere o forse anche tollerare, pesa più di un macigno sul cittadino, l’improntitudine di non dare un seguito logico alle posizioni assunte: nemmeno la pubblicità degli atti! Almeno per diversi mesi dopo l’adozione delle delibere incriminate! È un’altra inerzia? Non un manifesto pubblico dell’Ufficio se non in occasione del saldo ICI, né la pubblicazione delle tariffe sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – obbligo sancito dall’art 52, comma 2 del D.lgs. 446/1997o sui siti internet del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Consorzio Anci.
Nessuno è stato quindi in grado di sapere per un lunghissimo periodo temporale e dopo le polemiche e questioni sorte tra cittadini, Ministero dell’Economia e delle Finanze ed il Comune, quali fossero state effettivamente le tariffe valide stante le diverse posizioni assunte.
Anche l’ente, nutrendo, esso stesso, serio dubbio di dover rimborsare i contribuenti, aveva nel frattempo destinato ed accantonato una consistente quota dell’Avanzo d’Amministrazione qualora fosse stato ordinato (da chi?) la disapplicazione delle delibere.
Le argomentazioni trattate, relative all’iter formativo degli atti amministrativi annuali su tariffe ed aliquote dei tributi locali tendono a rappresentare all’attento lettore, pacate considerazioni riguardanti l’organizzazione degli uffici tributi in Italia nell’ambito della già complessa strutturazione degli apparati comunali.
In Italia, pur registrandosi situazioni di eccellenza di alcune realtà locali, in molti altri casi non si è purtroppo al passo con gli altri paesi europei.
All’estero ad esempio è poco avvertito la diversità di ritmo del lavoro privato rispetto a quello pubblico.
La causa principale della differenza con gli altri paesi europei sarà forse dovuta alla scarsa attenzione degli amministratori locali italiani, un po’ pigri nel decidere una efficiente organizzazione di tali servizi.
Sta di fatto che, rispetto all’eccesso di produzione ed assegnazione di norme fiscali agli Enti Locali, tuttora la maggior parte degli uffici tributi comunali non sono dotati di una valida organizzazione che li faccia stare al passo con le disposizioni stabilite dalle leggi.
Oggi è molto importante per la fiscalità locale attivare, quei processi di riorganizzazione e di ridefinizione continua dei carichi di lavoro degli uffici tributi introducendo efficaci tentativi per migliorare il lavoro di squadra per innalzare il livello di produttività.
Occorre adoperarsi per un salto di qualità sia per limitare i danni conseguenti ad azioni intempestive o maldestri e sia perché senza risorse si riduce qualitativamente l’erogazione dei servizi comunali soprattutto oggi in vista della Devolution.
Gli uffici tributi, per operare con efficienza, hanno bisogno di certezze e di chiarezza perché essi esercitano funzioni vitali nel reperimento delle risorse per finanziare i servizi pubblici.
l’Unione Europea ci impone maggiore attenzione e coerenza sulla Fiscalità Locale e sui rapporti con la Città:
non cittadini allo sbaraglio, come dilettanti contribuenti, lasciati cioè soli di decidere il loro destino. È questo forse il vero e più grave problema (la disinformazione) che discende dalla ritardata applicazione delle tariffe oltre i termini consentiti dalla Legge.
Cav. Dr. Pino Terracciano – Funzionario Regionale
Quadro Riassuntivo delle azioni a tutela dei cittadini previste dall’Ordinamento Giuridico Italiano
Contro gli eventuali vizi di legittimità degli atti amministrativi tributari può esercitarsi il ricorso al Tar – legge 1034/1971 e legge 205/2000
è poi possibile richiedere in via amministrativa l’annullamento straordinario dell’atto: art. 138 del Tuel 267/2000 che stabilisce <<1. In applicazione dell’articolo 2, comma 3, lettera p), della legge 23 agosto 1988, n. 400, il Governo, a tutela dell’unità dell’ordinamento, con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’interno, ha facoltà, in qualunque tempo, di annullare, d’ufficio o su denunzia, sentito il Consiglio di Stato, gli atti degli enti locali viziati da illegittimità. >>
Azioni da esperire avverso le tariffe dei tributi degli Enti Locali:
1. esercizio dell’interpello verso l’ente; art. 11 Legge 212/2000 –
2. richiesta di provvedimenti in autotutela – D.P.R. 27 marzo 1992 n° 287 –
3. ricorso alle commissioni tributarie per violazione dello statuto del contribuente ( nel caso esaminato contro la cartella esattoriale per la Tarsu e contro l’accertamento per l’Ici) – D.lgs. 546/1992
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